Peccati, reati e riforma della chiesa

Maurizio Crippa

“Senza dubbio la riforma della segreteria di stato è uno dei problemi maggiori. Ciò che conosciamo come segretario di stato è l’evoluzione di quello che fu il Cardinal nipote. Avviene nel Seicento, quando il papato entra nel sistema degli stati moderni. I nomi sono importanti: segretario di stato indica uno stato che tratta con altri stati. Ma oggi lo Stato pontificio non c’è più e anche il sistema degli stati si è modificato”.

    “Senza dubbio la riforma della segreteria di stato è uno dei problemi maggiori. Ciò che conosciamo come segretario di stato è l’evoluzione di quello che fu il Cardinal nipote. Avviene nel Seicento, quando il papato entra nel sistema degli stati moderni. I nomi sono importanti: segretario di stato indica uno stato che tratta con altri stati. Ma oggi lo Stato pontificio non c’è più e anche il sistema degli stati si è modificato”. Il professor Paolo Prodi, storico della chiesa nell’età moderna, insigne studioso dei rapporti tra il sistema giuridico ecclesiastico e quello statuale, procede col passo dei secoli nella “bufera” che agita la Santa Sede. “I corvi, gli scandali, tutto ciò cui assistiamo nell’amplificazione mediatica rattrista ma non è la cosa essenziale, come non lo sono i limiti delle persone, che pure ci sono. Tutto questo non è che l’emergenza di problemi più profondi che riguardano l’istituzione e il governo della chiesa”.

    Nel giudizio corrente la curia è vista come un luogo di potere malsano, dentro la chiesa e soprattutto al di fuori di essa se ne chiede la riforma o addirittura lo smantellamento. “Il punto non è smantellare l’istituzione, che anzi è ancora importante per difendere quella che chiamo ‘l’unità petrina’. Soltanto che il modo non può più essere la sua difesa all’interno di un sistema di sovranità degli stati, cioè attraverso l’imposizione o la ricerca di legislazioni favorevoli”.
    Sembrano i nodi del consueto dibattito: i progressisti chiedono riforme nella chiesa – la classica posizione conciliare espressa in questi giorni da Alberto Melloni sul Corriere della Sera – e i conservatori che invece chiedono un governo forte, come ha suggerito monsignor Agostino Marchetto, autore di una storia molto critica del Concilio, rispondendo proprio a Melloni: “Nella chiesa cattolica vi è anche, e vi sarà sempre, un esercizio personale di un’autorità suprema”. Per Prodi, però, “non è questione di un assurdo dibattito tra progressisti e conservatori. Le motivazioni sono più ampie, storiche. La struttura della curia come la conosciamo (anche dopo le riforme di Paolo VI e Giovanni Paolo II, ndr) risponde ancora all’impostazione che le diede Sisto V nel 1588, con la bolla Immensa Aeterni Dei. Ma allora era una grande ed efficiente burocrazia europea, oggi non è adeguata per governare la chiesa nel mondo globale, dominato da istituzioni globali”. C’è infatti chi sostiene che il bailamme attuale sia dovuto al fatto che il governo vaticano è troppo legato alle faccende di uno stato solo, quello italiano. Di fatto, le lotte in corso sono in buona parte “italiane”. “Sì, al Papa serve un sinodo dei vescovi, o un ‘senato cardinalizio’ che sia davvero un governo, e non solo un organo di consulenza”.

    Governo e istituzione, dunque. Ma è anche evidente che la chiesa, al di là delle liti interne, è sottoposta a enormi tensioni dall’esterno che ne minacciano in un certo senso la natura stessa. Lo scandalo della pedofilia, con l’immensa pressione mediatica a raddoppiare la pressione giuridica sul tema della trasparenza (si è arrivati a violare le tombe dei cardinali in Belgio), e il problema del controllo sugli affari finanziari (la white list) sotteso allo scontro sullo Ior hanno una profilo in comune: il tentativo del potere secolare – non più statuale ma globale – di sottomettere, o almeno normalizzare, la chiesa all’ordine secolare. Di fronte a ciò, mentre i progressisti invocano un adeguamento che sa di resa, il fronte conservatore chiede un governo più deciso e una chiesa non ritirata in se stessa, come ad alcuni sembra l’attuale chiesa ratzingeriana. Prodi ha della situazione un giudizio articolato. Innanzitutto, mette a tema la questione “della distinzione tra peccato e reato, su cui bisogna riflettere in profondità. Queste vicende, al di là delle eventuali responsabilità e debolezze di singoli, dimostrano che il conflitto tra giustizia della chiesa e giustizia secolare è esploso. Prendiamo il caso dello Ior: è anche un conflitto tra un’impostazione arretrata e una ‘moderna’: finché c’era la lira, diciamo, poteva essere governato in un’ottica ‘italiana’. Oggi non è più così. Sulla pedofilia, è esploso anche un grave conflitto tra il foro interno e il foro esterno, amplificato da un’immane pressione mediatica. Ma non bisogna fare moralismo. Bisogna invece passare dal moralismo alla morale”.

    Peccato e reato. Si può affermare che se un tempo la chiesa puntava a far valere come reato, come legge civile, il suo concetto di peccato, oggi, a parti rovesciate, il mondo secolare vuole imporre come reato alla chiesa ciò che essa considera, e vuole amministrare al suo interno, come peccato? Prodi condivide il giudizio, ma approfondisce: “Tornare alla morale significa che la chiesa amministra la salvezza per gli uomini. Questo è il suo compito e l’alterità che essa rappresenta rispetto al mondo. Ricordiamoci di Agostino, delle due città. La chiesa deve trovare la forza della sua alterità al potere secolare, qui va cercata la sua autorità”. C’è però chi ritiene, proprio sulla scorta dei “reati”, che la chiesa debba abbandonare la sua realtà di istituzione. Si parla ormai di un neo-cristianesimo “diffuso”, senza gerarchie. “Mi fa paura, io credo nella forma dell’istituzione. L’istituzione è lo scheletro dell’organismo, altrimenti non vive. Anche se va detto che non è una questione di forza politica, non è più così”.
    Si torna al tema della riforma. C’è chi sostiene che Benedetto XVI debba liquidare il più possibile le strutture “mondane”. E chi ritiene invece che non sia in grado di intervenire. Del resto, Sisto V fu un grande uomo di governo, autoritario, fu chiamato “il Papa di ferro”, Ratzinger invece è un teologo che al tema della “vera e falsa riforma della chiesa” ha dedicato la vita e molti studi. “Penso che il Papa capisca bene queste problematiche. Erano già chiare nei suoi studi degli anni Sessanta e Settanta. Ma è anche vero che oggi rispetto ad allora nella chiesa assistiamo a una degenerazione dei tessuti, per stare alla metafora dell’organismo, che rende le cose più difficili. Più urgenti e più difficili. Tenere lo status quo non è possibile, anzi è deleterio”.

    E poi bisogna adeguarsi alla nuova situazione globale. “Se osserviamo i fatti, vediamo che il cambiamento principale degli ultimi decenni sono state l’elevazione dell’Opus Dei in prelatura personale e la costituzione di diocesi cattoliche-anglicane non territoriali. Non era mai accaduto, è una rivoluzione che supera la territorialità dell’istituzione ecclesiale. Forse queste forme sono più adeguate nell’età della globalizzazione, ma il governo centrale non lo è assolutamente. Come può rispondere alla tensione tra peccato e reato dentro le logiche del mondo globale?”.

    • Maurizio Crippa
    • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

      E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"