Speculazione, Italia

Stefano Cingolani

Chi ce l’ha con l’Italia e perché? Mario Monti, prima inquieto poi allarmato, se la prende con “commenti inappropriati che vengono da altri paesi europei” (precisamente l’Austria). Corrado Passera si dichiara “indignato”, lamentando che la Ue non abbia agito prima. Intanto, Piazza Affari soffre e lo spread torna a quota 475. Secondo un filone di pensiero che va per la maggiore la speculazione, in ritirata dal fronte spagnolo dove l’Unione europea è intervenuta con un centinaio di miliardi per salvare le banche, si sposta sul fronte italiano.

    Chi ce l’ha con l’Italia e perché? Mario Monti, prima inquieto poi allarmato, se la prende con “commenti inappropriati che vengono da altri paesi europei” (precisamente l’Austria). Corrado Passera si dichiara “indignato”, lamentando che la Ue non abbia agito prima. Intanto, Piazza Affari soffre e lo spread torna a quota 475. Secondo un filone di pensiero che va per la maggiore la speculazione, in ritirata dal fronte spagnolo dove l’Unione europea è intervenuta con un centinaio di miliardi per salvare le banche, si sposta sul fronte italiano, trovandolo sguarnito, senza copertura né da Bruxelles né da Francoforte, per continuare con la metafora da guerre di mercato, mentre cominciano a sfaldarsi anche le trincee più robuste perché mancano i rifornimenti dalle retrovie.

    La recessione si fa pesante, le stime più attendibili prevedono una caduta del pil vicina ai due punti quest’anno e un preoccupante segno meno anche l’anno prossimo. Con una crescita negativa, anche la sostenibilità del debito diventa più difficile, nonostante tagli e tasse. Dunque, chi ha comprato titoli italiani per riempire i portafogli delle banche o dei fondi pensione internazionali, tende a liberarsene orientando il flusso dei risparmi verso titoli rifugio come i bund tedeschi, a rendimento zero, ma ritenuti sicurissimi. Secondo Fabrizio Saccomanni, direttore generale della Banca d’Italia, “si è messo in moto un circolo vizioso tra rischio sovrano e rischio bancario che agisce in senso perverso sugli spread tra i rendimenti su attività percepite ad alto rischio e quelli in qualche modo concepiti senza rischio. I differenziali attuali alimentano ulteriori squilibri determinando una redistribuzione di risorse dai paesi in difficoltà a quelli percepiti più solidi”.

    Tutto questo è vero. Eppure non basta a rispondere né a fugare il sospetto che una perfida trama internazionale voglia mettere l’Italia in ginocchio spingendola a chiedere aiuto con il cappello in mano come ha fatto la Spagna. Consumando, così, non solo l’umiliazione, ma anche la massima cessione di sovranità. E’ vero che il paese non cresce, ma non è una novità. Il debito pubblico era al 120 per cento prima di entrare nell’euro. I titoli italiani hanno una vita lunga. Possiamo pagare interessi fin oltre l’8 per cento. La nostra ricchezza finanziaria è ancora tre volte il debito pubblico. Con 4-500 miliardi potremmo metterci in sicurezza nei prossimi dieci anni. Insomma, l’Italia è solvibile, almeno quanto il Giappone che ha un debito pari al 250 per cento del pil e lo finanzia con tassi al 2 per cento. Spiega al Foglio Marco Fortis, docente alla Cattolica e vicepresidente della Fondazione Edison, che l’Italia per onorare i suoi debiti si è svenata: un avanzo primario cumulato pari a 60 punti di prodotto lordo dal 1993. “E poi ci si chiede perché non cresciamo. Non è questione di competitività, ma di una domanda interna ormai inaridita”. Se il debito venisse calcolato in rapporto al patrimonio, Italia e Germania avrebbero la stessa quota pari al 21 per cento. Il paese ha sempre potuto pagare le tasse comminate con le continue manovre di aggiustamento. Ciò ha depresso l’economia, ma dimostra che non esiste un problema di solvibilità. Non solo: l’industria manifatturiera tiene testa a quella tedesca con un surplus di 53 miliardi lo scorso anno, calcola Fortis. Le banche italiane non hanno titoli greci, portoghesi o spagnoli a differenza da quelle germaniche. Il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, ha ricordato che la crisi del mutui subprime nel 2007 è stata innescata dalle banche europee, in particolare tedesche, che se ne erano riempite la pancia fino a fare indigestione. In conclusione, l’analisi dei fondamentali dell’economia italiana non giustifica un attacco ad ampio raggio. E allora, che cosa sta accadendo?

