Sofferente e calmo. Anzi fermo

Ratzinger nella bufera, il “riformista immobile” che piace ai progressisti

Paolo Rodari

Dice lo storico Alberto Melloni che Vatileaks è figlia di un attacco “da destra” contro Papa Ratzinger: “Quando Joseph Ratzinger era il teologo più stimato da Hans Küng, non era mai abbastanza künghiano per lo stesso Küng. Adesso che poteva apparire una specie di santo protettore del conservatorismo cattolico non è abbastanza conservatore per i conservatori”.

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    Dice lo storico Alberto Melloni che Vatileaks è figlia di un attacco “da destra” contro Papa Ratzinger: “Quando Joseph Ratzinger era il teologo più stimato da Hans Küng, non era mai abbastanza künghiano per lo stesso Küng. Adesso che poteva apparire una specie di santo protettore del conservatorismo cattolico non è abbastanza conservatore per i conservatori”. Insomma, secondo Melloni il Papa avrebbe tradito le aspettative dei conservatori che lo volevano puntuale prosecutore delle battaglie wojtyliane di una chiesa inserita nell’agone pubblico e per questo motivo egli subisce dagli stessi conservatori di curia la tempesta denominata Vatileaks. Una tempesta che, tra l’altro, ancora in queste ore si preannuncia ricca di colpi di scena. Ieri ci sarebbe stata una colazione in Vaticano fra Tarcisio Bertone, il manager ligure Giuseppe Profiti, e imprenditori anch’essi liguri al fine di vagliare la proposta di acquisizione di una banca straniera per consentire allo Ior di operare estero su estero.

    Si parla di nuovi interrogatori condotti dalla commissione cardinalizia incaricata e parallelamente dalla gendarmeria vaticana. Filtra la notizia della confessione di un laico che avrebbe ammesso di aver lavorato da dentro il Vaticano per fare uscire documenti “al fine di salvare il Papa da un piano massonico di distruzione della chiesa”. Insomma, di tutto di più, fino alla notizia di quattro persone, funzionari laici della Santa Sede, che sarebbero finite nel mirino della gendarmeria e che però, risiedendo in territorio italiano, non potevano essere oggetto d’indagine e quindi per ora non possono essere arrestate.
    Ma oltre le indagini, oltre le notizie certe e le tante ancora da verificare e vagliare, c’è il fatto, ineluttabile, di un Papa che sta trovando proprio nelle difficoltà il proprio passo più consono.
    Un Papa attaccato da destra, come sostiene Melloni, che “sta mostrando il proprio più genuino carattere, un Pontefice troppo prematuramente considerato, fin dai tempi in cui guidava l’ex Sant’Uffizio, il rottweiler di Dio”. A emergere sarebbe, secondo questa vulgata, il vero volto “spirituale” del successore del più “politico” Giovanni Paolo II.

    Martiniano doc, mantovano, assiduo frequentatore di Giuseppe Dossetti fino alla fondazione della comunità “Famiglie della Visitazione”, don Giovanni Nicolini spiega al Foglio che è in queste ore “che sta uscendo il vero Ratzinger”. Spiega: “Benedetto XVI lo ricordo da cardinale tenere una conferenza a Bologna. La sua idea di chiesa era di minoranza, una chiesa di piccoli gruppi che vivesse di semplicità e del solo annuncio evangelico. Non a caso, anche da Pontefice, ha parlato di ‘minoranza creativa’. Alle tempeste di questi giorni egli non risponde con potenti programmi di governo, con contro-evangelizzazioni che sposterebbero l’attenzione dal marciume interno alla battaglia in campo aperto. No, egli soffre come soffriamo noi tutti, ma nello stesso tempo accetta la realtà. La chiesa, la sua e la nostra chiesa, è anche questa melma. Ma è anche fatta di piccole comunità che vivono semplicemente in una società che non è più cristiana, una società nella quale occorre inserirsi con discrezione abbandonando l’inutilità delle crociate. Minoranza creativa significa essere piccole realtà che si fanno forti soltanto del proprio annuncio, senza imposizioni o inutili proselitismi”.

    Don Nicolini è cresciuto negli anni del dopo Concilio Vaticano II. La sua idea di chiesa è maturata sotto il pontificato di Giovanni Paolo II, un pontificato col quale evidentemente non era (eufemismo) in una piena sintonia. Alle battaglie di Karol Wojtyla in difesa della dottrina e dei princìpi egli avrebbe preferito “una grande riflessione dentro e fuori la chiesa”. Su cosa?  “Sull’idea stessa di chiesa, su cosa significa essere cristiani in un mondo che non è più tale”. Dice ancora: “E’ finita la cristianità come coincidenza di chiesa e stato, chiesa e cultura, chiesa e dimensione etica dei singoli. Del resto sono i fatti, drammatici e grotteschi, di queste ore a imporre questa evidenza. Anche a me dispiace, ad esempio, vedere che il terremoto ha distrutto le chiese intorno a Bologna, ma nello stesso tempo sono consapevole che sotto la distruzione c’è ancora una comunità che vive. Il Papa sembra inerme rispetto alla distruzione del Vaticano e comunque senz’altro se ne dispiace. Ma in realtà la sua arrendevolezza è voluta. Rimane fermo, quasi immobile, perché è consapevole che la chiesa non è ciò che appare, la chiesa sono i fedeli che questo venerdì andrà a incontrare a Milano, i fedeli che attendono il suo annuncio, la chiesa intesa come comunità, non come istituzione”.

    Insomma, dopo le fasi “mediatiche” e “aristocratiche” del pontificato di Wojtyla, Benedetto XVI ha di fatto aperto un nuovo capitolo? “Tutti i tratti del ‘wojtylismo pubblico’ sono stati abbandonati senza inutili esplicitazioni polemiche”. Un concetto che ha scritto bene anche Melloni nel suo “L’inizio di Papa Ratzinger”: “I viaggi sono cambiati. La visibilità televisiva è sfumata”. Anche perché “il credito intellettuale dell’uomo è tale da consentirgli le mosse più attese: fare le riforme dell’istituzione ecclesiastica centrale, soprattutto in senso sinodale, che un candidato della politica italiana avrebbe senz’altro trascurato e che un candidato d’apertura non avrebbe forse osato imporre”. Che abbia fatto o abbia ancora voglia fare le riforme, un dato emerge: Benedetto XVI, votato in conclave dall’ala conservatrice del collegio cardinalizio – i progressisti, non è un mistero per nessuno, gli preferirono prima Carlo Maria Martini e poi il gesuita argentino Jorge Bergoglio – sembra oggi la sponda più salda a cui possono guardare i cosiddetti conciliaristi. Nel cinquantesimo anniversario dell’apertura di quel Vaticano II di cui Ratzinger fu perito – per molti di orientamento progressista – Benedetto XVI trova a sinistra i principali e più convinti sostenitori della sua mite azione riformatrice: vedono in lui l’antidoto al centralismo del “partito romano”, a quel papocentrismo che ha fatto grande il suo predecessore. All’opposto, c’è chi ritiene che gli auto proclamatisi ratzingeriani doc, suoi elettori in conclave, siano diventati per lui la principale zavorra alla sua stessa idea di chiesa e insieme al suo operato di purificazione. Sembra essere questa, almeno osservata dall’ottica del progressismo più fedele alla propria tradizione, la nemesi più evidente e clamorosa che Vatileaks consegna agli annali della storia ecclesiastica. Di certo, c’è un fatto: ancora una volta Ratzinger si dimostra irriducibile agli stereotipi che cercano di imbrigliarlo.

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