Il boss e la Spectre.it

Marianna Rizzini

Che cosa c’entrino i boschi con il Movimento 5 stelle, dato quasi al 19 per cento nell’ultimo sondaggio Ipsos a “Ballarò”, non è di evidenza immediata. Eppure un bosco c’è, in questa storia: il bosco di Gianroberto Casaleggio, presidente della Casaleggio Associati, l’azienda di comunicazione e marketing sul Web che secondo alcuni ha stregato Beppe Grillo al punto da farlo parlare come un ventriloquo (per conto di Casaleggio) e secondo altri ha soltanto dato una bella mano a Beppe Grillo (altrimenti analfabeta della rete con eco circoscritta alle sue pur affollate performance da comico).

    Che cosa c’entrino i boschi con il Movimento 5 stelle, dato quasi al 19 per cento nell’ultimo sondaggio Ipsos a “Ballarò”, non è di evidenza immediata. Eppure un bosco c’è, in questa storia: il bosco di Gianroberto Casaleggio, presidente della Casaleggio Associati, l’azienda di comunicazione e marketing sul Web che secondo alcuni ha stregato Beppe Grillo al punto da farlo parlare come un ventriloquo (per conto di Casaleggio) e secondo altri ha soltanto dato una bella mano a Beppe Grillo (altrimenti analfabeta della rete con eco circoscritta alle sue pur affollate performance da comico). “Curare il bosco in solitudine libera i pensieri”, dice un conoscente di Casaleggio che individua in “antiche regole dei druidi” la mistica dell’andare per fratte a raccogliere erbacce, rametti, schifezze lasciate in giro da turisti non equi e non solidali, lasciando intanto correre la mente “oltre le pastoie della vita quotidiana” al punto da recuperare idee nascoste chissà dove – e chissà se allora è il bosco di Settimo Vittone nei pressi di Ivrea, dove Casaleggio si rifugia nel fine settimana, ad avergli ispirato l’inversione a “u” degli ultimi giorni, lo strappo nella strategia di comunicazione finora web-centrica: una lettera (sua) al Corriere della Sera mercoledì, un’intervista (di Beppe Grillo) a Sette il venerdì, un’intervista del neo sindaco di Parma Federico Pizzarotti a Chi il giovedì. Roba incredibile per uno che da anni – di persona, nei libri o per bocca di Beppe Grillo – va dicendo che la carta stampata è morta, che i giornali sono mummie di faraone incartapecorite, che il futuro economico, politico e mediatico è la rete e se non ti sei già arreso tanto peggio per te.

    Non ha l’aspetto dell’elfo, Casaleggio (Filippo Facci, sul Post, dopo aver segnalato le sue profezie apocalittiche nel videomessaggio “Gaia”, l’ha definito “un Angelo Branduardi ingrassato”). Ma delle foreste è invaghito fin da quando, a metà degli anni Settanta, ventenne con un diploma da Perito informatico in tasca e un bambino in arrivo, lasciò gli studi universitari di Fisica, troppo densi di matematica, per un posto alla Olivetti. La sua vena mistico-forestale è stata l’inizio di tutto, ma oggi è aggravamento di tutto, per gli adepti di Grillo più allarmisti, quelli che sul Web scaricano la loro apprensione e avversione contro il cosiddetto “guru”, “l’oracolo”, il “profeta”, il presunto ispiratore dei post dispotici contro Valentino Tavolazzi, consigliere comunale di Ferrara prima espulso dal movimento per una riunione troppo indipendentista agli occhi di Grillo (o di Casaleggio) e poi oggetto di veto: tu a Parma a fare il direttore generale del neo sindaco Federico Pizzarotti non ci vai (“scelta impossibile, incompatibile e ingestibile politicamente”, ha scritto Grillo sul suo blog, ma molti attivisti e lo stesso Tavolazzi ci hanno visto lo zampino di Casaleggio). “Casaleggio vuole fare di noi un esperimento con cavie umane”, hanno detto qualche mese fa alcuni movimentisti in una conversazione privata on line, letta poi da tutti per uno scherzo di spionaggio interno che ha provocato una guerra di post e contropost. “Casaleggio ha dato l’impressione di aver ispirato un diktat contro Tavolazzi, e di non gradire la spinta alla democratizzazione del movimento”, dice Angelo Storari, attivista ferrarese.

