Metabolizzare la paura e quattro miliardi di danni. I conti del terremoto
La scossa di 4,5 gradi Richter con epicentro in mare, al largo di Ravenna, avvenuta alle 6 e 08 di ieri, pur non facendo parte della sequenza di terremoti emiliana e non avendo provocato ulteriori danni, è stata l’ennesimo colpo a un territorio paralizzato da più di due settimane. I dati sulle conseguenze economiche del terremoto in Emilia sono ancora poco chiari e imprevedibili: si parla di oltre quattro miliardi di euro.
La scossa di 4,5 gradi Richter con epicentro in mare, al largo di Ravenna, avvenuta alle 6 e 08 di ieri, pur non facendo parte della sequenza di terremoti emiliana e non avendo provocato ulteriori danni, è stata l’ennesimo colpo a un territorio paralizzato da più di due settimane. I dati sulle conseguenze economiche del terremoto in Emilia sono ancora poco chiari e imprevedibili: si parla di oltre quattro miliardi di euro. Se dopo il primo sisma del 20 maggio alcune aziende avevano ricominciato le attività, il rischio di altre scosse superiori al quinto grado della scala Richter e del crollo di altri capannoni – che hanno causato con la scossa del 29 maggio diciassette morti – ha pressoché paralizzato l’intera regione.
Il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, ieri ha parlato di un possibile stop nelle produzioni “per un tempo quantificabile in quattro, sei mesi”. Un intervallo insostenibile per una delle regioni più produttive d’Italia, che da sola garantisce un gettito fiscale stimabile in almeno 6-7 miliardi di euro all’anno e che produce poco più dell’un per cento del pil nazionale. Attualmente nelle zone colpite dal terremoto è in vigore un’ordinanza datata 2 giugno della Protezione civile che fa ricadere le responsabilità di eventuali incidenti sul lavoro dovuti a calamità naturali direttamente sugli imprenditori. “Siamo adesso in attesa di un decreto legge che dovrebbe essere licenziato domani dal governo”, dice al Foglio Giovanni Messori, direttore di Confindustria Modena, “e che speriamo ci dia l’autorizzazione per riprendere le attività nei capannoni che non hanno subito danni. La messa in sicurezza delle strutture è fondamentale: sono morti sotto le macerie imprenditori, operai, tecnici. Ma un fermo di mesi ci metterebbe in ginocchio. Abbiamo una serie di capannoni irrimediabilmente persi. Dobbiamo essere messi nelle condizioni di abbatterli, portare via i rifiuti e ricostruire”. E soprattutto evitare la delocalizzazione delle aziende: “Per questo faremo in modo che il contributo a fondo perduto dello stato sarà erogato solo alle industrie che restano in Emilia”, spiega Messori. Per esempio il distretto biomedicale, un patrimonio industriale di eccellenza internazionale, nato dall’intuizione del farmacista di Mirandola, Mario Veronesi, ma costituito da varie aziende di proprietà di multinazionali farmaceutiche (quella di Modena è la settima provincia italiana per export). “C’è il rischio di perdere un settore importantissimo – dice il direttore di Confindustria Modena – anche se per un’azienda non è facile delocalizzare: la manodopera, gli operai che lavorano nel polo biomedicale per esempio sono tutti specializzati”. Subito dopo il terremoto le parti sociali hanno raggiunto un accordo per una cassa integrazione agevolata dovuta a calamità naturali: a oggi sono quasi seimila i lavoratori a casa. “Ci sono molti dipendenti che hanno paura ad andare a lavorare – dice Messori – ma la paura è un sentimento che dobbiamo metabolizzare”.
E non c’è solo l’industria. Secondo la Coldiretti sono settemila le aziende agricole colpite dal terremoto, e il bilancio provvisorio dei danni provocati dal sisma all’agricoltura è salito ieri a 705 milioni di euro – 150 milioni di euro di danni al solo settore del Parmigiano Reggiano, 70 milioni di euro al Grana padano, 15 milioni di euro alla produzione di aceto balsamico. Bilancio a cui vanno aggiunti almeno settanta milioni di euro previsti dall’Associazione bonifiche e irrigazioni per riattivare e mettere in sicurezza gli impianti idrovori, irrigui, di scolo e di irrigazione fortemente lesionati. Fondi che però non sono previsti dalla prima tranche di aiuti del governo. E a rischio idraulico risulterebbero almeno duecentomila ettari di terreno densamente urbanizzati, dove d’inverno la troppa acqua è allontanata meccanicamente e d’estate gli stessi impianti e canali servono per irrigare le coltivazioni. Con la rete di bonifica paralizzata il rischio è che il settore agricolo subisca un collasso difficile da superare.
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