Una volta smaltita la sbornia delle amministrative

Le elezioni, la vittoria a tavolino e due cosine sfuggite al Pd di Bersani

Claudio Cerasa

Una volta smaltita la sbornia delle amministrative siamo certi che il timoniere del Pd si renderà conto non solo che il successo del centrosinistra va inserito in un contesto politico anomalo – potremmo quasi definirla una vittoria a tavolino, considerando l’avversario che praticamente si è ritirato dal terreno di gioco prima ancora di scendere in campo – ma anche che da questa sessione elettorale sono arrivate delle indicazioni che sarebbe da sciocchi non considerare.

     

    Vasto, lo sapete, è una parolina magica che di tanto in tanto viene tirata fuori da tutte quelle persone che ogni volta che osservano il partito di Bersani proprio non riescono a trattenersi dall’alzare il ditino e segnalare al capo della baracca Pd che nonostante tutto – e nonostante le apparenze, i numeri e persino i successi elettorali – c’è qualcosa che continua a non tornare in questo strano mondo del Partito democratico. Certo: questa volta, dopo essere stato a lungo soltanto il nome di una cittadina famosa per una foto in cui sono stati immortalati i pilastri del centrosinistra (Bersani, Vendola, Di Pietro), Vasto si presenta oggi non solo come il simbolo di una alleanza ipotetica ma come l’immagine cristallina di quella che oggi sembra essere la forza di maggioranza del paese. Dunque, Bersani fa bene a mostrare orgoglioso ai cronisti quegli inequivocabili istogrammi in cui il centrosinistra risulta essere il vincitore di questa tornata elettorale. Ma una volta smaltita la sbornia delle amministrative siamo certi che il timoniere del Pd si renderà conto non solo che il successo del centrosinistra va inserito in un contesto politico anomalo – potremmo quasi definirla una vittoria a tavolino, considerando l’avversario che praticamente si è ritirato dal terreno di gioco prima ancora di scendere in campo – ma anche che da questa sessione elettorale sono arrivate delle indicazioni che sarebbe da sciocchi non considerare.

    La prima, forse quella più scontata, è che anche questa volta il Pd ha dimostrato di essere un perfetto esempio di “usato garantito” ma allo stesso tempo non è riuscito a vestire nel modo più assoluto i panni del famoso partito generatore di innovazione (e il fatto che nelle due città più importanti in cui il centrosinistra ha sconfitto il centrodestra – Palermo e Genova, che si sommano poi ai casi di Milano, di Cagliari e naturalmente di Napoli – non ci sia un solo sindaco del Pd non è storia che può essere trattata con una semplice alzatina di spalle). La seconda indicazione, invece, riguarda quello che è destinato a essere senz’altro il paradosso dei mesi che separano il centrosinistra dal traguardo delle elezioni politiche. Le amministrative, come sempre, hanno premiato non tanto un grande progetto di governo nazionale quanto, piuttosto, delle piccole e fruttifere operazione di algebra territoriale: e non è un mistero che se l’alleanza Idv-Sel-Pd ha retto nel settanta per cento dei comuni in cui si è andati al voto è solo perché Idv, Sel e Pd sono stati costretti a confrontarsi su questioni legate esclusivamente alle dinamiche territoriali, e nulla di più.

    Altra storia, naturalmente, sarà creare una piattaforma in grado di dare al centrosinistra un profilo da credibile alternativa nazionale, ed è evidente che su questo punto, nonostante le amministrative, non è cambiato nulla all’interno del mondo di Vasto. Senza voler perdere tempo a ricordare il numero di temi sui quali Bersani, Vendola e Di Pietro non riuscirebbero a trovare una quadra se fossero oggi al governo (politica estera, missioni militari, diritti civili, fino alle più elementari questioni di politica economica), basterebbe ricordare che la credibilità dell’alleanza potrebbe essere perfettamente testimoniata dalle visioni lievemente divergenti che i tre hanno rispetto al rapporto con il governo Monti – e mentre il Pd è forse il più affidabile alleato di questo governo, Idv e Sel chiedono da mesi di “fare le valigie e andare a casa” (Di Pietro) e di “togliere la fiducia a Monti per non vedersi tolta la fiducia dall’elettorato” (Vendola), accusando Monti di essere “peggio di Berlusconi” (Vendola) e avere “suicidi sulla coscienza” (Di Pietro). Finora, il Pd se l’è cavata con una serie di fantastiche acrobazie attraverso le quali ha mostrato agli elettori il proprio volto di partito di lotta e di governo (sintomatico il caso di Stefano Fassina, responsabile Economia del Pd, che giusto un paio di giorni fa, in un intervento sull’Unità, ha attaccato tutti coloro che in modo “irresponsabile” in questi mesi si sono impegnati per introdurre il pareggio di bilancio nelle costituzioni europee, dimenticandosi che in Italia è stato il suo partito ad approvare quella legge in Parlamento neppure un mese fa). Il giochino però difficilmente potrà continuare senza avere delle conseguenze politiche negative e per questo oggi chi vuole bene al Pd non può che continuare a interrogarsi su una questione semplice: se quella parolina magica possa rappresentare davvero una prospettiva credibile per il futuro del Pd.
     La risposta, forse, la conoscete già.
        Twitter @ClaudioCerasa

    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.