Il caso Minetti

Annalena Benini

Ich bin die fesche Lola, potrebbe scrivere sulla prossima maglietta, e siete tutti il professor Unrat. Nicole Minetti non lo sa, non le importa, c’è già un nuovo smalto per le unghie che ha attirato la sua attenzione, ma l’Angelo azzurro racconta una storia che le somiglia. Lola (meravigliosa Marlene Dietrich, nel film) si esibisce in reggicalze e cilindro in un locale puzzolente, una bettola delle peggiori, e canta: “Io sono la frizzante Lola, guardatemi, guardatemi tutti, männer, männer! Accorrete, tutti intorno a me, come sciocche falene volano verso la luce".

    Ich bin die fesche Lola, potrebbe scrivere sulla prossima maglietta, e siete tutti il professor Unrat. Nicole Minetti non lo sa, non le importa, c’è già un nuovo smalto per le unghie che ha attirato la sua attenzione, ma l’Angelo azzurro racconta una storia che le somiglia. Lola (meravigliosa Marlene Dietrich, nel film) si esibisce in reggicalze e cilindro in un locale puzzolente, una bettola delle peggiori, e canta: “Io sono la frizzante Lola, guardatemi, guardatemi tutti, männer, männer! Accorrete, tutti intorno a me, come sciocche falene volano verso la luce: mortali, uomini senza scopo e senza futuro, non sapete che le farfalle notturne si bruciano le ali sulle torce e sulle candele?”. E il professor Rat (ribattezzato dagli alunni Unrat, spazzatura) entra in quella bettola deciso a protestare contro uno spettacolo tanto indecente, contro un uso così spregiudicato del corpo delle donne, ma resta affascinato, invischiato, innamorato di Lola (serenamente indifferente e perfino disposta a farsi sposare). Ridicolizzato per sempre. Un po’ come sta succedendo a un pubblico ministero di Milano che, secondo i giornali, rischia la carriera per essersi fatto notare troppo spesso a pranzo (non in una sudicia bettola, purtroppo, ma in uno di quei posti dove si mangia sushi, si fa il brunch e ci si lascia guardare, da Bulgari a Milano, o al Finger’s Garden, di proprietà di qualche calciatore), perso dentro il broncio plastificato di Nicole Minetti. La ragazza dello scandalo. La cattiva compagnia. La spudorata che, oltre a essere imputata in un processo per induzione e sfruttamento della prostituzione, se ne sta seduta al Consiglio regionale della Lombardia, annoiata, con giacche troppo strette e sottogiacca forse rimpiccioliti da lavaggi sbagliati, giocherellando con le sue Kelly di Hermès, maliziosa. Lucignolo che cammina dinoccolata, fiera e dispettosa per il centro di Milano, specchiandosi nelle vetrine, con una maglietta sottile da rocchettara e sotto nemmeno uno straccio di reggiseno, lancia sguardi di sfida al paparazzo, anzi forse di orgoglio, come l’Angelo azzurro che nel 1930 cantava: “Chi può ambire alla decadenza, alla fine, alla morte, quando può avere me, la stupenda Lola Lola, con le sue calze a rete e i seni che sporgono sfrontati, prepotenti, dal bustier scintillante sotto le luci del palcoscenico? Io sono la sfavillante Lola”.

