Imparare l'inglese

Quanta poesia c'è nella rivoluzione scolastica del superministro Gove

Paola Peduzzi

La rivoluzione dell’istruzione scolastica, nel Regno Unito, ha gli occhi vispi di Michael Gove, uno dei pochi cameroniani ad avere le idee chiare su valori e prospettive, uno che non voleva nemmeno andare al governo, è un giornalista, un animale da centro studi, e che ha accettato soltanto per poter realizzare un sogno: cambiare il modo di studiare dei bambini britannici.

    La rivoluzione dell’istruzione scolastica, nel Regno Unito, ha gli occhi vispi di Michael Gove, uno dei pochi cameroniani ad avere le idee chiare su valori e prospettive, uno che non voleva nemmeno andare al governo, è un giornalista, un animale da centro studi, e che ha accettato soltanto per poter realizzare un sogno: cambiare il modo di studiare dei bambini britannici. Il ministro dell’Istruzione ha pubblicato all’inizio della settimana alcune proposte per il cosiddetto “national curriculum”, le linee guida di quello che dovrebbe essere il curriculum di un bambino di sette, otto, dieci anni che studia nelle scuole inglesi. Che cosa deve saper fare? Gove è entrato nei dettagli, ispirandosi “a un maggior rigore” e proiettando modalità educative degli anni Cinquanta, “quando tutto era didattica e nulla personalità”, hanno detto alcuni detrattori. Il modello anni Cinquanta però ha il suo fascino, soprattutto in un paese come il nostro dove i genitori si indignano se i loro figli vengono bocciati in prima elementare, un’onta sociale insostenibile, e pazienza se poi queste creature non sapranno la grammatica della loro lingua madre (figurarsi delle lingue straniere).

    Secondo Gove i bambini entro cinque anni devono sapere recitare le poesie a memoria, poesie dei grandi autori inglesi, perché è importante che la storia della letteratura inizi a essere assorbita fin da piccoli, “in modo da avere familiarità con la storia, i romanzi e i racconti della tradizione”. Per ogni anno di scuola, il ministro esplicita i diversi livelli di grammatica che devono essere raggiunti, con un esempio delle parole di cui si deve sapere lo spelling (il dettato, in poche parole). Entro il 2014 saranno introdotti corsi di latino, greco, cinese, francese e spagnolo cui dovranno partecipare i bambini a partire dai sette anni. Poi ci sono tabelline e operazioni, e anche per la matematica sono fissati parametri valutativi precisi per capire se un bambino può accedere all’anno scolastico successivo o no (entro i nove anni bisogna conoscere le tabelline fino al 12, come accadeva in Inghilterra negli anni Settanta: oggi l’ultimo “curriculum” proposto nel 2007 dal governo laburista concede tempo fino agli undici anni).

    Poi è necessario sapere un po’ di chimica e di biologia come prevedono i percorsi formativi degli Stati Uniti, di Singapore e di Hong Kong che sono considerati tra i più competitivi del mondo. Nelle sue proposte – che saranno valutate da una commissione e poi “ratificate” entro la fine dell’anno – Gove si è rifatto ai risultati di un panel costituito lo scorso anno e diretto da Tom Oats, direttore delle ricerche al Cambridge Assessment: il Guardian si è affrettato a intervistare un membro di questo comitato che ha smentito se stesso dicendo che Gove è troppo “rigoroso e impositivo, non lascia spazio alla discrezionalità degli insegnanti”. Lo scontro culturale tra la rivoluzione di Gove e la sinistra inglese è tutto qui: regole versus creatività, che in alcuni casi si trasforma in un generale lassismo nei confronti dei ragazzi. Non è necessario tornare ai “riots” dello scorso anno per sapere che la gioventù inglese è in generale piuttosto aggressiva e presuntuosa: ci sono ragazzini che sfidano gli insegnanti, dicendo “se mi tocchi tanto finisci in galera”, al punto che persino in alcuni ambienti progressisti si è rivalutato il valore di uno schiaffo ben assestato.

    A Gove non serve parlare di punizioni fisiche, dalla sua parte ha statistiche terrificanti su maestri e su giovani nel mondo del lavoro. Per questo vuole imporre a migliaia di insegnanti di tornare a scuola per imparare bene anche loro la grammatica. Il direttore della National Association for the Teaching of English ha detto al Daily Mail: “L’enfasi sulla grammatica nelle scuole primarie significa che potenzialmente una generazione di maestri avrà bisogno di un training parecchio intenso. E’ un gran cambiamento rispetto a quel che finora è stato richiesto agli insegnanti”. Non si tratta soltanto di maestri – che in tantissimi hanno scritto infuriati ai giornali – ma di professionisti. Secondo un sondaggio della Confederation of British Industry fatto in quasi 600 aziende inglesi, quattro dipendenti su dieci devono fare corsi di formazione sulla grammatica e la matematica perché non sono in grado di “gestire la normale routine di un posto di lavoro”. Naturalmente questo aumenta i costi del lavoro, e la disoccupazione.

    Gove è accusato di essere un provocatore, ha mandato 300 mila bibbie nelle scuole grazie ai soldi di una charity perché considera anche la Bibbia un testo chiave della formazione dei ragazzi, e le sue innovazioni nelle scuole private non hanno ancora dato grandi risultati. Ma lui risponde che certi valori si imparano da piccoli e un sistema è competitivo quando i suoi giovani lo sono: iniziate con l’alzarvi in piedi quando entrano gli insegnanti, poi vediamo.

    • Paola Peduzzi
    • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi