Unione inabissata
La sfida finale di Obama all'Europa ancora troppo legata al Merkel-pensiero
“Facciamo il possibile per crescere ora, la stabilizzazione dei conti è un piano più di lungo termine”. Il messaggio inviato ieri da Barack Obama all’Europa – l’ennesimo in quest’ultima settimana – non poteva essere più distante di così dalle tesi della cancelliera tedesca Angela Merkel, secondo la quale è soltanto sul rigore di bilancio (da attuare oggi) che si potrà fondare la ripresa. Washington è attenta a “non rimproverare l’Ue” – ha detto Obama – ma resta il fatto che l’aggravamento attuale della crisi “è una cosa che riguarda gli Stati Uniti, perché l’Europa è il nostro maggior partner commerciale”.
“Facciamo il possibile per crescere ora, la stabilizzazione dei conti è un piano più di lungo termine”. Il messaggio inviato ieri da Barack Obama all’Europa – l’ennesimo in quest’ultima settimana – non poteva essere più distante di così dalle tesi della cancelliera tedesca Angela Merkel, secondo la quale è soltanto sul rigore di bilancio (da attuare oggi) che si potrà fondare la ripresa. Washington è attenta a “non rimproverare l’Ue” – ha detto Obama – ma resta il fatto che l’aggravamento attuale della crisi “è una cosa che riguarda gli Stati Uniti, perché l’Europa è il nostro maggior partner commerciale”. La Casa Bianca non nega l’importanza delle riforme strutturali, anzi loda quelle approvate dall’Italia, ma sostiene che Roma e Madrid necessitano di più tempo per vedere i risultati del loro sforzo. Una riflessione che suona anche come una forma di pressing indiretto sulla Spagna affinché accetti quanto prima un aiuto esterno per le sue banche, in modo che una crisi dei suoi istituti – su questo Bruxelles concorda – non si sommi alla crisi dei debiti sovrani. Ieri pure Merkel aveva ribadito la sua posizione sulle decisioni di Mariano Rajoy: “Tocca a ciascun paese in difficoltà, senza alcuna pressione da parte nostra, inoltrare la richiesta di aiuto al fondo di stabilizzazione”.
Il tono di distacco utilizzato dalla cancelliera contrasta con la lettura che la stampa italiana (e in parte straniera) aveva fatto dell’intervista di Merkel al primo canale televisivo tedesco, interpretata come il segnale di generose concessioni in arrivo. D’altronde, se è pur vero che i passi avanti di Berlino sulla mutualizzazione di debiti e sorti bancarie si iniziano a intravedere, non si tratta comunque di concessioni gratis et amore Dei. L’equivoco della stampa estera nasce dal fatto che “chi rivendica per sé il ruolo di guida è di solito uno stato egemone, ma allo stesso tempo mite e generoso”, ha spiegato alla versione tedesca del Wall Street Journal, Wolfgang Ischinger, ex sottosegretario agli Esteri sotto l’ecologista Joschka Fischer; nel caso di specie, però, i tedeschi sono convinti di essere già stati sufficientemente generosi e pazienti. Ecco perché senza un controllo in profondità su entrate e uscite degli stati membri, la Germania non è affatto disposta ad avallare alcun meccanismo di comunione del debito. “Senza possibilità di intervento sui bilanci, gli Eurobond creano incentivi errati”, dice in una conversazione con il Foglio Jürgen Matthes, Senior Economist dell’Institut der deutschen Wirtschaft di Colonia, centro studi di tendenza liberista. Che la signora Merkel abbia quindi bisogno di rassicurazioni in questo senso è un dato di fatto. Lo ha spiegato anche William Boston in un reportage pubblicato lunedì scorso sempre sul Wall Street Journal Deutschland, citando un funzionario del governo tedesco: “Più gli altri stati membri saranno disposti a rinunciare a parte della propria sovranità in favore di una maggiore integrazione, più noi saremo disponibili a parlare di unione bancaria e fiscale”. Va addirittura oltre Holger Schäfer, economista che collabora con il think tank liberista Initiative Neue Soziale Marktwirtschaft (Insm), secondo il quale “gli Eurobond, in realtà, non li vuole nessuno, né la popolazione, né il governo, né tantomeno l’opposizione. Con la richiesta che la loro introduzione sia preceduta dal varo dell’unione politica – cosa che tutti sanno non poter nascere dopodomani – si trova una ragione per non introdurre subito gli Eurobond”, dice al Foglio.
In altre parole, i tedeschi insistono perché si utilizzino tutti i pezzi del puzzle e, così facendo, confidano nel rifiuto degli altri partner europei, in particolare di coloro che non “fanno i compiti a casa”. Anche se gli altri stati membri dovessero mostrarsi disponibili a lasciar controllare il proprio bilancio da Berlino, i tempi per una riforma completa dell’architettura europea sarebbero comunque sufficientemente lunghi da consentire di rinviare la questione della comunione del debito alla prossima legislatura. Come ha ricordato di recente anche il ministro delle Finanze, Wolfgang Schäuble, si tratta di un obiettivo di medio-periodo. Insomma, la resistenza tedesca continua ed è lungi dall’essere alle corde: “Ci rimproverano di essere dei saputelli, di voler spiegare all’Europa come deve funzionare, ma il prezzo di tale consapevolezza sono le nostre esperienze del passato”, si è lamentato con la stampa estera Michael Stübgen, responsabile delle politiche comunitarie del gruppo parlamentare Cdu/Csu. Mentre si avvicina il decisivo Consiglio europeo del 28-29 giugno, la Germania, chiede corpose garanzie per guidare davvero il continente.
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