Le resistibili ambizioni dell'ex prodiano Ponzellini

Michele Arnese

L'articolo, scritto prima della defenestrazione di Ponzellini da Bpm, descrive bene i rilievi mossi allora da Banca d'Italia, critica della gestione e della governance.

L'ispezione della Banca centrale governata da Mario Draghi è stata, secondo alcuni osservatori, l'inizio della prossima fine di Ponzellini. I rilievi sui finanziamenti, le critiche alla struttura patrimoniale e l'auspicio per una ricapitalizzazione “senza indugi” della Bpm sono stati letti come una censura severa della presidenza Ponzellini.

    Il banchiere piacione e gaudente ha proprio le ore contate? A Milano, fra gli addetti ai lavori, circola una convinzione: Massimo Ponzellini, presidente della Banca Popolare di Milano (Bpm), è destinato a lasciare presto il vertice dell'istituto. Si vedrà. La proposta di una governance duale (un consiglio di sorveglianza che rappresenti i soci e un consiglio di gestione infarcito di manager e indipendenti) ha avuto anche il suo avallo: l'attuale direttore generale, Enzo Chiesa, diventerebbe consigliere delegato, affiancato da un presidente, Andrea Bonomi, che entrerebbe come socio. Ma chissà se la revisione dello statuto, oggetto del consiglio di amministrazione finito ieri a tarda sera, soddisferà davvero del tutto le attese della Banca d'Italia, da mesi critica della gestione e della governance, troppo sbilanciata a favore dei soci dipendenti, della Bpm: nel frattempo, comunque, la prospettiva ha fatto festeggiare il titolo in Borsa ieri, salito sia per una tendenza europea di giornata che ha sollevato le banche sia per l'approssimarsi dell'aumento di capitale per circa 800 milioni.

    L'ispezione della Banca centrale governata da Mario Draghi è stata, secondo alcuni osservatori, l'inizio della prossima fine di Ponzellini. I rilievi sui finanziamenti, le critiche alla struttura patrimoniale e l'auspicio per una ricapitalizzazione “senza indugi” della Bpm sono stati letti come una censura severa della presidenza Ponzellini. La lettera che ha suggellato l'ispezione non ha meravigliato più di tanto il mondo delle banche popolari, che aveva visto con stupore misto a fastidio l'arrivo tre anni fa di un presidente anomalo, dagli svariati interessi (è tra l'altro presidente del colosso delle costruzioni Impregilo) che grazie a un'operazione politico-sindacale aveva spodestato Roberto Mazzotta. Alle reprimende di Palazzo Koch e alla freddezza astiosa dei vertici delle altre popolari si sono progressivamente aggiunti smottamenti che per un uomo di relazioni e di sistema come Ponzellini sono indispensabili: ampi settori della Lega hanno iniziato a smarcarsi dall'abbraccio con il manager banchiere già prodiano e pure il rapporto con il ministro dell'Economia non è più ritenuto un atout.

    Chissà se è stato un caso oppure una voluta coincidenza la visita che di recente il banchiere ha fatto a Palazzo Grazioli. Ma il segno più preoccupante per Ponzellini è stato di sicuro quello arrivato dai vertici nazionali e milanesi della Cgil (in passato lodati dal banchiere in diverse interviste) che hanno giudicato dannoso “il gioco delle tre carte del presidente”, accusato di “scelte gattopardesche”. Ossia: pensare a un tipo di governance duale (pur voluta dall'Istituto di via Nazionale) per conservare la primazia (o per trattare una cospicua liquidazione). L'azione congiunta di Bankitalia, Cgil e del finanziere pronto a mettere soldi per comandare (ovvero l'ex Mediobanca e Capitalia, Matteo Arpe) turba i sonni bancari di Ponzellini. Per il manager dalle cangianti relazioni finanziarie e politiche è l'ora del “si salvi la banca e chi può”. Infatti da Palazzo Koch gli umori della Vigilanza sono chiari: l'istituto milanese di piazza Meda ricapitilizzi, riveda la governance separando la gestione dalla greppia dei sindacalisti-dipendenti oppure non è da escludersi il commissariamento. E ovviamente Draghi, a un mese e poco più dal trasloco da Roma a Francoforte alla testa della Bce, preferirebbe non terminare il mandato con un commissariamento.