Cronaca di un'ingiustizia annunciata
Tutta la verità sulla campagna contro Antonio Fazio (e Bankitalia) e i danni che causò
"Perché il fatto non sussiste”. Il collegio giudicante della Corte di appello di Milano, con grande onestà intellettuale e indipendenza, ha riconosciuto che non c’è stato “il fatto”, l’illecito tentativo di scalata alla Bnl a opera di Unipol: non vi è stato, cioè, aggiotaggio e pertanto non vi è stato in esso il “concorso morale” per il quale il primo grado aveva irrogato all’ex governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio, una pena di tre anni e mezzo, oltre a una serie di obblighi di risarcimenti e sanzioni pecuniarie.
"Perché il fatto non sussiste”. Il collegio giudicante della Corte di appello di Milano, con grande onestà intellettuale e indipendenza, ha riconosciuto che non c’è stato “il fatto”, l’illecito tentativo di scalata alla Bnl a opera di Unipol: non vi è stato, cioè, aggiotaggio e pertanto non vi è stato in esso il “concorso morale” per il quale il primo grado aveva irrogato all’ex governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio, una pena di tre anni e mezzo, oltre a una serie di obblighi di risarcimenti e sanzioni pecuniarie. Tutto ora cassato. E’ stato un sogno. Che, però, per gli imputati si è tramutato in un incubo durato circa sette anni. La vida es sueño, secondo Calderón de la Barca. Ma questo è stato un pessimo sogno dell’irreale che ha privato le istituzioni pubbliche dell’apporto, della competenza e della non comune esperienza di Antonio Fazio proprio quando la crisi globale (si ricorderanno le sue riflessioni, agli inizi degli anni Duemila, sui derivati e sui gravi rischi dell’operatività delle due agenzie americane Fannie Mae e Freddy Mac, lucidamente previsti anni prima del loro dissesto) ha dato ragione alle sue tesi e alla sua opera di governatore per oltre dodici anni. Salta, con il sereno giudizio della Corte milanese, l’assurda tesi che voleva Fazio quale regista occulto delle due scalate strettamente connesse – ad Antonveneta e a Bnl, nel 2005 – come in questi anni si è voluto vedere da osservatori la cui testa ha la mera funzione di separare le orecchie: una regia coordinata per dirigere le due scalate italiane, ipotizzando un mondo di robot che eseguivano pedissequamente le strategie malefiche del governatore.
C’è da ridere, se non fosse doveroso lo sconforto per il livello in cui in certi momenti è giunto il dibattito politico-economico e per il modo proditorio in cui si condusse tra il 2004 e il 2005, da consorterie partitiche, economiche e finanziarie l’attacco alla Banca d’Italia, rea di agire con indipendenza e guardando agli interessi generali. Agì quella che Pier Luigi Bersani ben definì “canea”. Soprattutto a proposito della scalata Unipol-Bnl, su di una larga fetta della stampa, in questi anni, si è sottoposto un servitore pubblico alla continua gogna; si sono adombrati deteriori rapporti con la politica; si è scritto di tutto e di più: qualcuno gli imputò anche come negativa la conoscenza delle opere di Tommaso d’Aquino.
La sentenza ripara alle conseguenze di oltre sei anni di accuse infondate, meccanicamente riportate su alcuni giornali, in alcuni casi con cattiveria, mai chiedendosi perché mai il governatore avrebbe dovuto violare la legge; o trovando ragioni pretestuose, come la voglia di Fazio di rimanere a lungo in carica, quando egli era inamovibile per almeno altri otto anni – ammesso che avesse voluto rimanere – in base allo Statuto della Bce, anche se si fosse posto un termine con una legge al suo incarico, oppure sostenendo che l’ex governatore inseguiva un disegno di potere che non si è mai capito in cosa consistesse. Sono le miserie di un “effetto gregge” che ha caratterizzato settori della cronaca pur dopo che Fazio, con dignità e autonomamente, aveva deciso di dimettersi dall’incarico per non trascinare la Banca d’Italia nel vortice delle polemiche che si erano scatenate sul caso Unipol-Bnl, a un certo punto anche più violente di quelle sulla vicenda Antonveneta. Una decisione da uomo di stato.
