L'infinita transizione ucraina

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Quando nel 2007 l’Uefa assegnò (a sorpresa e a scapito dell’Italia) gli Europei di calcio al tandem Polonia-Ucraina, gli esperti del settore rimasero perplessi: c’erano dubbi sulla capacità di Varsavia di reggere il passo impetuoso dell’economia ucraina, con i suoi progetti di sviluppo urbanistico e infrastrutturale forse preludio a un ingresso nell’Unione europea.

    Quando nel 2007 l’Uefa assegnò (a sorpresa e a scapito dell’Italia) gli Europei di calcio al tandem Polonia-Ucraina, gli esperti del settore rimasero perplessi: c’erano dubbi sulla capacità di Varsavia di reggere il passo impetuoso dell’economia ucraina, con i suoi progetti di sviluppo urbanistico e infrastrutturale forse preludio a un ingresso nell’Unione europea. “Un’accoppiata squilibrata”, dicevano analisti e giornalisti. Erano gli anni immediatamente successivi alla Rivoluzione arancione del 2005, il vento dell’occidente soffiava su Kiev e i giovani che per mesi reclamavano democrazia e libertà occupando con le loro tende le piazze facevano sognare un paese che da solo un ventennio aveva riconquistato la libertà.

    Cinque anni dopo, la realtà è totalmente diversa: la Polonia ha un’economia in crescita, a Bruxelles la sua voce (e il suo peso) si sentono. In Ucraina, invece, la rivoluzione è rimasta incompiuta: la transizione non è mai terminata. Simbolo del cambiamento tradito è l’ex premier Yulia Timoshenko, in carcere dallo scorso ottobre dopo la condanna a sette anni di carcere per abuso di potere. Un processo che i governi occidentali hanno giudicato poco conforme agli standard propri di uno stato di diritto. Le immagini dal carcere con la Giovanna d’Arco ucraina hanno fatto il giro del Mondo, i lividi che le ricoprono il corpo sono evidenti. La figlia Eugenia (ragazza dalla vita complicata che ha prima sposato e subito dopo lasciato un rocker britannico), visita le principali capitali per chiedere di esercitare pressione sul governo di Kiev perché liberi la madre.

    Pensavano gli europei che anche se a fatica prima o poi l’Ucraina sarebbe stata attratta nella sfera occidentale. Vedevano in Yulia la pasionaria una campionessa dei diritti umani e della trasparenza (quando i suoi legami con miliardari dal passato poco cristallino intrecciati all’epoca in cui l’ex premier faceva affari con i russi erano già noti; pensavano che l’ombra del Cremlino fosse definitivamente svanita. Si sbagliavano. Ora che Bruxelles, stretta tra crisi dell’euro e incomprensioni politiche, non è più attraente, Kiev si è chiusa in se stessa, tornando al passato. E’ a Mosca che guarda Yanukovich, presidente di un paese che puntava tutto sugli Europei di calcio per risollevarsi. Ma alla vigilia dell’evento atteso il rischio di flop è alto: gli impianti non sono ancora stati completati, i prezzi degli alberghi sono raddoppiati, le infrastrutture non esistono. L’occasione sta per essere gettata al vento. Era convinto, qualche ottimista, che Euro2012 avrebbe fatto ricordare l’Ucraina non solo per Chernobyl, che come ha scritto Francesco Cataluccio, è “l’estremo anello di una lunga catena di evacuazioni e massacri di genti; luogo eletto per la cancellazione del diritto degli uomini di narrare la propria storia”.