    In realtà, stiamo assistendo alla prova generale sul futuro dell’euro e l’Italia è l’arena decisiva. Ci sono quattro paesi sotto tutela (Spagna, Grecia, Portogallo e Irlanda) che possono essere salvati con un impiego di liquidità massiccio, e tuttavia sopportabile. Nessuno, invece, possiede risorse adeguate per salvare davvero l’Italia. E qui scatta la scommessa dei mercati, dice al Foglio Domenico Lombardi della Brookings Institution. “Il solo attore che potrebbe mettere al riparo il debito sovrano italiano è la Bce con conseguenze sostanziali sia sul piano politico sia su quello istituzionale”. Naturalmente occorre il consenso tedesco. Secondo fonti di Berlino, stanno maturando le condizioni per una svolta. Forse non ancora al vertice di fine mese, ma certo quell’appuntamento potrebbe già far emergere i primi segnali significativi. Tuttavia, la cancelliera Merkel ha bisogno che la pressione salga ancora, per convincere i più conservatori (e non solo nel suo partito). (segue dalla prima pagina)
    Una recrudescenza della crisi, con l’Italia di nuovo sull’orlo del burrone, potrebbe essere la miccia che innesca un big bang virtuoso. Che cos’altro può chiedere Berlino al governo Monti? In questi sei mesi ha fatto tutto quello che la Bce, la Banca d’Italia (la famosa lettera portava la firma di Trichet, ma anche dell’allora governatore Draghi) e la Cancelleria volevano. Gli interlocutori tedeschi mettono il dito sulle riforme di struttura: ancora poche tranne le pensioni. E’ vero che avrebbero un impatto sulla crescita solo di medio periodo, ma eserciterebbero un effetto positivo sulle aspettative, innalzando il livello potenziale di sviluppo.
    “Il regolamento dei conti si avvicina”, insiste Lombardi. Nel momento in cui l’Italia finisce sott’attacco, la campana suona per tutti, a cominciare dalla Francia. Anche per questo, sottolinea Fortis, è importante che Monti stringa con Hollande un accordo politico che è nell’interesse anche di Parigi: se il governo socialista dovesse rispettare davvero il Fiscal compact dovrebbe mettere mano a una manovra da 100 miliardi di euro. Ma la stessa Germania non è al sicuro nonostante abbia drenato grandi risorse dal resto d’Europa: 300 miliardi dalla Francia, altrettanti dai cosiddetti Pigs, 180 dall’Italia. Un cambio di atteggiamento potrebbe dare il via alla Bce affinché comperi sul mercato secondario titoli di stato dei paesi in difficoltà, a cominciare dai Btp italiani, tagliando le unghie alla speculazione. Il finanziamento triennale attraverso le banche ha esaurito la sua efficacia perché lo spread è risalito.
    La moneta unica è più che mai in mezzo al guado. O va avanti o affonda. Ci vogliono nuove riforme della governance, ma il passaggio chiave è una Banca centrale che la sostenga fino in fondo. L’euro esiste se ha dietro la Bce e i governi. Calcoli, manovre, scommesse, finanza e politica, tutto quindi precipita sull’Italia diventata la cartina di tornasole in questo laboratorio ad alto rischio per il mondo intero. “L’Amministrazione Obama è estremamente preoccupata – aggiunge Lombardi – La ricaduta di un collasso europeo gli costerebbe la rielezione. Ma non solo. Roma è un alleato chiave con una posizione strategica centrale nel Mediterraneo attraversato dalle crisi arabe. Gli Stati Uniti non vogliono e non possono lasciarla affondare”. Un avvertimento anche per la Cancelleria di Berlino.