Perché il calcio italiano non si può fermare
Il calcio italiano non si può fermare. Non è un capriccio, non stiamo sbattendo i piedi come quel bambino cui qualcuno, per dispetto, ha voluto togliere il pallone. Semplicemente non si può chiudere da oggi a domani un settore economico del Paese: “Parliamo di un’industria da 2,5 miliardi di euro, tra serie A, B e Lega Pro, con pesi e misure diverse, più l’indotto” ha detto al Foglio.it Marcel Vulpis, direttore dell’agenzia sporteconomy.it.
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Il calcio italiano non si può fermare. Non è un capriccio, non stiamo sbattendo i piedi come quel bambino cui qualcuno, per dispetto, ha voluto togliere il pallone. Semplicemente non si può chiudere da oggi a domani un settore economico del Paese: “Parliamo di un’industria da 2,5 miliardi di euro, tra serie A, B e Lega Pro, con pesi e misure diverse, più l’indotto” ha detto al Foglio.it Marcel Vulpis, direttore dell’agenzia sporteconomy.it. Il premier Mario Monti dovrà farsene una ragione, perché se da una parte il suo intervento voleva sottolineare lo sdegno per il calcioscommesse e le infiltrazioni criminali che stanno emergendo, dall’altra ha fatto la figura di tutti quelli che in Italia parlano di calcio pensando che sia solo un gioco, un passatempo per adulti poco cresciuti. “Senza dimenticare le penali che i club sarebbero costretti a pagare verso tutti i fornitori per i contratti già stipulati: dai giocatori agli sponsor. E' impossibile fermare il football tricolore sia dal punto di vista pratico che giuridico”, aggiunge Vulpis.
Anche l’affondo sui soldi pubblici è parso distratto o distraente, fate voi, fatto sta che lo sport più popolare, finché dura, non prende un euro dallo stato, versando 1.100 milioni l’anno all’erario e contribuendo con altri 64 al settore arbitrale, dilettanti, settore giovanile e scolastico, giustizia sportiva (in questo caso resta il dubbio sull’efficacia dell’investimento). Forse, però, l’industria calcio dovrebbe prendere in esame alcuni dati significativi e poco incoraggianti, segno di un disamore o di un incipit dello stesso. La stagione appena finita, infatti, ha registrato in serie A un calo di spettatori del 6,8 per cento rispetto a quella precedente, a un anno esatto dall’inizio dell’inchiesta Last Bet. Peggio di noi hanno fatto solo Austria (-10,3 per cento) e Grecia (-23,5), dove la crisi economica non scherza. Disaffezione o pecunia? Chissà, però in Portogallo sono aumentati dell’8,6 per cento, in Germania del 5,7, mentre Inghilterra e Francia segnano il passo: -1,9 e -4,4 per cento.
Secondo Marcel Vulpis il calcio in Italia rappresenta un ammortizzatore sociale, non si possono chiudere i rubinetti per due, tre, anni: “Sarebbe l’unica cosa per cui gli italiani farebbero la rivoluzione. Premesso che se saranno provate le accuse io sono per la radiazione, bisogna pensare, però, che solo in A ci sono circa 800/900 giocatori, fra tutte le rose, e al momento ne risulta indagato un 2, 3, per cento. Si dovrebbe essere capaci di fare pulizia senza danneggiare l’intero movimento. Anche perché dal 2000 a oggi gli episodi di calcioscommesse non sono stati rari e quasi sempre si è arrivati allo sport partendo dalla criminalità, ergo la magistratura ordinaria cosa ha fatto in tutto questo tempo?”.
Ma il direttore di sporteconomy.it punta soprattutto il dito contro le società: “Sta venendo fuori che gli incontri tra calciatori e personaggi equivoci avvenivano spesso negli alberghi dei ritiri. Chi doveva vigilare? Perché non l’ha fatto? La qualità manageriale del nostro calcio è bassa, non si devono lamentare della responsabilità oggettiva se nemmeno s’interrogano del perché i loro giocatori parlano con persone che non dovrebbero stare lì”. Difficile poi recuperare credibilità se ciclicamente ci ritroviamo tra scommesse (altra voce importante per l’erario), criminalità organizzata, calciatori, arresti, spettacolarizzazione degli stessi, in un gioco al massacro da dare in pasto al popolo straccione per fargli dimenticare tutto il resto. Difficile se poi vieni spinto a scommettere ovunque ti giri, su internet, sui giornali, grazie al parere di esperti famosi, fino a diventare malattia e anche costo sociale, altro che Scommessopoli.
In fondo c’è il calcio, troppo permeabile a certi ambienti, troppo in vista per farla franca, soprattutto quando alcuni tesserati fanno gli affari propri con i soldi altrui (non pubblici). Non resta che la Nazionale, simulacro capace anche in tempi recenti di ridare dignità al football italiano. Ma anche lei divide, tra chi vorrebbe ritirare gli juventini perché offeso, chi tiferà Irlanda perché così non si fa e chi ancora non ha capito perché Criscito sì e Bonucci no. Poi capita di comprare un magazine e leggere in copertina: Cesare Prandelli “Sono il Monti del calcio”.
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