    Nicole Minetti non canta, ha ballato per qualche tempo a Rimini, dove è nata, e in televisione (c’è qualcuno che non ha visto le foto da sexy studentessa in micro kilt sgambettante a “Colorado Cafè”?), da ballerina ha ancora il portamento orgoglioso, si è laureata in Igiene dentale, ha incontrato Silvio Berlusconi, l’ha chiamato a volte “love of my life”, altre “culo flaccido”, a seconda dell’umore del momento, ha raccontato molte bugie, anche in un perfetto inglese alla Bbc, è rimasta scandalosamente (assurdamente) al suo posto al Consiglio regionale, ritenendo che prima dovrebbero dimettersi tutti i leccapiedi di cui le alte sfere sono sempre composte, e ha detto più volte: “Non mi vergogno di nulla”, arricciando quelle labbra di gomma che le rovinano la faccia, secondo molti, perché secondo tutti, anche se non si può dire e nemmeno pensare, è una bellissima ragazza. Ha un sorriso malvagio, ma forse è il botox. E’ l’unica che ha resistito, grazie anche al giudizio malevolo degli altri e all’impossibilità di provocare compassione, alla fine del berlusconismo, l’unica a sembrare ancora contemporanea, viva (non un’anziana ragazzotta di cartapesta, come la povera Noemi Letizia). Ricordate l’ingresso in scena, a teatro, di Nanà, all’inizio del romanzo di Emile Zola? Stava per fare una pessima figura, con quella voce stonata, male impostata, secondo il direttore del teatro cantava come una campana fessa. E non sapeva neanche stare in scena, protendeva le mani e dondolava tutto il corpo in un modo sgraziato, o forse sconveniente. Interpretava Venere, con i capelli sciolti e la tunica bianca da dea, era troppo formosa, anche, ma rideva. “Quando rideva, le si formava una deliziosa fossetta sul mento. E lei stava ad aspettare, senza il minimo imbarazzo, confidenziale, capace di mettersi subito al livello del pubblico, con l’aria da dire, lei per prima, con una strizzatina d’occhi, che non aveva due soldi di talento, ma non faceva niente, aveva ben altro”. Nemmeno due soldi di talento, nemmeno una voce un po’ intonata, ma a poco a poco si impossessò del pubblico, “e adesso ogni uomo ne era soggiogato”. Nicole Minetti non finge di essere un’appassionata di politica e di amministrazione regionale, non si sforza nemmeno di tenere il broncio basso e di aspettare umilmente che ci si dimentichi di lei.
    E’ l’antieroina, il modello sbagliato, la ragazza con la lettera scarlatta che luccica sulla maglietta (e lei allora ne indossa una con su scritto a lettere gigantesche: “Senza t-shirt sono ancora meglio”), rappresenta tutto quello che non si deve essere: capricciose, frivole, disposte a un uso sfacciato del corpo, disinteressate al giudizio morale e ai sani princìpi del lavoro disperatissimo – per lei la “desperescion più totale” è al massimo quella incontrata alle cene di Berlusconi, con la “sudamericana che non parla l’italiano e viene dalle favelas”, come dice all’“amica chips” al telefono, e interpreta il suo ruolo da Jessica Rabbit annoiata fino ai confini estremi della rispettabilità, fino a diventare un esempio: il cattivo esempio, la cattiva strada, il simbolo del berlusconismo che ha rovinato la dignità delle donne. Anche se lei non trova minimamente che la sua dignità sia in pericolo, e infatti si fa fare il baciamano dal pubblico ministero.