“Il fatto non sussiste”: una disfatta maggiore per gli accusatori non si poteva conseguire, per di più dopo l’assoluzione in primo grado anche di Francesco Frasca, il direttore centrale della Vigilanza, anch’egli ingiustamente accusato. Ma il prezzo che essi hanno pagato è enorme, come enormi sono stati gli oneri per le istituzioni, per l’economia, soprattutto per la Banca d’Italia. Fazio non aveva mai parlato di italianità delle banche. Aveva sempre sostenuto che, perché la discrezionalità tecnica della Banca centrale potesse esplicarsi in occasione di progetti di aggregazione, occorreva parità di condizioni tra banche italiane e banche estere nonché osservanza puntuale della normativa. E, comunque, nel caso Bnl non si era neppure rilasciata l’autorizzazione all’Opa di Unipol che poi, nel 2006, sarà definitivamente negata. In cosa consistesse il concorso morale nell’aggiotaggio era impossibile capire, tanto che il collegio giudicante ha dovuto concludere che il fatto non era avvenuto.
Questa vicenda aveva avuto finanche l’effetto di far dimenticare l’opera di Antonio Fazio per rilanciare il sistema bancario a partire dalla metà degli anni Novanta quando molte banche italiane erano considerate dalla stampa estera “in agonia”. Fu allora promossa – e poi seguita da altre iniziative – una ristrutturazione che richiese oltre trecento operazioni di aggregazione e di consolidamento: una riorganizzazione che trova l’unico precedente in quella che avvenne negli anni Trenta, dopo la Grande depressione e in coincidenza con l’approvazione della legge bancaria del 1936. Fu così data stabilità al sistema e furono alimentati i fattori della concorrenza. Un sistema bancario ben capitalizzato, razionalizzato, reso più efficiente costituì la base fondamentale per la capacità che negli anni vicini a noi ha dimostrato nel sapere resistere alla crisi globale meglio delle banche di molti altri paesi, soprattutto meglio delle banche spagnole che, secondo alcuni sapientoni, si sarebbe dovuto imitare – e si vede oggi la loro condizione – e di quelle irlandesi che pure dovevano costituire un esempio, a sentire l’ineffabile commissario irlandese Ue, Charlie McCreevy (come sia poi finita per loro lo sappiamo).
Ma Antonio Fazio ha dato un apporto fondamentale, nell’ultimo decennio del Novecento, anche all’abbattimento dell’inflazione con la politica monetaria, allora nella disponibilità della Banca d’Italia e ha contribuito, con quest’opera, all’ingresso dell’Italia nell’Unione monetaria ed economica, che però sarebbe dovuto avvenire con ben altra preparazione sul versante delle politiche per le riforme strutturali: punto sul quale egli continuamente insisteva e oggi i fatti gli danno piena ragione. Si leggano le Considerazioni finali di Fazio nei dodici anni di guida dell’Istituto: produttività, competitività, consolidamento fiscale, sviluppo sono i temi con i quali ci confrontiamo oggi, ma erano i tratti fondamentali delle analisi e proposte sue e della Banca da lui diretta.
Tra il ’95 e il ’97, l’azione della politica monetaria portò i differenziali Btp-Bond che sfioravano gli 800 punti base – dopo la crisi del Messico e le crescenti aspettative di inflazione – verso i 300 punti base per poi incamminarsi sotto i 200. Corsi e ricorsi storici. La Banca d’Italia di Fazio aveva sviluppato la ricerca economica e istituzionale, gelosa della sua autonomia, mai separatezza, vista sempre come un servizio al paese. Su queste basi, con Mario Draghi prima e con Ignazio Visco ora, la Banca ha accresciuto prestigio e credibilità interna e internazionale; ha operato e opera rafforzando ancora il sistema bancario, difendendo, con le analisi, con le proposte, con l’agire nei diversi campi di competenza, l’autonomia dell’Istituzione.
In questa sua opera Fazio incontrò non poche opposizioni: basti pensare a quelle dell’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti sulle fondazioni di origine bancaria e sui conti pubblici a proposito dei quali l’ex governatore sosteneva, dati alla mano, la necessità del risanamento e della promozione delle riforme di struttura. Il prezzo pagato in questi anni, come si è detto, è stato eccezionale. Ma Antonio Fazio ha una fortissima tempra morale e la certezza di avere agito correttamente: il che lo sostiene non poco, mentre il sogno-incubo si allontana e torna la realtà che, a breve, imporrà a tutti di riscrivere la storia di questo tormentatissimo periodo e di chiedersi perché si volle la fine di quel governatorato.
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