Messaggio di Maroni al Cav.: sono pronto a tornare vostro alleato

Salvatore Merlo

Martedì della scorsa settimana Roberto Maroni è sceso a Roma, per la seconda volta in un mese, ma in questa occasione, a differenza della precedente, non ha fatto nessuna visita confidenziale al segretario del Pdl Angelino Alfano. Nella capitale, l’ex ministro dell’Interno ha piuttosto cercato un contatto, il più discreto possibile, per raggiungere Silvio Berlusconi e fargli recapitare un messaggio che non fosse soltanto frutto dei suoi colloqui – costanti – con Alfano: “In una federazione del centrodestra io ci sto. Ma voglio le candidature al nord”.

    Martedì della scorsa settimana Roberto Maroni è sceso a Roma, per la seconda volta in un mese, ma in questa occasione, a differenza della precedente, non ha fatto nessuna visita confidenziale al segretario del Pdl Angelino Alfano. Nella capitale, l’ex ministro dell’Interno ha piuttosto cercato un contatto, il più discreto possibile, per raggiungere Silvio Berlusconi e fargli recapitare un messaggio che non fosse soltanto frutto dei suoi colloqui – costanti – con Alfano: “In una federazione del centrodestra io ci sto. Ma voglio le candidature al nord, a cominciare dalla Lombardia. Formigoni è d’accordo”.

    La proposta di alleanza prevede infatti alcune condizioni che Maroni ha elencato al suo interlocutore romano, Osvaldo Napoli, vicepresidente del gruppo del Pdl alla Camera, uno di quei (pochi) deputati ai quali il Cavaliere risponde al telefono, e che Maroni conosce bene dai tempi in cui Napoli era presidente dell’Anci e lui, invece, alla guida del ministero dell’Interno. Il deputato del Pdl ha poi telefonato a Berlusconi trasmettendogli il messaggio, e ha riferito del colloquio anche al segretario Alfano. Questo più o meno il sottotesto: Maroni ritiene vicine, vicinissime, le dimissioni di Roberto Formigoni in Lombardia. Con il governatore ciellino, Maroni ha già stretto una specie di accordo: le elezioni lombarde saranno a ridosso delle politiche del 2013, quando la scadenza naturale sarebbe invece nel 2015. “Formigoni si dimetterà”. Così al Cavaliere, Maroni ha voluto far sapere che la sua Lega è disponibile a federarsi con un ipotetico “nuovo” centrodestra all’interno del quale Berlusconi dovrebbe assumere un ruolo più defilato. La contropartita consiste in “tutte le candidature che contano al nord” a cominciare da quella poltrona, al momento occupata da Formigoni, che il nuovo leader della Lega immagina di poter occupare lui stesso. Maroni pensa tuttavia anche a Matteo Salvini e infatti pubblicamente dice di non voler fare il governatore. Ma ci pensa, eccome, a ricoprire il doppio incarico di segretario federale della Lega e di presidente della regione più ricca d’Italia (il governatore veneto Luca Zaia sarebbe vicesegretario).

    Formigoni è della partita. Secondo fonti leghiste, il “Celeste” sta negoziando la sua uscita di scena proprio con i padani: in cambio riceverebbe dalla Lega (questo è almeno quello che dice Maroni) una sorta di investitura da “ambasciatore del nord” presso a Roma. Un’investitura utile, spendibile nei nuovi equilibri del centrodestra rifondato. Tutto vero o verosimile, ammesso che le inchieste giudiziare, nel frattempo, non lo travolgano. Ma in quel malaugurato caso, dell’assenso di Formigoni, Maroni sa benissimo di poter fare anche a meno. E infatti non si cruccia troppo.

    Il progetto di alleanza in stile bavarese è tuttavia complicato, e non solo perché è complicata la presa del potere di Maroni nella Lega (oggi il faticoso congresso in Veneto). Un’alleanza territoriale tra Lega e Pdl, con la Lega che non si candida a Roma, sarebbe possibile e conveniente solo nel caso in cui venisse riformata la legge elettorale. Il “Porcellum”, infatti, alla Camera, prevede un premio di maggioranza nazionale che renderebbe inutile, se non dannoso, lo schema “Csu bavarese”. Non è un caso che in queste ore, al Senato, Pdl e Lega siano tornati a muoversi insieme sul pacchetto delle riforme istituzionali. A cominciare, guarda caso, da quel semipresidenzialismo che si accompagna a una legge elettorale con il doppio turno.

    Tutti i partiti si muovono sulle sabbie mobili. E nella confusione che agita il Palazzo, i disegni strategici, spesso, sono destinati a essere frustrati dall’incalzare degli eventi, degli scandali, e persino delle mobili inclinazioni di un Berlusconi incerto tra la trama diplomatica e la tentazione muscolare di riproporsi sul mercato della politica.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.