Evacuare Tel Aviv

Giulio Meotti

"Nella Seconda guerra mondiale, pur sottoposti ai bombardamenti tedeschi, gli inglesi non abbandonarono Londra”, tuonò nel 1991 l’allora sindaco di Tel Aviv e generale della riserva, Shlomo Lahat. L’orgoglio israeliano mostrato al mondo durante la Guerra del Golfo potrebbe essere meno granitico nell’eventuale conflitto con l’Iran. Mercoledì Adam Zusman, comandante dell’Home Front Command per la zona centrale d’Israele, ha affermato che in caso di guerra con Teheran le autorità israeliane “dovranno evacuare la popolazione di Tel Aviv e ricollocarla in altre aree del paese”.

    "Nella Seconda guerra mondiale, pur sottoposti ai bombardamenti tedeschi, gli inglesi non abbandonarono Londra”, tuonò nel 1991 l’allora sindaco di Tel Aviv e generale della riserva, Shlomo Lahat. L’orgoglio israeliano mostrato al mondo durante la Guerra del Golfo potrebbe essere meno granitico nell’eventuale conflitto con l’Iran.
    Mercoledì Adam Zusman, comandante dell’Home Front Command per la zona centrale d’Israele, ha affermato che in caso di guerra con Teheran e conseguente pioggia di missili sullo stato ebraico, le autorità israeliane “dovranno evacuare la popolazione di Tel Aviv e ricollocarla in altre aree del paese”. Può la città israeliana, dove vive il sessanta per cento della popolazione, affrontare uno scenario che il quotidiano Yedioth Ahronoth definisce da “giorno del giudizio”? Israele pensa seriamente a un esodo per due milioni di persone, o parte di loro, che oggi vivono a Tel Aviv, Bat Yam, Holon, Petakh Tikva, Ramat Hasharon, Ramat Gan, Givatayim, Bnei Brak, Herzliya, Or Yehuda, Givat Shmuel e Kiryat Ono. Destinazione? Deserto del Negev.

    “Nella prossima guerra nessuno potrà prendere un caffè a Dizengoff”, ha detto Zusman riferendosi alla centralissima e occidentale strada della capitale economica israeliana dove sorgono boutique e caffè. “Ci stiamo preparando allo scenario peggiore”. Finora, nessun ufficiale israeliano in comando aveva parlato in questi termini. Cosa è successo? Il giorno prima il vice primo ministro ed ex capo di stato maggiore, Moshe Yaalon, aveva detto che “se Israele si troverà costretto a scegliere fra bombardare l’Iran o permettere a Teheran di avere un arsenale atomico, dovrà alla fine optare per la prima alternativa”, ribadendo in parole esplicite moniti già avanzati a più riprese sia dal premier, Benjamin Netanyahu, sia dal ministro della Difesa, Ehud Barak. “Il momento della verità potrebbe arrivare presto”, ha scandito Yaalon. Nello stesso giorno il vicecapo di stato maggiore, Yair Naveh, ha messo in guardia contro le armi chimiche siriane, che potrebbero passare in mano a terroristi, pasdaran iraniani o Hezbollah. “Damasco ha il più grande arsenale di armi chimiche al mondo”, ha detto mercoledì Naveh. Un rapporto russo del 1993 ha rivelato che anche gli ayatollah iraniani hanno sviluppato un arsenale di “aspirine”, come ebbe a definire le armi chimiche il colonnello Gheddafi.