    “Casaleggio ha fatto riunioni a Milano con i candidati”, dice Paolo Putti, ex candidato genovese che ha sfiorato il ballottaggio alle ultime amministrative, e che oggi, da “educatore e da persona che sa di non sapere”, si “rifiuta di amplificare i deliri d’onnipotenza e di giudizio delle persone”. “Quello che ho visto in quelle riunioni”, dice Putti, “è un Casaleggio che dava consigli a dei neofiti della politica, persino umile rispetto a quello che avevamo da dire sulla partecipazione dal basso e sull’accessibilità alla rete”.
    Ma questa è solo la superficie. E’ nel “profondo Web”, come lo chiama Casaleggio in “Siamo in guerra”, il libro-pamphlet scritto a quattro mani con Grillo (Chiarelettere), che il personaggio Casaleggio è criticato, temuto, disegnato come il capo misterioso di una Spectre grillina e di un sottostante inner circle di potenti che finge di pestare le multinazionali per salvarle, seppure issando la bandiera ambientalista. Guardate dove ha lavorato, dicono quelli del sito movimentorevolution, raccoglitore di doglianze e delusioni di ex attivisti pro Grillo fulminati sulla via della realtà: ci avevi dato un sogno e ce l’hai tolto, credevamo nella democrazia diretta e ci hai fregati, credevamo in te, caro Beppe, ma ora, stai sicuro, faremo da soli.

    Serenetta Monti, che nel 2008 si candidò sotto le insegne di Grillo a Roma, ottenendo 44 mila voti, e che poi si allontanò anche per dissenso metodologico con un Grillo sempre più “lontano” da Roma e dai suoi problemi, oggi dice di non aver avuto “rapporti diretti” con Casaleggio, in quel periodo, ma di aver constatato una “resistenza” nel comico e nel cosiddetto “staff” ad avviare “un percorso” per la creazione “di un coordinamento staccato dal nome di Grillo” e di aver saputo in un’altra occasione che Casaleggio aveva reclutato alcuni attivisti piemontesi (“reperimento coatto”, dice scherzando sì e no) per la gestione dei forum sul sito di Grillo. Cosa pure normale, si dirà, per un movimento politico che si identifica con un leader carismatico, non fosse che Grillo e Casaleggio fanno una testa così a tutti e dappertutto, l’uno nei comizi l’altro in libri e video, con la democrazia diretta “a portata di clic”, con il mantra “ognuno vale uno”, con l’Islanda dove si fa marameo alla finanza mondiale e si cambia la Costituzione con i cittadini sul Web (“ti credo, sono quattro gatti”, dice un esponente del Pd).

    Certo è che, ad ascoltare i videomessaggi diffusi negli ultimi anni da Casaleggio, alcuni in prima persona altri soltanto come autore di un testo recitato in inglese da voce robotica, invece di aver voglia di abbandonarsi sempre più alla magia del Web, viene voglia di fare marcia indietro, cancellarsi da Facebook, cancellarsi da Twitter, ricominciare a scrivere a penna anzi a matita per non lasciare tracce, e soprattutto di ignorare Google, il luogo immateriale che inghiottirà tutto espandendosi fino a formare un unico cervellone dove si compra memoria e si diventa avatar di se stessi, profezia di Casaleggio nel video “Prometeus”, che inizia con la frase “l’uomo è Dio, è ovunque, è chiunque, conosce ogni cosa” e prosegue con l’idea che “la realtà” potrà essere replicata in Second Life al punto da poter “andare su Marte e alla battaglia di Waterloo” e diventare spirito virtuale che sceglie chi diventare nel mercato virtuale globale. “Ma sì, è perché la Casaleggio Associati si occupa di e-commerce”, dice un analista di mondi web sdrammatizzando lo scenario dipinto dal Casaleggio più ispirato, ma a guardare il video “Gaia”, quello segnalato da Facci, lo scenario si fa ancora più fosco: spariremo in tanti, resteremo un miliardo, sparirà San Pietro, Notre Dame e la Sagrada Familia, ci sarà la guerra tra l’occidente del libero accesso al Web e il medio oriente oscurantista alleato con Russia e Cina. Ci sarà la Terza guerra mondiale (durata ventennale), verrà la fame, verrà l’inondazione (le sette piaghe no?) ma non temete, dice il testo di Casaleggio con ottimismo sinistro, nel 2043 il Web democratico si farà panacea: i sopravvissuti saranno tutti governanti, tutti presidenti, tutti nelle comunità guidate dagli ambientalisti, tutti con identità elettronica nel grande social network mondiale, tutti senza religioni, partiti e governi, tutti salvi grazie alla rete, erede dei migliori comunicatori della storia secondo Casaleggio (ovvero Gengis Khan e i suoi cavalieri-informatori-staffetta, Savonarola con le sue lettere pubbliche, Benito Mussolini e Adolf Hitler per la propaganda e Bill Clinton per la presa sugli elettori). Tutti controlleranno tutti, tutti decideranno tutto, tutti cliccheranno qualsiasi cosa.

