Papa Benedetto XVI è in città, prima in Duomo e poi alla Scala. Bertone, a sorpresa, è con lui

Miracolo a Milano

Cristina Giudici

Non un lungo viaggio, come fu quello di San Carlo quando tornò a cavallo da Roma, per riformare, dalla sua Milano, la chiesa intera. E’ una breve distanza, oggi, quella che separa il Vaticano dall’Archidioecesis Mediolanensis, ma sufficiente per una salutare boccata d’aria, un bagno tra la folla che lo ama, lontano dai miasmi della Curia e dalle ombre dei corvi. E’ uno strano viaggio, festoso e drammatico a un tempo, quello che inizia oggi per Benedetto XVI, il Papa mite e teologo che ama lo studio e la scrittura, l’intimità più che la scena, la preghiera più che il governo.

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    Non un lungo viaggio, come fu quello di San Carlo quando tornò a cavallo da Roma, per riformare, dalla sua Milano, la chiesa intera. E’ una breve distanza, oggi, quella che separa il Vaticano dall’Archidioecesis Mediolanensis, ma sufficiente per una salutare boccata d’aria, un bagno tra la folla che lo ama, lontano dai miasmi della Curia e dalle ombre dei corvi. E’ uno strano viaggio, festoso e drammatico a un tempo, quello che inizia oggi per Benedetto XVI, il Papa mite e teologo che ama lo studio e la scrittura, l’intimità più che la scena, la preghiera più che il governo. E che governo. Qui, nella diocesi cattolica più grande d’Europa, con le sue 1.107 parrocchie, la diocesi di Cl e del lungo episcopato di Carlo Maria Martini e adesso guidata dal cardinale Angelo Scola, fortemente voluto da Ratzinger; qui dove l’affetto per Dionigi Tettamanzi e ancora forte e vivo, ma oggi Scola, dopo qualche diffidente esitazione, è considerato da tutti un vescovo in grado di unire le differenti anime ambrosiane. E’ qui che forse Benedetto XVI, lontano da una curia che gli procura molta angoscia, troverà un po’ di pace. Nell’incontro di fede e affetto con chi lo ama, che poi è una delle cose che sa fare meglio. Nella terra di sant’Ambrogio che disse: “La Scrittura divina si beve, la Scrittura divina si divora… il succo della parola eterna discende nelle vene della mente e nelle energie dell’anima”. Questo almeno – prima ancora che un’impressione da osservatori esterni – è il sentire comune del suo gregge ambrosiano che da giorni si raccoglie fra veglie e feste, sconcerto e smarrimento, in attesa del suo arrivo. La chiesa ambrosiana con tutte le sue anime che un po’ si sforza, e un po’ non ne ha bisogno, di dimenticare ciò che sta accadendo nei Sacri Palazzi.

    Teologi, parroci, semplici fedeli: qui tutti preferiscono focalizzarsi sul tema della visita del Papa, il VII Incontro mondiale delle famiglie, rilanciato due giorni fa al Congresso teologico pastorale dove, davanti a migliaia di persone, il cardinale Gianfranco Ravasi ha esordito con l’incipit di “Anna Karenina” e ha parlato della famiglia come una casa di tre stanze: quella del dolore, del lavoro e della festa. Per l’arrivo del Pontefice i cattolici milanesi hanno recitato rosari nei cortili di periferia, aperto oratori e parrocchie per accogliere e festeggiare i pellegrini arrivati da 190 nazioni, 11 mila famiglie hanno aperto le loro case e offerto 37 mila posti letto. Tutti, contro le ombre calate sul Vaticano e sul pontificato di Benedetto XVI, preferiscono usare il linguaggio del cuore che quello della ragione.

    Gioia e preghiere, sconcerto e smarrimento. Sicura fedeltà al Papa, senza badare a uccellacci e uccellini, ma anche, percepibili qua e là, domande di rinnovamento, di pulizia. Ha molti volti, l’attesa della chiesa di Milano per l’arrivo del Papa. Come del resto ha tanti volti, tante anime anche non sempre compatibili, sotto il profilo delle sensibilità ecclesiali, sociali e persino politiche, la chiesa ambrosiana. In via Padova il parroco del quartiere più multietnico di Milano, don Piero Cecchi, è tornato nei cortili delle case popolari per recitare il rosario con le famiglie meno abbienti ma anche per lanciare un severo monito contro la corruzione, pregando per i terremotati e rammentando che la famiglia parrocchiale è il rifugio “di tutte le famiglie”. I fedeli pregano e dicono “sentiamo un grande dolore per il nostro Papa, preghiamo per lui, e come milanesi siamo orgogliosi che venga a salutarci”.
    Con molte attese e aspettative, però, per ciò che il Papa dirà oggi durante l’adorazione eucaristica in Duomo e poi domenica, durante la messa all’aeroporto di Bresso. Non solo sulla famiglia, tema ufficiale del convegno mondiale e che per i credenti è il mattone su cui si edifica la chiesa, (anche se un sociologo autorevole dell’Università Cattolica, Mauro Magatti, ha già fatto il ritratto della scomposizione della famiglia nella città che ha più single d’Europa), ma anche sul momento delicatissimo che sta attraversando il suo pontificato. Insomma una parola di chiarezza. Senza mai dimenticare però, con l’anima sociale del cattolicesimo lombardo, il dramma della disoccupazione, spiega al Foglio don Marco Borghi, parroco di Cormano, che ha celebrato messe nei capannoni delle aziende in crisi. Mentre tutte le parrocchie del centro di Milano vogliono mostrare una comunità meneghina col cuore in mano. E, indipendentemente dal proprio percorso spirituale, vogliono dimostrare che ci sono molti modi per raggiungere un unico obiettivo: servire il Signore.

