E ora giù le tasse (sugli alcolici greci)

Maurizio Stefanini

Non si sa se l’euro riuscirà a salvarsi dopo il risultato delle elezioni in Grecia, ma intanto una illustre vittima della crisi rischia di essere l’ouzo. Il famoso liquore all’anice che assieme al formaggio feta è forse il doc ellenico più noto nel mondo, e la cui industria sta però boccheggiando. Tra il 55 e il 60 per cento in meno di consumo interno: ovviamente l’austerity ha torchiato su Iva e imposte sugli alcolici, queste ultime aumentate tre volte consecutivamente per un totale del 124 per cento.

    Non si sa se l’euro riuscirà a salvarsi dopo il risultato delle elezioni in Grecia, ma intanto una illustre vittima della crisi rischia di essere l’ouzo. Il famoso liquore all’anice che assieme al formaggio feta è forse il doc ellenico più noto nel mondo, e la cui industria sta però boccheggiando. Tra il 55 e il 60 per cento in meno di consumo interno: ovviamente l’austerity ha torchiato su Iva e imposte sugli alcolici, queste ultime aumentate tre volte consecutivamente per un totale del 124 per cento, ma anche senza rincari fiscali, e con gli stipendi calati di un quarto, sono proprio questi generi cosiddetti “voluttuari” i primi a rimetterci. E' vero che il 60 per cento dei 42 milioni di bottiglie prodotte ogni anno va nell’export, ma anch’esso rischia di essere danneggiato se crolla l’insostituibile veicolo promozionale del turismo. E anche il turismo in Grecia ha subito un calo del 40 per cento.

    Brand tipico del made in Grecia, come ha confermato la normativa europea che nel 1989 ha ristretto la denominazione al solo prodotto del paese, in effetti l’ouzo è parente stretto di tutta una serie di altri liquori all’anice diffusi nel bacino del Mediterraneo: dalla nostra sambuca al tutone siciliano, al pastis marsigliese, al pernod francese, al raki turco e all’arak medio-orientale. Secondo la tradizione, sarebbero stati i monaci del Monte Athos nel XIV secolo a iniziare in territorio greco l’arte della distillazione, e tra i loro liquori ce ne sarebbe già stato uno aromatizzato all’anice. Compreso tra i 40 e i 50 gradi, l’ouzo è oggi prodotto con la distillazione di un fermentato di uva e uva passa, aromatizzato non solo con anice ma anche con liquirizia, coriandolo, chiodo di garofano, radice di angelica, menta, finocchio, nocciole, cannella e fiori di lime. Realizzato a livello industriale fin dalla prima metà dell’ ’800 e dopo l’indipendenza greca, il nome potrebbe venire appunto dall’italiano “Uso Massalia”, alla maniera di Marsiglia, messo sulle casse di bottiglie per l’export, ma è stato anche collegato al turco üzüm, “uva passa”. Se il pastis e la sambuca sono però tradizionalmente associati al consumo del caffé, l’ouzo condivide con l’arak l’aggiunta dell’acqua in una miscela dissetante dal tipico colore lattiginoso. Tipici della Grecia sono invece gli ouzeri: i bar dove l’ouzo è servito assieme a stuzzichini chiamati mezedes, anch’essi ovviamente vittime della crisi.

    “La situazione è drammatica, una questione di vita o di morte per i produttori più piccoli”, è l’allarme di Nikolaos Kalogiannis, presidente della Federazione Greca dei Produttori di Liquore nonché dirigente di quell’ouzo Isidoros Arvanitis che è una delle cinque marche più rappresentative della penisola (situata in quell’isola di Lesbo che è considerata la capitale dell’ouzo e forse il suo luogo d’origine, vista anche la presenza di un muselo a lui intitolato). La sua proposta è, se non proprio di estendere all’ouzo il regime di esenzione fiscale di cui gode il vino, per lo meno di ridurre il carico impositivo, “così il consumo aumenterà e anche lo stato guadagnerà di più”.