    Si capisce che Antonio Di Pietro, cliente di Casaleggio nella fase d’oro del suo blog, a un certo punto abbia deciso di soprassedere. Dovete affidarvi ai loro consigli, diceva però all’inizio ai suoi collaboratori, indicando quegli strani milanesi giunti a Roma con un’aria marziana, vestiti da gente che è stata in America e sa tutto di “dotcom”. Poi vennero le riunioni al ministero con lui, Casaleggio, l’uomo alto con i capelli frisé, i golf pastello e la cravatta sempre e comunque, e vennero le profezie di sventura pronunciate da Casaleggio davanti ai capi degli uffici stampa ministeriali, non prima di aver educatamente ascoltato – “sì, sono d’accordo”, diceva, ma anche “la carta è finita, morta, sepolta”. “Pareva Obi-Wan Kenobi”, dice oggi un dipietrista esperto di “Guerre stellari”, ricordando i giorni in cui “Tonino pendeva dalle labbra” del Casaleggio guru cibernetico cui consegnare il futuro internettiano dell’Italia dei valori. “Sembrava Telespalla Bob”, ha raccontato alla Stampa un ex collaboratore di Di Pietro, scherzando sul cattivo dei “Simpson” che trama nell’ombra.

    Ma se si chiede di Casaleggio a chi Casaleggio l’ha conosciuto negli anni della grande bolla della New economy, tra la fine degli anni Novanta e l’inizio del Duemila, ci si sentirà rispondere: “Casaleggio? Una persona che sapeva fare il suo mestiere, uno che incontravi al bar a bere un cappuccino e non pareva certo un invasato, piuttosto un vero esperto, uno che aveva studiato che cosa succedeva nel mondo”, dice un blogger che negli anni Duemila vedeva Casaleggio tra Milano e Ivrea. “Eravamo in pochi”, dice un manager di un’azienda di servizi sul Web, “Casaleggio era in anticipo sui tempi, lo sapeva, e se la tirava un po’”. Concetti come “comunicazione virale” e “guerrilla marketing” cominciavano a circolare nelle riunioni tra ingegneri e smanettoni che sognavano un futuro da Steve Jobs e invece si ritrovavano a Milano, in qualche teatro con sala-aperitivo, a guardarsi in faccia tra primi blogger italiani. Casaleggio c’era, ma non si faceva vedere più di tanto, come adesso. Faceva come ha fatto l’inverno scorso a Roma, in una libreria: Grillo che si scalda con i suoi cavalli di battaglia – “voglio dire io se e come spendere i soldi, ioooo” – e Casaleggio nascosto dietro alla colonna, con gli occhiali tondi e l’aria da gatto tipica dei padroni entusiasti di gatto (lui ne ha due). Zitto, sempre più schiacciato verso il muro. Non un sorriso, neanche alla domanda sul futuro futuribile dei suoi video. L’atteggiamento perfetto per il colpevole perfetto (colui che i grillini delusi considerano l’uomo che ha rubato il “loro” Beppe Grillo).

    Casaleggio però si presenta al Corriere della Sera con gran sfoggio di detti cavallereschi (“honi soit qui mal y pense”, in omaggio all’ordine della Giarrettiera come al suo amato Re Artù) e come un povero cittadino semplice, che “con il suo lavoro e i suoi (pochi) mezzi cerca, senza alcun contributo pubblico o privato, forse illudendosi, talvolta forse anche sbagliando, di migliorare la società in cui vive”. Non vuole essere definito “piccolo fratello” con riferimento al “Grande Fratello” orwelliano, Casaleggio: “E’ evidente che non lo sono, la definizione contiene però una parte di verità. Grillo per me è come un fratello…”. E siccome il suo curriculum diventa canovaccio per nemesi cospirazioniste che si abbattono sul cospirazionista Grillo, Casaleggio, dopo aver raccontato il suo passato in una società di Telecom Italia, la Webegg, si discolpa da colpe presunte: “Mi hanno attribuito dei legami con i cosiddetti poteri forti, dalla massoneria, al Bilderberg, alla Goldman Sachs con cui non ho mai avuto nessun rapporto, neppure casuale…”. Non cammino “dietro” a Grillo, ma “al suo fianco”, dice Casaleggio, “ho scritto con Grillo il ‘non statuto’” (paradosso scoppiato in questi giorni, ché il successo elettorale rende urgente un vero statuto), “ho definito con Grillo le regole per la certificazione delle liste”, “ho organizzato” con Grillo (ma per tutti l’idea è stata sua) i V-day, i Meetup, la Woodstock a cinque stelle (in cui Casaleggio, sempre dietro le quinte, si faceva intervistare da qualche tv locale, cupissimo, in giacca in mezzo ai rockettari).

