Perché il Vaticano conosce la sua serpe in seno ma non la rimuove
Si chiama Luigi Martignani ed è un frate cappuccino “minutante” della segreteria di stato vaticana. E’ lui che per volere del sostituto Giovanni Angelo Becciu ricopre il ruolo di segretario della commissione d’inchiesta vaticana incaricata dal Papa di fare chiarezza su Vatileaks, l’uscita di documenti riservati finiti nelle redazioni di alcuni quotidiani e che formano anche il corpo dell’ultimo libro del giornalista Gian Luizi Nuzzi “Sua Santità” (Chiarelettere). Martignani è chiamato a coadiuvare il lavoro dei cardinali Julián Herranz, Jozef Tomko e Salvatore De Giorgi.
Si chiama Luigi Martignani ed è un frate cappuccino “minutante” della segreteria di stato vaticana. E’ lui che per volere del sostituto Giovanni Angelo Becciu ricopre il ruolo di segretario della commissione d’inchiesta vaticana incaricata dal Papa di fare chiarezza su Vatileaks, l’uscita di documenti riservati finiti nelle redazioni di alcuni quotidiani e che formano anche il corpo dell’ultimo libro del giornalista Gian Luizi Nuzzi “Sua Santità” (Chiarelettere). Martignani è chiamato a coadiuvare il lavoro dei cardinali Julián Herranz, Jozef Tomko e Salvatore De Giorgi. Un lavoro non facile: devono scoprire l’identità di colui che Nuzzi chiama col nome in codice “Maria”, in sostanza il “corvo” che da dentro la Santa Sede ha passato le carte fuori. Si tratta di una persona o di più persone?
L’inchiesta è appena iniziata e non percorrerà una strada agevole. Per Nuzzi il corvo non è una sola persona ma sarebbero più persone. Di certo c’è un fatto: la “serpe” non è una figura sconosciuta ai sacri palazzi. Ogni pontificato ha la sua. Come ha scritto più volte Benny Lai, vaticanista di lungo corso, nei suoi inarrivabili diari vaticani, è una figura che più volte ritorna nella storia del papato, una persona che riesce a godere sempre di “protezioni importanti” entro le sacre mura tanto che non è detto che una volta scoperta venga rimossa. Lai ha più volte confessato di essere ricorso anch’egli in passato a ogni espediente per raccogliere informazioni e retroscena: “Ci tassavamo e pagavamo diecimila lire al mese a Riccardo Galeazzi Lisi, il medico di Pio XII, affinché ci tenesse informati sulla salute del Papa”. Ma, Pio XII, una volta scoperto che Galeazzi Lisi lo tradiva, non lo rimosse, semplicemente si limitò a non rivolgergli più la parola: “Se vuole stare in Vaticano che stia, ma faccia in modo che io non lo veda”, disse Papa Pacelli. E lui, l’“archiatra corrotto”, arrivò a fotografarlo con una mini polaroid agonizzante sul letto di morte.
Certo, non è detto che la storia si ripeta. Ma non è improbabile che anche in questo caso il corvo, una volta scoperto, rimanga al proprio posto. Difficile, comunque, che i gendarmi vaticani non siano in grado di individuare chi riesca ad aver accesso all’archivio della segreteria di stato nel quale con ogni probabilità il segretario del Pontefice Georg Gänswein ha depositato le lettere personali inviategli e quelle altrettanto riservate inviate direttamente al Papa. Le ha depositate nell’archivio e qualcuno le ha sottratte e fotocopiate, questo sembra poter essere l’unico dato certo.
Benedetto XVI segue la vicenda non senza preoccupazione. Anzi, chi gli sta vicino sostiene che egli sia scosso per la fuga di documenti. E ieri, pranzando riservatamente con i cardinali del collegio cardinalizio per ricordare il suo ottantacinquesimo compleanno, ha detto non a caso che “è importante avere accanto degli amici”. E ancora: “Nella mia vita ci sono stati splendidi tempi ma anche notti oscure, anche le notti erano necessarie e oggi, circondato dai cardinali i miei amici, mi sento sicuro in questa compagnia. Il male, infatti, vuole dominare il mondo e lo fa con la violenza o travestendosi di bene. In questo modo distrugge le fondamenta morali della società”.
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