Sulla 194 la Consulta potrebbe decidere come se fosse il '75
Il 20 giugno la Corte costituzionale si pronuncerà sulla legge 194. La richiesta è stata sollevata da un giudice tutelare di Spoleto, che doveva dare a una minorenne il permesso di abortire senza il consenso dei genitori. Nonostante il rumore che questo appuntamento sta provocando, sia tra i pro life che tra i pro choice, è probabile che la Corte si pronuncerà più o meno come già fece quasi quarant’anni fa.
Il 20 giugno la Corte costituzionale si pronuncerà sulla legge 194. La richiesta è stata sollevata da un giudice tutelare di Spoleto, che doveva dare a una minorenne il permesso di abortire senza il consenso dei genitori. Nonostante il rumore che questo appuntamento sta provocando, sia tra i pro life che tra i pro choice, è probabile che la Corte si pronuncerà più o meno come già fece quasi quarant’anni fa. Qualche anno prima dell’esistenza della 194 (legge dell’anno 1978), si discuteva già di depenalizzazione dell’aborto per arginare gli aborti clandestini. La Corte, anche allora, era chiamata a giudicare se un aborto depenalizzato potesse essere in contrasto con gli articoli della Costituzione che difendono la vita umana e la salute. Gli stessi articoli, numero 3 e 32, sono quelli chiamati in causa dal giudice che a gennaio ha negato il permesso di abortire alla ragazza (lei poi, nel frattempo, ha coinvolto i genitori e ha comunque abortito). Con la sentenza n. 27 del 18 febbraio 1975, la Corte costituzionale rispose allora che la depenalizzazione dell’aborto avrebbe permesso di evitare “qualsiasi pericolo di un serio danno alla salute della donna in stato gravidico”. Non ci sarebbe stato poi contrasto con la tutela della “salute della persona umana” prevista in Costituzione, anzi, “consentirebbe a moltissime donne di poter ricorrere all’opera dei sanitari, anziché a quella pericolosissima delle fattucchiere”. E il punto cruciale per cui anche tanti pro life difendono quella legge 194 “di promozione della maternità”, pur sapendo che a volte non viene applicata come dovrebbe, è tutta lì: evitare di lasciare il corpo delle donne nelle mani delle “fattucchiere”.
E’ curioso come la pronuncia della Corte, sicuramente stimolata da un giudice pro life, sia vista come un possibile boomerang sia da una antiabortista come Assuntina Morresi (membro del Comitato nazionale di bioetica) sia da una femminista come la giornalista Marina Terragni, che nel suo blog giudica una sconfitta il fatto che si sia ancora qui a difendere la possibilità che non si muoia di aborto.
Ma non è finita. Il giudice di Spoleto ha chiesto alla Corte di esprimersi anche in riferimento a una sentenza della Corte europea di giustizia. Si tratta della sentenza che nell’ottobre dello scorso anno ha vietato la possibilità di brevettare prodotti ricavati dalla distruzione di embrioni umani. Si dirà, cosa c’entra questo con l’aborto? C’entra indirettamente. La sentenza europea ha infatti fornito per la prima volta una definizione di embrione: “Sin dalla fase della sua fecondazione qualsiasi ovulo umano deve essere considerato come un embrione umano, dal momento che la fecondazione è tale da dare avvio al processo di sviluppo di un essere umano”. Morresi due giorni fa ha partecipato a un convegno organizzato dalla fondazione Magna Carta su quella sentenza della Corte europea. “La novità – spiega – sta nella definizione che la Corte europea di giustizia dà di embrione: un ovocita fecondato. Ma la sentenza europea non introduce un divieto assoluto di distruzione dell’embrione. Dice che tutte le scoperte e i prodotti che possano derivare da distruzione di embrioni non possono essere brevettati (non ci si può lucrare, insomma). Senza dubbio introduce così un importante deterrente alla ricerca sulle staminali embrionali, che però non capisco come possa entrare nel caso della ragazza di Spoleto”.
Ci si chiede come potrà decidere ora la Consulta. C’è chi teme (Terragni) una Corte con un solo giudice donna su quindici. Nel ’75 la Corte era solo maschile. Eppure aprì alla depenalizzazione dell’aborto, cosa che permise l’approvazione della legge 194, tre anni dopo. Potrebbe andare così anche questa volta.
Twitter @dianazu
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