    Sono rimasti basiti, gli internauti seguaci di Grillo, a leggere la lettera sul Corriere, e hanno subito commentato sul blog di Grillo, creatura di Casaleggio che i critici di Casaleggio vedono controllata in toto da lui (ma ci sono anche quelli che dicono che “molti falsi account” vengono creati “dai partiti” per screditare Grillo e Casaleggio). “Ma se i giornali sono morti perché scrivere al Corriere che è il principe degli zombie della carta stampata? Bastava solo la lettera su questo blog”, scrive l’internauta Gianluca. “Sapete cosa non mi torna? Il M5s combatte da anni battaglie, che peraltro condivido, contro un certo sistema, e poi oggi scopro che chi è tra coloro che lo hanno fondato, in larga misura, fa parte di questo stesso sistema. Dove sta la verità?”, scrive un altro. Un ironico (merce rara) utente del sito che si firma “psichiatria” scrive: “Sì, però, quanto più bello era pensare che dietro al blog ci fosse un legame segreto con dei poteri occulti? Ora non c’è più mistero. C’è solo un uomo e il suo impegno va beh, pazienza. Oggi a quanto stanno i ravanelli?”.

    Ma per quanto Casaleggio si dipinga come il povero cittadino semplice, per quanto voglia stracciare il mito del guru che si nasconde nel palazzo milanese di via Morone (quadrilatero della moda), circondato dai suoi “cavalieri”, i quattro collaboratori (tutti uomini) investiti della missione, sono comunque anni che il Web studia il suo cursus honorum in cerca di indizi di collegamento con poteri più nascosti di lui. E il cursus honorum dice che Casaleggio, dopo gli anni in Olivetti, ha scalato tutti i piani della suddetta Webegg, Web company della Telecom di Marco Tronchetti Provera, diventando amministratore delegato. La Webegg becca in pieno il boom e lo sboom della bolla internettiana, tanto che a un certo punto Telecom Spa cede il suo pacchetto di azioni alla Value partners, azienda in crescita (il 30 per cento delle azioni va alla Finsiel, altra società di area Telecom). A quel punto Casaleggio, con alcuni colleghi della Webegg, si mette in proprio. I colleghi, rimasti fino a oggi ai vertici della Casaleggio, sono Enrico Sassoon (giornalista del Sole 24 Ore poi amministratore delegato dell’American Chamber of Commerce e responsabile de “L’impresa-rivista Italiana di Management” e di “Mondo economico”); Luca Eleuteri, allora giovanissimo braccio destro di Casaleggio, e Mario Buccich, uomo di comunicazione che, raggiunto al telefono il giorno prima dell’uscita sul Corriere della lettera di Casaleggio, dice di non voler “commentare” nulla delle voci su Casaleggio. Il quadro dirigenziale della Casaleggio si completa oggi con il figlio di Gianroberto, ma è la figura di Sassoon che scatena la fantasia dietrologica della rete: l’aver guidato l’American Chamber of Commerce porta a Sassoon l’eterno sospetto di essere l’uomo segreto delle multinazionali, legato per vie traverse all’Aspen Institute, a Giulio Tremonti e perché no, per altre vie traverse, al Mario Monti che Grillo prende di mira al grido di “Rigor Montis” (spunta sempre una Goldman Sachs, nei post anti Casaleggio). Le tappe della vita lavorativa di Casaleggio ispirano sospetti persino a MicroMega (la rivista due anni fa aveva indagato i presunti rapporti di potere attorno a Grillo, e il direttore Paolo Flores d’Arcais oggi, sul Fatto, trova che alcuni atteggiamenti di Grillo siano “dittatorial-proprietari”).

