Brindisi amaro
I sospettati, rilasciati dopo ore di interrogatorio, hanno detto che è stato un incubo. Una giornata stesa sopra un precipizio, dove era già stata confezionata la parola per loro: assassino. I sospettati avevano già un nome e cognome che tutti pronunciavano con rabbia, un indirizzo, una casa da distruggere. La gente li aspettava fuori dalla questura, “perché noi a quello schifoso il processo glielo abbiamo già fatto”, i giornalisti, carichi di eccitazione, in contatto continuo con la procura, desiderosi forse di anticiparla, di mostrare al mondo il mostro prima di tutti.
I sospettati, rilasciati dopo ore di interrogatorio, hanno detto che è stato un incubo. Una giornata stesa sopra un precipizio, dove era già stata confezionata la parola per loro: assassino. I sospettati avevano già un nome e cognome che tutti pronunciavano con rabbia, un indirizzo, una casa da distruggere. La gente li aspettava fuori dalla questura, “perché noi a quello schifoso il processo glielo abbiamo già fatto”, i giornalisti, carichi di eccitazione, in contatto continuo con la procura, desiderosi forse di anticiparla, di mostrare al mondo il mostro prima di tutti, mettevano su Twitter anche la foto della casa popolare in cui vive l’uomo con la mano offesa, appassionato di elettronica, solitario, quindi probabile stragista di ragazzine. Il cronista in preda all’eccitazione si aggira intorno alla palazzina, mostra ai vicini di casa le foto prese dal video di sorveglianza del chiosco (un uomo di mezz’età che spinge un bottone): i vicini annuiscono, beh, sì, potrebbe essere lui, ed ecco che Brindisi ha il suo colpevole, attraverso indiscrezioni, frammenti di frasi, notiziari, suggestioni, buchi della serratura, emozioni. Tutti sono Sherlock Holmes e al tempo stesso giudici e giustizieri. Tutti siamo persone informate sui fatti, a questo punto, in cerca di una risposta immediata ed eclatante da postare su Twitter. L’ufficiale militare in pensione, interrogato per una notte intera e poi rilasciato, adesso ha paura ed è scappato in campagna, accarezza il suo alibi di ferro (non c’era, era a Bari, tornato dalla Grecia, è arrivato a Brindisi quasi quattro ore dopo l’esplosione), sa che tutti parlavano di lui e che speravano fosse l’assassino. Per dare un nome all’orrore, ma anche per sentirsi protagonisti macabri di uno spettacolo televisivo in diretta. Quando lo scorso febbraio il diciassettenne Trayvor Martin fu ammazzato da una guardia perché nero e con il cappuccio in testa, il regista Spike Lee, commosso e indignato per l’omicidio razzista, desideroso di giustizia, arrabbiato, emozionato, mise su Twitter l’indirizzo di casa della guardia (Spike Lee ha duecentottantasettemila follower).
La casa venne circondata da una folla inferocita che urlava: “Bastardo assassino”, e l’indirizzo era quello sbagliato: una coppia di settantenni della Florida si trovò assediata, dovette andare a dormire in albergo e ancora adesso vive nel terrore che qualcuno non abbia letto su Twitter la rettifica di Spike Lee. Che ha chiesto scusa, ma solo per avere sbagliato indirizzo. Non per avere incitato al linciaggio di un uomo, non per essersi sostituito alla giustizia. Sono emozioni pericolose, e a Brindisi stanno anche sporcando le indagini, creando altro terrore, altra confusione. Altre vittime. Che, come sempre, sono le più sagge. Interrogato per una giornata intera e rilasciato alle tre di notte, con la folla fuori ad aspettare il mostro da linciare, con la folla su Twitter ad aspettare un altro minimo indizio, anzi sentenza, di colpevolezza da qualunque improvvisato investigatore e giudice, l’uomo con la mano offesa e una bimba di tre anni, che ha dovuto portare con sé in questura per l’interrogatorio, ha detto solo: “Adesso lasciateci in pace, sono un uomo onesto”.
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