Bankitalia, ci vuole la svolta
Lo stile è asciutto, essenziale, niente fronzoli, come quello di Mario Draghi. Il metodo di lavoro è collegiale, alla Carlo Azeglio Ciampi. L’impianto dottrinario lo avvicina a Tommaso Padoa-Schioppa. Il rapporto stretto con il governo richiama Guido Carli. Troppi maestri? Per la nuova generazione di governatori della Banca centrale è difficile trovare un unico modello al quale fare riferimento. Tutto è così diverso: l’euro ha sottratto una componente essenziale della sovranità, come la moneta; la crisi ha portato al collasso i grandi paradigmi teorici del passato, liberismo, keynesismo, monetarismo.
Lo stile è asciutto, essenziale, niente fronzoli, come quello di Mario Draghi. Il metodo di lavoro è collegiale, alla Carlo Azeglio Ciampi. L’impianto dottrinario lo avvicina a Tommaso Padoa-Schioppa. Il rapporto stretto con il governo richiama Guido Carli. Troppi maestri? Per la nuova generazione di governatori della Banca centrale è difficile trovare un unico modello al quale fare riferimento. Tutto è così diverso: l’euro ha sottratto una componente essenziale della sovranità, come la moneta; la crisi ha portato al collasso i grandi paradigmi teorici del passato, liberismo, keynesismo, monetarismo. Dunque, Ignazio Visco per le sue prime considerazioni finali che leggerà domani all’assemblea della Banca d’Italia, ha scelto un taglio eclettico e pragmatico. Con un punto fermo che, probabilmente, diventerà la cifra dei prossimi anni: la produzione e il lavoro.
Quanto alla finanza, “credo che debba porsi come obiettivo quello di aiutare la crescita dell’economia reale”, ha detto recentemente. Senza dubbio un cambiamento, dopo Draghi, così inserito nel sancta sanctorum internazionale; lo sottolineano i più attenti osservatori i quali si attendono indicazioni chiare sul che fare affinché la crescita non sia una vuota invocazione. Alcune tracce di questo percorso sono già state stampate sul terreno, attraverso interventi ufficiali, ufficiosi e inusuali, come un’intervista a Giovanni Minoli.
Prima di tutto, una questione di metodo. “E’ cruciale definire un disegno complessivo, chiaro e credibile, nel quale si inseriscano gli interventi”, ha dichiarato il governatore parlando in Parlamento il 9 dicembre scorso, a commento del decretone Monti. Dunque, tagli e tasse non bastano, ma soprattutto vanno inquadrati. “Un approccio organico alla definizione delle misure per la crescita potrà migliorare la fiducia sulle prospettive della nostra economia, con risultati positivi per gli investimenti e lo stesso onere del debito pubblico”. Torna la programmazione, il libro dei sogni di Antonio Giolitti e Giorgio Ruffolo? Pochi hanno ricordato che un anno fa l’allora ministro Giulio Tremonti aveva affidato proprio a Visco il compito di elaborare un piano decennale per lo sviluppo. Non esageriamo, ma senza dubbio non basta un buon nocchiero, ci vuole una rotta. Mario Monti si è rivolto al neo governatore quando è entrato a Palazzo Chigi. Più che un disgelo, una svolta, dopo tensioni pluridecennali: tra Ciampi e Craxi, tra Prodi e Fazio, poi tra Fazio e Tremonti, infine tra Tremonti e Draghi. In fondo, è dal marzo 1979, quando Paolo Baffi venne attaccato da una magistratura ispirata politicamente, che tra governanti e banchieri centrali passa una corrente di sfiducia reciproca. Con la Banca d’Italia orgogliosa del proprio potere e della propria sapienza tecnica da una parte e dall’altra ministri insofferenti per quel ditino che si alza ogni 31 maggio nel salone di Palazzo Koch.
Ciò non ha fatto bene all’Italia, perché ha impedito una politica economica coerente. Questa lunga fase è finita e Visco tiene a sottolineare che considera quello in carica “un governo politico di cui fanno parte persone che non sono politici di professione”. Dunque, nessuna concessione al primato della tèchne.
La cura somministrata il 6 dicembre era inevitabile. Il governatore ne dà un giudizio quasi da entomologo: “Le misure, volte a raggiungere il pareggio del bilancio nel 2013, determinano una correzione del saldo di 76 miliardi di euro tenendo conto degli interventi adottati nell’estate 2011. Per due terzi sono basati sulle entrate, portando la pressione fiscale al 45 per cento. Le misure hanno effetti restrittivi sul pil di mezzo punto nel prossimo biennio. L’impatto potrebbe essere compensato se il calo dei rendimenti si confermasse e si estendesse”.
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