    E il pubblico di Nicole, anche solo per voglia di gridare “vergogna”, è completamente soggiogato, ossessionato. Non la dimentica, la cita di continuo, la cerca, si arrabbia, le dedica ingiurie articolate come omaggi. Mentre scrivo escono foto di Nicole Minetti sulle home page dei siti dei grandi quotidiani, quelli importanti: Nicole che fa shopping estivo, in canottiera e pantaloncini corti, “con un look grunge inconsueto, e camicia legata in vita a mo’ di gonnellino come usano le ragazzine, si è fermata a guardare abiti nei colori caramella tanto in voga questa estate e modelli più preziosi per la sera” e incontra un vecchietto con al collo un cartello “Non sono comunista” che le guarda le tette. Nicole che ha incontrato al ristorante Fabrizio Corona e Corona ha voluto unire i tavoli, ma lei è andata via subito dopo cena, sicuramente per farsi desiderare. Nicole che fa altro shopping (quanto shopping fai, benedetta ragazza, quante cerette fai a quelle lunghe gambe abbronzate, quanto è rilassata la vita di una consigliera regionale indesiderata?) per le vie del centro e non è più mora ma mostra “caldi riflessi castani”; Nicole che si tiene in forma in una palestra molto alla moda, la Downtown di piazza Diaz, e ci va anche quando si dà malata in Consiglio regionale. Nicole che è pazza per il sushi e sta già organizzando le sue vacanze a Formentera. Nicole che fa da testimone al matrimonio della sorella con un vestito viola sconvolgente e poi si fa fotografare con i bambini e il fotografo le immortala le mutande (bianche). Nicole che fa la star della cattiva strada, ma pur sempre star, fotografata quanto Kate Moss e Pippa Middleton a Londra. E noi tutti professor Unrat, disgustati dalla sua indifferenza sfrontata, maliziosa, civetta, ma disposti a cliccare ancora e ancora, per vedere fino a che punto vuole arrivare Nicole, e cosa ha detto, e quante balle ha raccontato a “quel povero Cristo” del suo fidanzato, e a chi starà scrivendo adesso dal BlackBerry, e cosa farà stasera. Ogni volta è un fremito di divertimento, o di indignazione, o di entrambi, e c’è, perfino in quelli (soprattutto donne) che più la detestano e la considerano un’offesa alla santa categoria, una vaga fascinazione (perché? dove va? con quali speranze? con quanta voluttà di precipitare?), unita alla sensazione che si stia divertendo alle nostre borghesissime spalle. In fondo è stata molto più dura lei, nei confronti di Silvio Berlusconi, di tanti suoi nemici: “E’ un pezzo di merda! Non me ne fotte un cazzo se lui è il presidente del Consiglio; oh, cioè, è un vecchio e basta. A me non me ne frega niente, non mi faccio prendere per il culo. Si sta comportando da pezzo di merda pur di salvare il suo culo flaccido! Mi sta rovinando quel vecchio… perché uno che fa così è un pezzo di merda. Perché lui mi ha tirato nei casini in una maniera che solo Dio lo sa, in cui non ci sarei finita neanche se mettevo tutto l’impegno. Gli ho parato il culo…”. Una telefonata privata spiata, d’accordo, ma Nicole Minetti era ormai certa di essere intercettata, e infatti le sue telefonate in fila formano un reality show, una puntata di “Uomini e donne”, qualcosa di terribilmente al passo con i tempi, che Maria De Filippi dovrebbe possedere, dopo avere posseduto Belén e la fine della storia con Fabrizio Corona, ma la Minetti non è abbastanza umile per sottostare alle regole feroci della regina del Censis, come Carlo Freccero ha definito Maria De Filippi, il termometro del reale.

