Chi si preoccupa, e chi gioisce, per l'ascesa dell'ecogrillismo
“Bersani è affranto, non potrà più costruire l’ennesimo inceneritore nella sua Emilia, a Parma non ci sarà un tumorificio come in altre città governate dal ‘Pdmenoelle’ come con l’ebetino a Firenze (Matteo Renzi, ndr)”. Beppe Grillo ha salutato anche così l’elezione a sindaco di Parma di Federico Pizzarotti, il candidato del Movimento 5 stelle. Le critiche all’inceneritore sono il frutto inevitabile del programma del movimento ispirato da Grillo rintracciabile sul blog del comico.
Guarda la puntata di "Qui Radio Londra" Grillo è un comico, non gli si può rispondere seriamente
“Bersani è affranto, non potrà più costruire l’ennesimo inceneritore nella sua Emilia, a Parma non ci sarà un tumorificio come in altre città governate dal ‘Pdmenoelle’ come con l’ebetino a Firenze (Matteo Renzi, ndr)”. Beppe Grillo ha salutato anche così l’elezione a sindaco di Parma di Federico Pizzarotti, il candidato del Movimento 5 stelle. Le critiche all’inceneritore sono il frutto inevitabile del programma del movimento ispirato da Grillo rintracciabile sul blog del comico. Il capitolo “energia”, infatti, è zeppo di incentivi pubblici alle rinnovabili e di divieti contro i “monopolisti”. “I grillini – secondo Carlo Stagnaro, direttore studi e ricerche dell’Istituto Bruno Leoni – non colgono la portata potenzialmente rivoluzionaria del nuovo assetto concorrenziale del mercato: anzi, concorrenza è una parola inesistente nella parte energetica del programma”. “La sensazione – aggiunge Stagnaro – è che, sebbene alcuni aspetti siano interessanti, chi ha redatto il programma abbia una qualche consapevolezza ‘ingegneristica’ dei processi di produzione/conversione/distribuzione/consumo dell’energia, ma non abbia alcuna familiarità con le dinamiche economiche e le opportunità che esse offrono, in termini di sostenibilità ambientale e di miglioramento della qualità del servizio e riduzione dei prezzi”.
Nonostante ieri il quotidiano della Confindustria, il Sole 24 Ore, in un titolo ha scritto che nelle proposte di Grillo ci sono “provocazioni ma anche buon senso”, uno dei capisaldi del programma 5 stelle è questo: “Abolizione dei monopoli di fatto, in particolare Telecom Italia, Autostrade, Eni, Enel, Mediaset, Ferrovie dello stato”. Dice al Foglio Tommaso Nannicini, docente di Econometria all’Università Bocconi e autore del libro “Non ci resta che crescere”, dopo aver analizzato le idee dei grillini: “Le proposte del M5s in tema di economia, al momento, sono una lista della spesa che risponde a una mera strategia comunicativa. Poco importa che sia assente qualsiasi visione complessiva di quello che servirebbe al paese”. Per Nannicini, “si alternano proposte sensate (come la class action) ad altre puramente ideologiche (come l’abolizione della legge Biagi), tenendosi sempre in bilico tra il generico (“sostenere le produzioni locali”) e il demagogico (“abolire le stock option”). “Preoccupa – spiega l’economista bocconiano – anche l’impianto fortemente dirigista e la confusione tra strumenti e obiettivi”. Si legge tra l’altro che occore “impedire lo smantellamento delle industrie alimentari e manifatturiere con un prevalente mercato interno”. “Come? – si chiede Nannicini – Aumentando la domanda pubblica (e quindi le tasse)? Pagando i sussidi alla disoccupazione del punto successivo con buoni pasto spendibili solo in prodotti italici? Non scherziamo. All’Italia serve altro. Il problema è che non si vede in giro”.
L’azienda più bistratta è senz’altro quella presieduta da Franco Bernabè. I grillini puntano alla “statalizzazione della dorsale telefonica, con il suo riacquisto a prezzo di costo da Telecom Italia” e prevedono pure “l’impegno da parte dello stato di fornire gli stessi servizi a prezzi competitivi a ogni operatore telefonico”. Chissà come definirebbe Bernabè queste proposte, visto che il presidente di Telecom, dopo un emendamento bipartisan per la liberalizzazione del servizio di manutenzione della rete fissa, ha gridato “all’esproprio incostituzionale”. Nette le proposte dei 5 stelle anche nel capitolo “informazione”. Giuseppe Rotelli, ad esempio, ora azionista con il 16 per cento di Rcs, sarebbe costretto a vendere. Il programma di M5s, sia per un canale televisivo, sia per un quotidiano nazionale, stabilisce l’azionariato diffuso con “proprietà massima del 10 per cento”. La Rai? Per i grillini va smembrata: vendita di due canali e un solo canale “senza pubblicità e indipendente dai partiti”.
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