La Toscana non è più in buona salute, come tutta l'Italia

Roberto Volpi

Stando all’ordinanza con cui il gip lo ha spedito in carcere giovedì scorso, Ermanno Giannetti truccava i bilanci della Asl di Massa, di cui era direttore amministrativo, già dal lontanissimo 1998. Ai domiciliari sono finiti anche Vito Antonio Delvino e Alessandro Scarafuggi, ex direttori generali della stessa Asl, per falso in atto pubblico.

Leggi le puntate dell'inchiesta "Aboliamo le regioni?" Caro Monti, ecco come si taglia la spesa sanitaria regionale; La spesa pubblica va sfoltita partendo dalle regioni troppo voraci

    Stando all’ordinanza con cui il gip lo ha spedito in carcere giovedì scorso, Ermanno Giannetti truccava i bilanci della Asl di Massa, di cui era direttore amministrativo, già dal lontanissimo 1998. Ai domiciliari sono finiti anche Vito Antonio Delvino e Alessandro Scarafuggi, ex direttori generali della stessa Asl, per falso in atto pubblico. Si rassegni, chi pensa che il buco di bilancio di 224 milioni accumulato dalla suddetta Asl della Toscana non rappresenti che un’inspiegabile anomalia all’interno di un modello sanitario “tutto pubblico”, portato ad esempio in Italia e fuori e dunque meritevole d’essere custodito e protetto così com’è. Si rassegni, perché quel modello imbarca acqua proprio come il modello efficientista concorrenziale pubblico-privato lombardo. Ma, al tempo stesso, si consoli: è il servizio sanitario italiano, e non qualche suo avamposto o casamatta a non reggere più il colpo. La sanità che non sa bene dove vanno a finire i soldi, né con quali risultati, è un malato in precarie condizioni che avrebbe bisogno di una cura drastica a partire dalle fondamenta sulle quali in tre decenni ha costruito una ventina di sistemi (tanti quanti  sono le regioni italiane),  molti dei quali così poco sistemici da non riuscire – ma non è il caso della Toscana – a garantire un minimo di ordinaria quotidianità.

    In contemporanea con la svolta giudiziaria della Asl di Massa, l’assessore regionale alla Salute Daniela Scaramuccia si è dimessa. Ha retto due anni, poi lo stress l’ha convinta a tornare a una più distesa vita professionale e famigliare. Dimissioni che la dicono lunga sull’affanno della sanità toscana, e gestite piuttosto spregiudicatamente dal presidente Enrico Rossi. Il quale prima le ha tenute in un cassetto (per evitare, ha argomentato, l’accavallarsi degli eventi), poi le ha rese pubbliche assieme al nome del successore (con la motivazione che il governo della sanità non può consentirsi alcuna vacanza). Nessuna consultazione, neppure con la istituzionale commissione Sanità, per la nomina del direttore (a questo punto ex) della Asl di Firenze Luigi Marroni a nuovo assessore e pd toscano incavolatissimo per non essere stato degnato di uno straccio di telefonata. E  magari pure perché mettere a capo dell’assessorato quello che fino a ieri era il più alto dirigente della più grande Asl della Toscana (1,5 miliardi di bilancio) non è propriamente quella prova di distacco tra ruolo politico e ruolo amministrativo e gestionale ch’era lecito aspettarsi da Rossi.

    A completare il quadro, ecco scoppiare un incendio, che a tutta prima sembra doloso, nell’archivio della Asl di Pistoia. La faccenda si tinge di giallo. E’ dall’inchiesta sulla Asl di Massa che si alzano ombre anche sul bilancio 2010 della Asl di Pistoia e la stessa Asl pistoiese è stata commissariata per le dimissioni di Alessandro Scarafuggi, nel 2009 passato dalla direzione della Asl di Massa a quella di Pistoia, che hanno dato il via a un valzer di nomine e dirigenti ancora in corso. Si vedrà che cosa è andato perso nell’incendio, ma non è questo il punto. Il punto è che la sanità toscana appare sotto stress quanto l’assessore dimissionario Daniela Scaramuccia, anche se a chiedere in giro ci si sente rispondere che dipende dai soldi che non ci sono, dai finanziamenti statali insufficienti, dalla mancanza di risorse certe e con analoghe formule (tra parentesi: il buco della Asl di Massa vale qualcosa come settanta miliardi di deficit sul piano nazionale nella sola sanità. Troppo, per pensare che sia un problema di risorse insufficienti).  Tutto questo mentre si cerca con le  unghie e con i denti, continuano a sostenere gli addetti ai lavori, di “mantenere il livello” di tutti i servizi sanitari,  nessuno escluso. A cominciare dalle Società della Salute, innovazione toscana che non funziona e che non si è ancora deciso se rilanciare o chiudere.

    Non si esce dal malessere. Non si vedono soluzioni, perché la parola d’ordine continua a essere quella retorica e insensata: mantenere a tutti i costi il cosiddetto livello esistente dei servizi, a prescindere dai servizi. Non una analisi seria, non una verifica puntigliosa per cercare di capire che cosa si può ridurre, che cosa si può tagliare. Ci sono aree che non producono un grammo di salute in più, semmai il contrario, ma nessuno le smuoverà, cascasse il mondo, perché nella sanità niente si taglia ma tutto si aggiunge. Per principio. Cosicché appare inconsapevole di sé  la domanda che Roberto Formigoni, sicuro di aver fatto tutte le economie possibili per stare nel limite di quel due per cento di aumento di fondi che lo stato ha stabilito per la sanità lombarda, si pone angosciato sulle reali intenzioni del governo (Corriere della Sera di Milano, sabato 26 maggio): “Vuole mettere nuovi ticket? O rivedere i livelli essenziali di assistenza (ossia le prestazioni che il servizio sanitario è tenuto a fornire gratis a tutti i cittadini)? Ci servono risposte chiare”.
    Qualcuno rammenti a Formigoni, che ha tutta l’aria di averlo dimenticato, che le prestazioni essenziali  da fornire gratuitamente a tutti i cittadini sono non qualche decina o poche centinaia ma – alla grazia dell’essenzialità – migliaia e migliaia: 5.700 e spiccioli, per l’esattezza. Un coacervo che non fa che aumentare senza che nessuno si azzardi a rivedere, riclassificare, contenere come si converrebbe.

    Una delle leve da manovrare per la salvezza del servizio sanitario sarebbe proprio quella che il governatore sembra temere come la peste. Non è il solo, beninteso: tutti i governatori stanno lì a implorare che non si tocchino i livelli essenziali di assistenza, non fosse mai che, scapitozzando anche di poco la torre delle 5.700 e passa prestazioni da assicurare gratuitamente ai cittadini, il servizio sanitario non finisse per collassare del tutto. Tranquilli, il ministro della Salute Renato Balduzzi non sembra aver intenzione di togliere un solo mattone da quella torre.