    Nicole Minetti è talmente piena di sé e della sua dignità di ragazza che ha concretamente sfruttato il capitale erotico (è il saggio della sociologa della London School of Economics Catherine Haikim), che non si è mai sognata di simulare adorazione politica per il presidente del Consiglio (si sarà sorbita le canzoncine, “Meno male che Silvio c’è”, e i filmini delle grandi imprese, ma limandosi le unghie e pensando a qualche amico della palestra niente male). Quando il 14 dicembre 2010 Nicole telefonò a Silvio Berlusconi che aveva appena evitato la crisi di governo e affrontato una mozione di sfiducia capitanata da Gianfranco Fini (morto, mentre la Minetti è ancora vivissima), non era minimamente interessata ai racconti epici del presidente del Consiglio sulla sua battaglia contro il mondo ostile e sulle sue risposte a braccio a quelli dell’opposizione. Anzi, Nicole non aveva nemmeno ascoltato il dibattito alla Camera, aveva confuso la Camera con il Senato, aveva chiamato solo per dire a Berlusconi che in casa a Roma non funzionava l’acqua calda. “Dico, io vengo a Roma per te e tu mi lasci al freddo e al gelo”. Lo spettacolo del premier, per quanto “boss of the boss”, trattato come l’idraulico del pronto intervento, è una cosa che nemmeno la satira è riuscita a creare. Invece Nicole Minetti, con la sua assoluta mancanza di reazione allo scandalo del berlusconismo, come se non lo avesse visto, come se non avesse sentito la propria voce registrata uscire da ogni computer squillando: “Porto gli occhiali da vista e il reggicalze così quando tolgo tutto ho l’intimo sexy” (mentre Marystel Polanco si travestiva da Ilda Boccassini), ha contribuito alla rumorosa dissoluzione di un’èra e alla conservazione silenziosa di se stessa. Si è costruita attorno una barriera di curiosità, riprovazione e pettegolezzo con cui cammina insolente per le strade di Milano, come una corazza, come un trofeo. Tacchi a spillo, scarpe da ginnastica, stivali, ballerine, completi da sciura o stracci sovrapposti da star di Hollywood al supermercato, tette esagerate, labbra posticce, tutto in Nicole Minetti assume un preciso significato celebrativo: se non vi piaccio, perché continuate a guardarmi? Poco turbata dall’improvvisa necessità moralizzatrice di alcuni servitori minori di Silvio Berlusconi e dai moniti del presidente della regione, Roberto Formigoni (responsabile della sua nomina nel Consiglio), che auspicava pubblicamente le sue dimissioni: “Un suo passo indietro sarebbe un bel gesto”, ha aspettato silenziosa, una cena fuori dopo l’altra, una passeggiata insolente in via della Spiga dopo l’altra, che Formigoni avesse cose più gravi a cui pensare. Non l’ha mai degnato di una risposta. “Non è nella mia natura vergognarmi. Tutto quello che ho fatto, ho scelto di farlo” è la sua unica concessione al disfacimento di un mondo, al reality del buco della serratura, alla follia totalmente invereconda, quindi perfino priva di malizia, del suo ruolo istituzionale. E anche all’ondata femminile inferocita di chi considera quelle come lei spazzatura, la feccia dell’umanità, un peccato da scontare collettivamente con saggi, documentari, manifestazioni di piazza e divisioni del mondo in buone e cattive, in moralmente conformi e reiette. Ondata pericolosa, che ha messo fuori dalla legge morale perfino le calze autoreggenti, ormai simbolo di degrado, e ha ispirato a Luciana Littizzetto sermoni ribaldi contro quelle “propense al mignottume” (lei auspica che tutte le ragazze dicano la verità su come sono arrivate al successo: “L’ho data via, e se c’era da darla una volta la davo due, per precauzione”, e di nuovo siamo circondate dal sospetto, dal pregiudizio, di nuovo siamo povere sceme e disgraziate a cui spetta l’onere della prova contraria al puttanesimo). Ma solo noi ci dispiacciamo, a Nicole Minetti non importa nulla, non ha voglia di mettere nemmeno un dito nel recinto delle ragazze perbene. Non un cedimento, non una lacrima, nemmeno la tentazione di farsi vittima: “Tutto quello che ho fatto, ho scelto di farlo”. Una cosa non le è riuscita, far impazzire d’amore papi Silvio, boss of the boss, amorino, culo flaccido, pezzo di merda, love of my life, bacino amore ciao. In “Un amore”, di Dino Buzzati, ambientato proprio a Milano, la ballerina Laide, con la sua suprema giovinezza e indifferenza, diventa per due anni l’ossessione dolorosa e profonda del suo amante cinquantenne, Antonio Dorigo. Gli entra nelle ossa, lo perseguita in ogni istante millimetrico della giornata. Lui cerca di vederla come tutte le altre, prova a disprezzarla, sa benissimo che lei di lui se ne frega,  gli racconta bugie, arriva in ritardo, si annoia, vede altri uomini, mentre lui si sente un idiota, un coniglio sbigottito, che tiene duro sul lavoro solo perché se crollasse non avrebbe più i soldi per Laide. Nicole Minetti non è mai stata Laide per Silvio Berlusconi, ma una delle tante, una contabile perfino, una a cui non rispondere sempre al telefono. Ma è per noi che la guardiamo, la disapproviamo, la usiamo come antonomasia di una categoria, che è qualcosa di più (anche di peggio, ma di più). Antonio Dorigo siamo noi, feroci e moralisti, mai annoiati anche mentre gridiamo basta, mai stanchi di cliccare i nuovi strettissimi jeans di Nicole Minetti e i suoi nuovi possibili amanti: “No, lui la amava per se stessa, per quello che rappresentava di femmina, di capriccio, di giovinezza, di genuinità popolana, di malizia, di inverecondia, di sfrontatezza, di libertà, di mistero. Era il simbolo di un mondo plebeo, notturno, gaio, vizioso, scelleratamente intrepido e sicuro di sé che fermentava di insaziabile vita intorno alla noia e alla rispettabilità dei borghesi”. A un certo punto, però, anche quest’ossessione svanirà.

    • Annalena Benini
    • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.