    Ma ci sono fili rossi invisibili attorno a cui si scatenano i più incalliti segugi che vogliono salvare Grillo da Casaleggio – come se Grillo fosse una marionetta inanimata e come se non fosse stato lui a scegliere Casaleggio come spin doctor, cosa peraltro normale se i due non picchiassero sempre sul tasto del “fai da te” del cittadino politico autarchico, senza soldi e senza uffici stampa. E così la Casaleggio Associati diventa punta emersa di un mondo sommerso che, secondo i seguaci del blogger Michele Di Salvo, comprende tutte le bestie nere del grillismo, dalle banche alle multinazionali del petrolio, dalla Coca-Cola a Microsoft, come nei più allarmisti proclami no global dai tempi di Seattle in giù. (Per ora, comunque, Casaleggio sembra piuttosto abitare il regno che, via editore Chiarelettere, va da Grillo a Travaglio a Santoro al Fatto quotidiano, di cui la Casaleggio Associati è azionista).
    “Perché Grillo a un certo punto ha smesso di parlare di Telecom?”, è la domanda che tormenta tutti gli antipatizzanti del guru Casaleggio, che vedono la sua tela invisibile stendersi sulla testa del loro idolo. “Casaleggio se ne va dalla Webegg negli anni in cui il grande business del Web era al palo, nella fase precedente alla diffusione dell’Adsl”, dice un osservatore. E insomma pare di capire che Casaleggio non avesse rancori personali contro Telecom, ma solo un disaccordo di fondo rispetto alla gestione Tronchetti. Sia come sia, Casaleggio, in quegli anni, dice il giornalista e imprenditore Edoardo Narduzzi, che allora lo incontrava ai convegni, “diceva già che la rete era un fenomeno irreversibile. Non era uno sproloquiatore. Difendeva le sue idee ma non irragionevolmente, non parlava di politica ma di cinema. Ha scritto un libro di cinema e management, ‘Movie bullets’. Andava in montagna, andava e veniva dagli Stati Uniti”.

    E’ negli Stati Uniti che Casaleggio si innamora del “Meetup”, la rete che si fa incontro fisico di sconosciuti uniti da un obiettivo. Se l’ha fatto Howard Dean, il candidato democratico quasi vincente contro John Kerry alle primarie del 2004, possiamo farlo anche noi, ha detto un giorno Casaleggio a Beppe Grillo, nel camerino di un teatro, presentandosi al comico (che aveva letto un suo libro e l’aveva cercato) con una serie di modernissime teorie: “… cominciò a parlarmi di rete. Di come potesse cambiare il mondo”, ha raccontato Grillo: “Non conoscendolo lo assecondai. Gli sorrisi. Cercai di non contrariarlo. Temevo di ritrovarmi una chiocciola o un puntocom in qualche posto sensibile… Mi descrisse webcasting, democrazia diretta, chatterbot, wiki, downshifting, usability, oggetti di interazione digitale, social network, legge di Reed, intranet e copyleft. Chiese se capivo. Ebbi, lo confesso, un attimo di esitazione. Strinsi gli occhi. Casaleggio ne approfittò. Mi parlò allora, per spiegarsi meglio, di Calimero il pulcino nero, Gurdjieff, Giorgio Gaber, Galileo Galilei, Anna di York, Kipling, Jacques Carelman e degli adoratori del banano. Tutto fu chiaro, era un pazzo. Pazzo di una pazzia nuova, in cui ogni cosa cambia in meglio grazie alla rete…”. Nuova e molto vecchia, la pazzia, a giudicare dal sincretismo mitologico-misterico-cavalleresco da cui Casaleggio pesca le citazioni e le metafore. E alla fine il povero Prometeo, nel libro “Siamo in guerra”, diventa antenato della rete che “non è neutra, può essere usata per diventare qualcosa di simile all’idea antropomorfa che ci siamo fatti della divinità o per farci precipitare in un mondo orwelliano, dove la verità e la menzogna coincidono”: “Prometeo donò il fuoco agli uomini contro il volere degli dèi e per questo venne punito con il supplizio eterno. La rete si sta diffondendo in ogni aspetto della realtà come un incendio. I vecchi faraoni saranno seppelliti nei loro sarcofagi. Mummie del passato. Loro non si arrenderanno mai (ma gli conviene?). Noi neppure”.

    Detta diversamente, è il giorno del giudizio descritto nei “vaffa” del Grillo da comizio: vi “prenderemo casa per casa”, ci sarà un tribunale popolare di “cittadini estratti a sorte”, verrà la punizione: “Lavori socialmente utili” per tutti i “ladri”, “ladroni”, “mascalzoni” e animali vari del bestiario grillesco (Casaleggio invece tiene per sé nemici impalpabili come la nebbia del suo bosco: il copyright, la tassa sugli schermi dei computer, i siti che non permettono commenti).
    I movimentisti delusi li dipingono come Ambra e Gianni Boncompagni, Grillo e Casaleggio, uno in cuffia e l’altro alla regia. Ed è meglio questo, magari, che vederli (o vedersi) come gente normale, uno che scrive al Corriere, l’altro che si fa intervistare da Sette, uno cliente e l’altro consulente.

    • Marianna Rizzini
    • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.