Madrid aspetta non sa bene cosa, e i mercati le rubano il tempo

Guido De Franceschi

Gli spagnoli, da anni, aspettano. Prima è scoppiata la bolla immobiliare. Poi la disoccupazione – antica ulcerazione nel tessuto del paese – è tornata a crescere, fuori controllo. Infine le fondamenta delle banche hanno iniziato a mostrarsi sempre più friabili. Nel frattempo i cittadini spagnoli sono stati costretti ad aspettare.

    Gli spagnoli, da anni, aspettano. Prima è scoppiata la bolla immobiliare. Poi la disoccupazione – antica ulcerazione nel tessuto del paese – è tornata a crescere, fuori controllo. Infine le fondamenta delle banche hanno iniziato a mostrarsi sempre più friabili. Nel frattempo i cittadini spagnoli sono stati costretti ad aspettare. Hanno aspettato che il precedente premier José Luis Rodríguez Zapatero si rassegnasse con comodo ad abbandonare il suo sorriso ottimista e tentasse una svolta rigorista nell’ultimo scorcio di legislatura. Ma gli spagnoli ormai stavano aspettando le elezioni e il cambio della guardia alla Moncloa. Dopo la vittoria del popolare Mariano Rajoy, gli spagnoli e l’Europa tutti furono costretti ad aspettare un mesetto prima che il premier annunciasse la sua squadra di governo. Poi gli spagnoli hanno dovuto aspettare le prudenze del Pp che, per non perdere le elezioni regionali in Andalusia (missione fallita), ha tardato alcuni mesi nell’annunciare le iniziative più impopolari.

    Da allora i cittadini spagnoli aspettano. Aspettano che il lavorìo di Rajoy su Angela Merkel, basato soprattutto sull’espunzione dal suo vocabolario della parola “Eurobond”, porti a qualche “nein” in meno e a un trattamento di favore da parte di Berlino. Aspettano che dalla Bce arrivi per Bankia (che necessita di 19 miliardi) il miracolo di un aiuto sostanzioso ma low profile che non abbia come conseguenza un commissariamento di Madrid, benché ieri Mario Draghi abbia parlato di una sottostima del problema da parte del governo spagnolo. Aspettano che le società di revisione incaricate svelino tra circa un mese le reali condizioni del sistema bancario iberico. E soprattutto aspettano che da dietro la barba di Rajoy, finora fedele al suo laconismo di marca galiziana, esca qualche parola che illumini il cammino. Eppure, nessuno potrebbe accusare il premier spagnolo e il suo esecutivo di inattività nei suoi primi cinque mesi di governo, neanche il capo dell’opposizione socialista, Alfredo Pérez Rubalcaba, che ha detto qualche giorno fa: “Mai un governo ha fatto tanto rapidamente tante cose sbagliate e così diverse da quelle che aveva promesso di fare”. I popolari – sostiene Rubalcaba – sono “caotici”: “Dicono e non fanno, fanno e non dicono”. In effetti, quando i ministri di Rajoy parlano spesso si contraddicono. E il governo non sa né comunicare né tanto meno raccontare la propria linea, dando l’impressione, tra protratti mutismi e celeri fughe all’approssimarsi di un microfono, di non averne una precisa.

    Anche Rubalcaba quando non si tratta di criticare il governo ma di parlare di soluzioni urgenti per i problemi economico-finanziari ha una favella meno sciolta. Tanto che dopo l’incontro di tre ore con Rajoy venerdì scorso alla Moncloa, Rubalcaba, proprio come il premier, non ha fatto nessuna dichiarazione sul vis-à-vis fino al lunedì successivo. E dopo aver aspettato lumi per tutto il weekend, gli spagnoli si sono semplicemente sentiti dire da entrambi che le banche spagnole non hanno bisogno di un salvataggio da oltreconfine. Sul perché di questa convinzione, sul come Madrid pensi di trovare le risorse, sul quando ciò avverrà mentre i mercati non allentano la pressione e lo spread tocca picchi inusitati e soprattutto sul quanto ciò costerà, il governo non si sbilancia, aspettando che qualcosa si sblocchi in sede europea. Il governo aspetta e aspettano anche gli spagnoli, molti dei quali, più di uno su quattro, hanno peraltro molto tempo a disposizione, non avendo più un lavoro. Intanto Rajoy continua a giocare a carte coperte, almeno con i suoi concittadini, una complicata partita in Europa, cercando di guadagnare quel tempo che il nervosismo di mercati poco fiduciosi gli vanno togliendo.