La guerra del rum

Maurizio Stefanini

E' dovuta intervenire la Corte Suprema per mettere pace alla Guerra del Rum che dura ormai da oltre mezzo secolo. Il rum anticastrista contro il rum castrista. Barcardi – anzi Bacardí come sarebbe il nome esatto – versus Havana Club. Le avete presenti, le pubblicità delle due marche di rum più famose del mondo? Fateci caso: quelle di Havana Club (per esempio questa) sono spot non solo al liquore, ma anche al turismo di Cuba. E guardate invece gli spot di Bacardi (per esempio questo).

    E' dovuta intervenire la Corte Suprema per mettere pace alla Guerra del Rum che dura ormai da oltre mezzo secolo. Il rum anticastrista contro il rum castrista. Barcardi – anzi Bacardí come sarebbe il nome esatto – versus Havana Club. Le avete presenti, le pubblicità delle due marche di rum più famose del mondo? Fateci caso: quelle di Havana Club (per esempio questa) sono spot non solo al liquore, ma anche al turismo di Cuba. E guardate invece gli spot di Bacardi (per esempio questo). Si parla di un cocktail tipicamente cubano come il mojito, ma l’ambientazione è più da Florida che da Cuba, la lingua è l’inglese, è comunque i riferimenti geografici precisi sono accuratamente evitati.

    Il fatto è che la lotta tra i due brand non è solo commerciale, ma anche politica. Tutto ha inizio quando nel 1960 Fidel Castro nazionalizzò la società che il catalano Fernando Bacardí aveva fondato nel 1864, e che al momento dell’arrivo degli americani nel 1898 era diventato il rum per antonomasia. In particolare, da quando un soldato yankee mescolandolo alla Coca-Cola inventò il Cuba Libre, il più famoso dei cocktail. Il cocktail cubano più antico, d'altronde, si chiama proprio Bacardí: due terzi di rum Bacardì, un terzo di succo di limone e una goccia di granatina. Il più famoso Daiquiri non ne è che una modifica in cui la proporzione rum-succo di limone è passata da due terzi/un terzo a tre quarti/un quarto, e al posto di una goccia di granatina se ne mettono tre di sciroppo di zucchero. La Bacardí aveva un peso tale nell'economia cubana che tra 1948 e 1952 il ministro delle Finanze del governo di Carlos Prío Socarrás – l'ultimo liberamente eletto prima delle dittature di Batista e di Castro – fu proprio Pepín Bosch, proprietario della rumeria. Definito in una copertina di Time come “il miglior ministro delle Finanze che Cuba abbia mai avuto", per avere in quattro anni trasformato un deficit di 18 milioni di dollari in un attivo di 15 milioni, Bosch aveva anche finanziato Fidel durante la Rivoluzione, dal momento che Batista era andato al potere con un golpe contro il governo di cui lui faceva parte. E quando il 15 aprile 1959 il leader vittorioso era venuto negli Stati Uniti a presentare la sua rivoluzione, Bosch non solo aveva fatto parte della delegazione di 70 persone che lo aveva accompagnato, ma addirittura gli si era seduto vicino, trascorrendo in conversazione con lui tutto il tempo del viaggio.

    Ma Don Pepín si era fidato solo fino a un certo punto. Già dal 1955 aveva iniziato a delocalizzare, e nel 1959 contava su un'importante filiale nelle Bahamas, affiancata a due distillerie minori in Messico e in Brasile. Insomma, quando Fidel nazionalizzò, lui si limitò a trasferire la sede della sua società a Nassau. E quando la prima partita di Bacardí nazionalizzato arrivò nel Regno Unito, Don Pepín fece presso i tribunali britannici il ricorso che bloccò tutto. Il regime castrista fu allora costretto a far confluire il prodotto degli stabilimenti della Bacardí nazionalizzata nel marchio in origine meno importante Havana Club, preso alla famiglia Arechabala. Nel duello tra quelle che un tempo erano le due metà di una stessa società, è ancora il Bacardí esule in testa. E' anzi il liquore più venduto in assoluto, e dopo aver comprato per 1,4 miliardi di dollari nel 1993 la Martini & Rossi, evento dopo cui la sede centrale fu trasferita da Nassau alle Bermuda, è anche la quarta società produttrice di superalcolici in generale.

    Ma il ruolo di rum cubano per antonomasia, però, è passato ad Havana Club, che può sfruttare come materia prima le impareggiabili canne da zucchero dell'isola, anche se gli intenditori sostengono che il know how della Bacardí è migliore. La stessa marca “rivoluzionaria”, a partire da un accordo del 1993, è distribuita da un impero di prim'ordine: la multinazionale francese Pernod-Ricard, che per quell'esclusiva avrebbe pagato a Fidel oltre cinquanta milioni di dollari. A parte finanziare con generosità l’esilio anticastrista, sia direttamente che tramite una fondazione cui dal 2000 si contrappone emblematicamente la  Fundación Havana Club, sono stati gli avvocati della Bacardí a redigere materialmente quelle normative di embargo al regime di Fidel che la lobby anticastrista di Miami ha poi convinto il Congresso Usa a adottare come legge federale.

    Nel 1996 la Bacardí pose in vendita sul territorio degli Stati Uniti una marca Havana Club prodotta prima nelle Bahamas e poi a Porto Rico, ma la Pernod-Ricard rispose con una denuncia. In effetti, per il mancato rinnovo da parte degli Arechabala dal 1973 il marchio è diventato di dominio pubblico, e la registrazione fatta dall'impresa di stato Cubaexport nel 1976 è senza effetto in seguito all'embargo. Per risolvere l'imbroglio legale Bacardí ha aiutato gli eredi in esilio della famiglia Arechabala a costituire in Liechtenstein la José Arechabala International, da cui ha acquistato i diritti di Havana Club nel 1997. Si mosse quindi la lobby Bacardì in Congresso, e nel 1998 il senatore della Florida Connie Mack fece approvare la legge detta "Sezione 211", che nega il diritto di protezione intellettuale Havana Club castrista in territorio Usa, in quanto proveniente da espropriazione illegittima. Come risposta la Pernod-Ricard mosse addirittura governo francese e Ue al Wto. Per rappresaglia, nel marzo 2001 Fidel ordinava alle distillerie di stato di riprendere a usare l'etichetta Bacardì per l'export. Da 11 anni, dunque, esistono contemporaneamente un Bacardí della Bacardí, un Havana Club di Bacardí, un Bacardí di Havana Club e un Havana Club di Havana Club.

    Di ricorso in ricorso, nel 2006 il dipartimento del Tesoro americano ha vietato alla Pernod Ricard di versare i duecento dollari necessari per rinnovare la proprietà del marchio Havana Club, in quanto associata a una proprietà nazionalizzata. E la cosa è arrivata infine alla Corte Suprema, che il 14 maggio scorso ha respinto il ricorso contro l'"usurpazione" del marchio Havana Club, destinato dunque dal 13 giugno a scadere in tutti gli Stati Uniti. Il governo dell’Avana sbraita e minaccia rappresaglie, ma in realtà ha già in tasca un piano B: una nuova marca che sarà sempre distribuita da Pernod-Ricard, e che si chiamerà Habanista.