Dopo la democrazia, sospendere il calcio. Monti esagera (ma sulla società civile ci prende)
Ci erano rimasti quei novanta minuti, e adesso ci stanno togliendo pure quelli. Il calcio come il wrestling, dove tutto è spettacolo fine a se stesso, dove la maglia indossata dall’atleta non è simbolo di appartenenza (o almeno di una storia) ma costume carnevalesco. Ci erano rimasti quei novanta minuti: quando allo stadio l’arbitro fischia l’inizio della partita tutto il resto scompare di colpo. Le polemiche in conferenza stampa del giorno prima, le dichiarazioni dei giocatori, gli editoriali dei giornali sportivi.
Ci erano rimasti quei novanta minuti, e adesso ci stanno togliendo pure quelli. Il calcio come il wrestling, dove tutto è spettacolo fine a se stesso, dove la maglia indossata dall’atleta non è simbolo di appartenenza (o almeno di una storia) ma costume carnevalesco. Ci erano rimasti quei novanta minuti: quando allo stadio l’arbitro fischia l’inizio della partita tutto il resto scompare di colpo. Le polemiche in conferenza stampa del giorno prima, le dichiarazioni dei giocatori, gli editoriali dei giornali sportivi. Resta l’odore dell’erba, l’urlo della folla, la grinta necessaria ad arrivare sul pallone prima dell’avversario. Fuori da quei novanta minuti il tifoso ha sempre saputo, o almeno intuito, che è tutto farlocco, dalle amicizie tra calciatori alle frasi sull’attaccamento alla maglia. Chiunque abbia giocato a calcio sa che a fine stagione molti risultati sono figli di (più o meno) taciti accordi tra capitani, sguardi silenziosi tra difensori e attaccanti. Il “non facciamoci del male” però è diventato qualcosa di più.
Il pallone specchio del paese, e viceversa. Non tutto il marcio è nella politica, la società civile ha la sua parte, come ha detto ieri Mario Monti parlando del calcioscommesse: “E’ così facile per i cittadini italiani non impegnati in attività politiche localizzare tutti i mali dell’Italia nella politica. E’ un errore. Ci sono gravi difetti nella politica, ma in un paese non esiste tra politica e società civile quella separatezza che a volte si trova comodo pensare che esista”. Quando i tifosi del Bari hanno scoperto che i giocatori della loro squadra truccavano le partite per scommetterci sopra, non hanno denunciato la cosa, né sono andati a menarli: si sono messi a scommettere pure loro. Quando succede una cosa del genere, c’è ben poco da salvare. Un anno fa avevamo avuto l’impressione che la vicenda del calcioscommesse avesse come protagonisti vecchi scarponi delle serie minori, calciatori falliti o mai esplosi, tutt’al più qualche ex campione con il vizio del gioco. Così non è, e se anche è vero che nella pesca a strascico dei magistrati è stato preso qualche pesce che non c’entra nulla, l’impianto dell’accusa sembra reggere. E svela uno spettacolo avvilente. A partire dai giocatori che, beccati a scommettere dalle forze dell’ordine, ora provano a trascinare nel baratro altri colleghi, in un cortocircuito che rischia di diventare più un regolamento di conti che un aiuto a cercare la verità dei fatti. Fino alle società, pare anche loro molto implicate (l’accusa a Massimo Mezzaroma, presidente del Siena, di scommettere contro la propria squadra, fa spavento).
Adesso tutto il calcio italiano ha paura. L’allenatore della squadra campione d’Italia indagato è anche un avvertimento a tutti: non guardiamo in faccia nessuno. Il problema sarà la fretta. Entro poche settimane bisognerà consegnare all’Uefa l’elenco delle squadre che parteciperanno alle coppe europee il prossimo anno, bisognerà stilare i calendari e ricominciare con le amichevoli estive. La giustizia dovrà quindi andare di corsa, con la certezza di sbagliare, di non risolvere nulla, di colpire sommariamente. Ma è il calcio che deve capire che è il momento di darsi una regolata, che se si è arrivati a una situazione del genere parte della colpa forse è anche di chi, tra Lega calcio, Figc e società stesse, non ha vigilato abbastanza, ha permesso che il calcio negli anni diventasse interesse economico prima che evento sportivo, approfittando delle tante zone grigie del sistema. Abbiamo le telecamere negli spogliatoi, e con esse l’illusione di sapere tutto quello che succede, ma le partite sono finte. Difficile uscirne: l’idea che basti la magistratura a ripulire l’ambiente (e in poco tempo) è già stata smentita più volte dalla storia; ma anche la soluzione “tecnica” proposta dal premier Monti ieri è impraticabile: fermare il calcio per un paio d’anni, azzerare tutto e ricominciare da capo. Dopo la democrazia, sospendere il calcio? Fare un’inchiesta seria, approfondita, con processi giusti e non frettolosi è impossibile. Il danno economico, sportivo e umano di uno stop forzato sarebbe insostenibile.
Il sistema che usava i giocatori corrotti è mastodontico: parte dall’Asia, striscia in Europa, si infila negli armadietti dei giocatori di Lega pro e rimbalza sotto ai tacchetti dei campioni di serie A. Chissà se i tifosi manderanno giù anche questa. Ci hanno fatto innamorare talmente tanto di questo sport che violenteremmo i nostri pensieri per convincerci che sì, forse le partite sotto indagine sono state truccate, ma quella di domani no, impossibile. C’è da ricostruire il tessuto umano che dà vita al calcio, non avere fretta di dire “abbiamo finito, ecco il giocattolo ripulito”, aumentare i controlli ed evitare la giustizia-spettacolo. Poi, forse, prendere meno sul serio il circo pallonaro. La cosa più difficile.
Il Foglio sportivo - in corpore sano