Tra spie, tradimenti e delitti spunta Yang Wang: la nuova Cina è lui?

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I preparativi per il 18° congresso del Partito comunista cinese  sono in fase avanzata, benché all’appuntamento manchino ancora sei mesi. La lotta per aggiudicarsi i posti nel Politburo è aperta e tra i membri attuali che cercano di mettersi in mostra aspirando a cariche più prestigiose c’è Wang Yang, segretario del partito a Guangdong.

    I preparativi per il 18° congresso del Partito comunista cinese  sono in fase avanzata, benché all’appuntamento manchino ancora sei mesi. La lotta per aggiudicarsi i posti nel Politburo è aperta e tra i membri attuali che cercano di mettersi in mostra aspirando a cariche più prestigiose c’è Wang Yang, segretario del partito a Guangdong. Cinquantasette anni, Wang Yang è uno di quelli che ha beneficiato della fine (ingloriosa) del nazionalista Bo Xilai, che da potentissimo capo comunista a Chongqing e impegnato in una costante scalata al vertice del Partito a Pechino, ha visto le proprie ambizioni sepolte da uno scandalo di tradimenti, soldi e morte che ha coinvolto anche la moglie.

    Wang Yang è considerato un riformista liberale (per quanto liberale possa essere un esponente della nomenclatura comunista in Cina), aperto ai cambiamenti e (per quanto possibile) alla tutela dei diritti dei lavoratori. Una dimostrazione la si è avuta alla fine del 2011, quando ventimila contadini del villaggio di Wukan, nel Guangdong meridionale, si sono ribellati contro le autorità locali colpevoli (a loro dire) di aver venduto illegalmente le loro terre a un’azienda di Hong Kong senza aver dato un’adeguata compensazione ai braccianti. Inizialmente, le autorità circondarono il villaggio ribelle con la volontà di reprimere la sommossa. Poi, però, è entrato in scena Wang Yang, che si è schierato dalla parte dei contadini e ha mediato con le autorità centrali perché ai ribelli fosse riconosciuto il diritto di difendere la propria terra. Alla fine, dopo trattative segrete e negoziati tesi, Wukan è andato al voto per scegliere liberamente i propri rappresentanti: leader locale è stato eletto Lin Zuluan, leader della rivolta. E’ il “Modello Wukan”, che per Wang Yang rappresenta “il modo per risolvere i problemi non solo nei villaggi ma anche tra l’autorità centrale e le periferie”. Quanto accaduto nel villaggio della Cina meridionale fa ben sperare per il futuro, dice Li Chengyan, dell’Università di Pechino: “E’ un esempio di successo, che dimostra come sia possibile l’autogoverno dei villaggi. L’auspicio è che quell’esperimento possa essere replicato in tutto il paese”, ha aggiunto. Fiero del successo personale e della notorietà ricevuta, Wang Yang pensa in grande: parla di agenda flessibile e di governo snello, di presenza meno invasiva dello Stato nella vita dei cittadini e di diritti. Parole non in linea con quanto si dice e si fa a Pechino. Eppure, il suo modello sembra funzionare. La trasparenza è un altro suo cavallo di battaglia: nel 2009, la capitale della provincia, Guangzhou, è stata la prima città del paese a rendere noto il proprio bilancio. Sarà Wang l’uomo della nuova Cina democratica e aperta? Ne è convinto Chen Min, commentatore politico che si firma Xiao Shu: “Il segretario del Guangdong è un tipo accorto. Sa che un cambiamento radicale sarebbe troppo doloroso e spiazzante per il suo popolo. Lui procede piano, con prudenza e astuzia. Da oggi, tutto cambierà”.