Siria, duello tra media

La Faz tedesca dice che “il massacro di civili a Houla è opera dei ribelli”

Daniele Raineri

Secondo uno dei principali e più rispettati quotidiani tedeschi, la Frankfurter Allgemeine Zeitung (Faz), il massacro di Houla del 25 maggio, in Siria, è stato compiuto dai ribelli e non invece dalle milizie paramilitari al servizio del regime di Damasco. A Houla novanta civili furono uccisi a sangue freddo nelle loro case – inclusi donne e bambini. Dopo un bombardamento di artiglieria dell’esercito regolare le squadracce dei cosiddetti shabiha – in arabo gli “spettri” – fecero irruzione nel villaggio e massacrarono gli abitanti con fucili, garrote e coltelli.

    Secondo uno dei principali e più rispettati quotidiani tedeschi, la Frankfurter Allgemeine Zeitung (Faz), il massacro di Houla del 25 maggio, in Siria, è stato compiuto dai ribelli e non invece dalle milizie paramilitari al servizio del regime di Damasco. A Houla novanta civili furono uccisi a sangue freddo nelle loro case – inclusi donne e bambini. Dopo un bombardamento di artiglieria dell’esercito regolare le squadracce dei cosiddetti shabiha – in arabo gli “spettri” – fecero irruzione nel villaggio e massacrarono gli abitanti con fucili, garrote e coltelli. Il regime di Damasco ha dato la colpa a non meglio precisate “gang di assassini” legate ad al Qaida. L’ambasciatrice americana alle Nazioni Unite, Susan Rice, ha risposto che è una “menzogna evidente” e il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha ufficialmente condannato il regime siriano con una risoluzione. Dopo la strage, tredici nazioni, Italia inclusa, hanno espulso gli ambasciatori della Siria come protesta diplomatica.

    Rainer Hermann è il 56enne corrispondente della Faz e firma il pezzo da Damasco (quindi ha un’autorizzazione del governo per lavorare). Scrive che quel giorno i ribelli hanno attaccato tre posti di blocco dell’esercito messi a protezione della popolazione in maggioranza alawita di Houla (i ribelli appartengono in misura predominante ai sunniti, maggioranza oppressa dal regime; gli alawiti sono invece la minoranza dominante). L’attacco ha provocato la reazione dell’esercito, l’arrivo di rinforzi e una battaglia di circa 90 minuti, in cui “dozzine di ribelli e di soldati sono stati uccisi”. “Secondo testimoni oculari, il massacro è avvenuto in quell’intervallo di tempo. Gli ammazzati appartengono quasi esclusivamente a famiglie alawite e sciite. Alcune dozzine di vittime sono di una stessa famiglia un tempo sunnita ma ora convertita alla professione sciita. E’ stata uccisa anche la famiglia Shomaliyah, alawita, e quella di un sunnita eletto in Parlamento e per questo considerato un collaborazionista. Subito dopo il massacro, si ritiene che i carnefici abbiano filmato i morti e li abbiano presentati al mondo come vittime del regime nei video caricati su Internet”. Le fonti oculari di Hermann, che parla arabo, non vogliono che i loro nomi siano citati per paura di vendette (è il secondo scoop della stampa tedesca a gettare pessima luce sui ribelli; ad aprile lo Spiegel intervistò uno dei killer che uccide i prigionieri della guerriglia).

    Il pezzo di Hermann, “Abermals Massaker in Syrien” del 7 giugno, non rende più leggero lo sterminato dossier d’accusa contro gli Assad: le forze di sicurezza del regime bombardano i quartieri delle città, uccidono i civili per strada, sequestrano e torturano i bambini per convincere alla resa le famiglie di chi protesta. Le prove a carico del presidente Bashar sono ampie e inconfutabili. Ma al sedicesimo mese di rivoluzione un velo di nebbia si leva a impastare e rendere indecifrabile i fatti su uno scenario da cui giornalisti e testimoni indipendenti sono deliberatamente tenuti lontani. C’è una guerra incrociata di propaganda inverificabile. Ad aprile il sito (in francese) del monastero di San Giacomo di Qara raccontava il massacro di famiglie cristiane e alawite nel quartiere di Khalidiya a Homs, commesso dai ribelli del Jaish al Hur (“l’Esercito libero”) e addossato al regime. Subito dopo la strage di Houla, la Bbc pubblicò per sciatteria la foto indimenticabile delle vittime di un’autobomba in Iraq nel 2003 (un ragazzo scavalca con un balzo una fila di corpi fasciati da lenzuola adagiati su un pavimento; attorno altre file infinite di corpi). Quattro giorni fa i soldati siriani hanno sparato agli osservatori Onu che tentavano di avvicinarsi a Qubayr, luogo di un secondo massacro mercoledì scorso. Non ci sono corpi, “ma gli abitanti sono scomparsi”, dicono i Caschi blu. Domenica al Arabiya ha citato un giornale del Kuwait per sostenere che gruppi di volontari islamici da Kuwait, Arabia Saudita, Algeria e Pakistan entrano in Siria per combattere contro il regime, ma ieri l’Esercito libero ha smentito seccamente.

    Il curdo eletto capo dell’opposizione
    Sabato e domenica i ribelli hanno attaccato e hanno combattuto per ore dentro il perimetro della capitale Damasco, una dimostrazione di forza a cui i media non hanno nemmeno accennato. Da fuori, intanto, arriva la notizia dell’elezione a capo del Consiglio nazionale siriano, l’organismo politico che aspira a rappresentare i ribelli, di un curdo, Abdelbasset Sieda. I curdi in Siria sono un milione e per ora non si sono mossi: il loro intervento cambierebbe l’equilibrio della guerra civile.

    • Daniele Raineri
    • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)