    Secondo Yftah Shapir ed Ephraim Kam, professori all’Istituto di studi strategici nazionali, l’Iran potrebbe armare i missili Shahab con colera, antrace e vaiolo. Della stessa opinione Dany Shoham, del Besa center for strategic studies, il quale crede che l’Iran sia disposto a risposte estreme: l’attacco biologico e un fitto lancio di missili, combinato con una serie di attacchi terroristici, organizzati con Hamas e Hezbollah.
    Il comandante delle retrovie, generale Yair Golan, ha spiegato che “le città d’Israele potrebbero trasformarsi in campi di battaglia” e che masse di persone sarebbero costrette a scappare in Samaria, che in codice militare è definita “rifugio nazionale”: essendo elevata, è al di fuori del pericolo di gas nervini che, negli scenari più apocalittici, potrebbero essere utilizzati contro Tel Aviv. Durante la guerra fra Israele e lo Hezbollah del 2006, il movimento sciita libanese ha lanciato quattromila razzi contro la Galilea, obbligando milioni di israeliani a fuggire verso sud o a cercare riparo nei rifugi. Cosa potrebbe accadere nel conflitto iraniano? Esiste un solo calcolo. Nel 2006 i terroristi libanesi causarono un morto ogni cento razzi. Se domani ne lanciano dodicimila potrebbero esserci mille vittime. Nella recente esercitazione israeliana “Turning Point 5” Hamas, Hezbollah e Iran lanciano diecimila missili su Israele, “uccidono centinaia di civili, ne feriscono ventimila e costringono centinaia di migliaia di persone a lasciare le case”. In base a progetti messi appunto durante la Guerra del Golfo del 1991, alle prime avvisaglie di ostilità agli abitanti di Tel Aviv sarebbe consigliato di salire sulle automobili con tende da campeggio, scorte di cibo e di acqua e indumenti sufficienti per alcuni giorni. Dovrebbero raggiungere la riserva naturale di Beit Govrin, a sud-ovest di Gerusalemme, distante cento chilometri.

    Agli israeliani potrebbe essere chiesto di avere a portata di mano “una valigia con documenti, medicine, vestiti, una radio, un telefono cellulare, cibo, bevande”. Temendo una pioggia di missili dall’Iraq nel 2003, durante l’invasione americana di Baghdad, il sindaco e l’esercito avevano progettato di sistemare l’intera popolazione di Ramat Gan, la più popolosa zona di Tel Aviv, in tende allestite su un terreno appositamente individuato fra Kiriat Gat ed Ashkelon, nel sud. Chi non riuscirà a lasciare la città dovrà cercare riparo in mega rifugi sottoterra, come il teatro Habima o i bunker sotto il Sourasky Medical Center.
    I missili di Hamas e Hezbollah hanno già paralizzato letteralmente intere città israeliane molto più piccole di Tel Aviv. Quando lo scorso marzo gli islamisti hanno lanciato da Gaza venti missili su Ashdod, a pochi minuti di auto da Tel Aviv, la vita di duecentomila israeliani si è fermata per giorni. Il timore per le sorti di Tel Aviv domina la stampa israeliana. Il quotidiano Makor Rishon recentemente ha pubblicato una simulazione dell’attacco israeliano all’Iran. Da una nave nel Mediterraneo agenti iraniani lanciano un missile contro un aereo della El Al, uccidendo trecento persone. A Tel Aviv radiazioni sono emesse da una “bomba sporca”. Ad accrescere l’apprensione di Tel Aviv c’è un progetto della Heritage Foundation, un istituto di ricerca vicino al ministero della Difesa statunitense. Il report ha calcolato le conseguenze di armi “sporche” che cadono su Tel Aviv. Un attacco con gas sarin nel centro di Tel Aviv provocherebbe tremila morti. Una testata di cinquecento chilogrammi di botulino ucciderebbe cinquantamila persone, mentre quattrocento chilogrammi di Vx provocherebbero la morte di 43 mila persone.

    Si parla di tirare fuori i modelli prodotti dalla Supergum, la società specializzata in indumenti protettivi contro le armi non convenzionali: la soluzione per neonati avviluppati in una busta di plastica con fessura per l’aria, camicia e pantaloni da adulto, da bambino, guanti, stivali, maschere antigas, siringhe di atropina. Per tutti il consiglio è la “tendina balistica”, in grado di far fronte allo spostamento d’aria provocato dalla caduta di un missile. La “tendina” è applicata alla parete con bulloni, per raccogliere le schegge della finestra. Sempre che la parete non crolli prima. La vita scorre come sempre nella magnifica Tel Aviv, ma l’eventuale “day after” d’Israele è già iniziato. 

    • Giulio Meotti
    • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.