    “Il Papa è il Papa”, ripetono i fedeli che affollano i cortili delle parrocchie e gli stand della fiera internazionale della famiglia. Un po’ come se questa affermazione universale bastasse a spiegare tutta la loro fede nel ruolo salvifico della chiesa, messa a dura prova dal Maligno e dai limiti e dalle debolezze degli esseri umani, compresi quelli che si consacrano al Signore. Cardinali o parroci che siano. “Mi aspetto che il mio Papa mi dica qualcosa, che mi dia un segno per capire dove dobbiamo dirigerci”, spiega un’altra signora mentre recita le Ave Maria e pensa con entusiasmo ai suoi ospiti arrivati da Chieti, che dormiranno nella sua stanza, mentre lei riunirà la famiglia in salotto. Aspettative e trepidazione. Ma anche sconcerto, e molto, e tanto dolore. Questa è la gamma dei sentimenti che si registrano nelle parrocchie. Anche in quelle più vivaci, come la Chiesa del SS. Redentore di via Palestrina, dove don Natale è riuscito è sintonizzarsi con il quartiere, e dunque anche con le famiglie “scomposte”, coppie separate, miste, allargate, per creare uno degli oratori più accoglienti e frequentati di Milano, puntando la sua missione sull’educazione. E nell’atmosfera gioiosa della sua parrocchia, dove i pellegrini africani cantano in omaggio alle famiglie che li ospitano, preferisce sottolineare che la chiesa è una, e la continuità fra l’episcopato del cardinal Tettamanzi e quello del cardinale Scola, “che vuole unire e non dividere”, dice al Foglio.

    Un pensiero condiviso anche da don Virgilio Colmegna, simbolo dell’anima sociale, martiniana e poi tettamanziana, della diocesi milanese, che al Foglio commenta: “Il vescovo Scola ha dato prova di voler puntare sulla continuità con una nomina significativa: quella a Varese di Franco Agnesi, uno dei sette vicari episcopali, cresciuto a fianco del cardinal Martini. In ogni caso, nelle parrocchie milanesi si respira molta vivacità, che è sempre stata la cifra di una diocesi molto salda, forse l’unica che sia rimasta anche un presidio sociale sul territorio”, dice. Ma, aggiunge, “c’è anche uno sconcerto sofferto per ciò che sta affrontando il Papa. Non sentono rabbia o indignazione, anzi il Papa viene percepito come vittima, ma è chiaro che bisognerebbe ritornare alla grande intuizione del Concilio Vaticano II, e ridare slancio alla profezia evangelica”. Una richiesta di riforma, sul declinare del pontificato di Benedetto XVI, in nome di una chiesa popolare che non ha dimenticato i messaggi critici della società materialista contenuti nell’enciclica “Caritas in Veritate”.
    Addolorato, come ha affermato di essere il Papa, è anche Pigi Colognesi, giornalista e scrittore e membro dei Memores Domini di Cl, l’associazione di consacrati nata dal movimento di cui fanno parte anche le quattro laiche consacrate che accudiscono a Roma Papa Ratzinger. Lui vive con altri nove adulti in una casa-comunità a Dergano, e un membro della sua “famiglia” parteciperà al coro di mille fedeli alla messa di domenica. “Ne abbiamo parlato durante le nostre cene o i nostri incontri settimanali”, confida al Foglio. “Sì, sono addolorato per le difficoltà che sta attraversando la chiesa, ma dall’arrivo del Papa mi aspetto speranza e conferma nella fede. Invece c’è una cosa che non sopporto dei tuttologi che pontificano sul pontificato: la chiesa non ha bisogno di essere salvata. E’ essa che salva noi”.
    Insomma, quelli che non si curano dei drammi vaticani paiono essere solo i pellegrini, le migliaia già arrivate a Milano con uno sguardo allegro e stupefatto, trepidanti per l’incontro col Papa. E infatti i parrocchiani preferiscono raccontare la commozione di aver aperto loro le proprie case. Come Marta, separata dal marito perché la sua depressione stava danneggiando la stabilità dei loro figli, “ma dal Papa andiamo tutti insieme”, dice lei che, indossato l’abito del Camerun ricevuto in omaggio dalla sua ospite, racconta fra le lacrime di essere riuscita a fare la sua opera di bene alla vigilia dell’arrivo del Papa. Ossia invitare anche i figli della sua ospite, che vivono in Germania e in Francia, e non vedono loro madre da nove anni. “E’ stata una Grazia che ho ricevuto, grazie all’arrivo del Papa. Certo, è un momento drammatico, ma sono felice perché anche quando manca tutto il Signore c’è”.

    Alla Fiera internazionale della famiglia c’erano tutti i volti del cattolicesimo ambrosiano. Anche quelli più conservatori. “L’ultima volta che è venuto un Papa a Milano era il 1984, e ancora ricordo la pioggia fittissima e la messa nel fango con Giovanni Paolo II. Da Papa Ratzinger mi aspetto conforto”, commenta un membro di Alleanza Cattolica, Roberto. “E’ una Grazia,”, aggiunge Pupa, del movimento Rinnovamento nello Spirito Santo. “Il Papa deve risvegliare Milano, qui nessuno ha tempo per gli altri, e se non hai tempo per gli altri non hai tempo per Dio”. “Il male esiste e non si può evitare, così non ci può aspettare che l’uomo non abbia limiti”, osserva un’altra fedele arrivata dalla Brianza. Dispensatori di veleni e corvi? “Se la vedranno con Dio, ma il Papa è il Papa”, dicono e ribadiscono tutti. Conservatori o progressisti,  non importa, la risposta è sempre la stessa, fra orgoglio, comprensione e un po’ di amarezza per una festa sulla quale non avrebbero dovuto aleggiare le ombre degli uccellacci neri.

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