Sviluppi sull'inchiesta di Palermo che chiama in causa Conso e Mancino

Una polemica “sconcertante”

Giuseppe Sottile

Non è un attacco al cuore dello stato ma a quello del capo dello stato. Non crede che abbiamo toccato il fondo? Messo di fronte a questa domanda, il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, Michele Vietti rivendica subito il diritto a una premessa. Diritto accordato, ovviamente. “Premetto – dice – che non voglio e non posso intervenire su una indagine in corso. E questo perché non spetta a me valutare il merito dei processi”.

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    Non è un attacco al cuore dello stato ma a quello del capo dello stato. Non crede che abbiamo toccato il fondo? Messo di fronte a questa domanda, il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, Michele Vietti rivendica subito il diritto a una premessa. Diritto accordato, ovviamente. “Premetto – dice – che non voglio e non posso intervenire su una indagine in corso. E questo perché non spetta a me valutare il merito dei processi”.

    Detto questo, Vietti però trova “sconcertante” la polemica sollevata sul Quirinale dopo la pubblicazione delle intercettazioni disposte dalla procura di Palermo a carico dell’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino, prima testimone e poi indagato nell’inchiesta sulla presunta trattativa tra i boss mafiosi e alcuni uomini delle istituzioni, primo fra tutti Mario Mori, lo stesso capo dei Ros che un anno dopo, siamo nel gennaio del 1993, riuscì a catturare Totò Riina, capo dei sanguinari corleonesi. La polemica che alcuni giornali hanno costruito sulle intercettazioni muove dal fatto che Napolitano, messo al corrente delle lamentele di Mancino, ha scritto una lettera al procuratore generale della Cassazione per verificare se le indagini condotte contemporaneamente da tre diversi uffici giudiziari – Palermo, Caltanissetta e Firenze – fossero adeguatamente coordinate. Da qui l’obliqua e sottintesa accusa di un’interferenza del capo dello stato a favore di un testimone eccellente. “Qui si dimentica – insorgeVietti – un dettaglio di straordinaria importanza: che il presidente della Repubblica è all’un tempo presidente del Csm e in quanto tale ha il diritto e il dovere, di fronte alla segnalazione di una presunta anomalia, di attivare tutti i rimedi che l’ordinamento mette a disposizione. La sollecitazione, inviata con lettera ufficiale al procuratore generale della Cassazione, che è anche lui membro del Csm, non aveva altro obiettivo se non quello di verificare, come prescrive la legge, il corretto e uniforme esercizio dell’azione penale”.

    Non bisogna infatti dimenticare che le tre procure, a prescindere dalle lamentele di Mancino, hanno adottato tre diverse strategie di indagine, a volte anche con polemiche più o meno velate tra i rispettivi capi dell’ufficio. “Dunque dov’è lo scandalo? La domanda mi sembra retorica”, conclude Vietti. Del resto, aggiunge il vicepresidente del Csm, il capo dello stato ha scritto le stesse cose che aveva detto e sostenuto davanti al plenum nel febbraio scorso quando aveva invitato i procuratori generali a “scongiurare l’insorgere di contrasti” che possano inficiare la credibilità della stessa magistratura e pregiudicare il buon esito delle indagini. Intanto, però, la polemica rischia di appannare l’immagine del capo dello stato. Su questo Vietti è tagliente: “Il presidente ha esercitato, legittimamente e in maniera trasparente, le sue prerogative, e quindi non ha attivato alcuna pressione come testimoniano pubblicamente tutti gli altri attori della vicenda. In questa delicatissima materia la forma è sostanza”.

    Resta una domanda. A Palermo c’è un magistrato che monta su un’inchiesta senza prove, senza movente e senza fattispecie di reato: lui stesso ammette che il reato di trattativa non esiste. Al tempo stesso però pubblica delle intercettazioni dove non c’è alcuna notizia di reato e che finiscono per sputtanare i vertici dello stato. Può il Csm restare indifferente di fronte a tutto questo? Michele Vietti si fa ancora più cauto. “L’unico limite all’iniziativa di un pubblico ministero è il giudice, perché la sua azione sarà sempre e comunque sottoposta al vaglio di un giudice terzo. Anche l’autorizzazione alle intercettazioni l’ha data un giudice. Lasci perdere lo sputtanamento, parola che io non mi permetto di usare, perché quello non è un fatto giurisdizionale ma mediatico che pertanto non mi interessa. Se proprio si vuol parlare di colpa, questa non sarebbe della magistratura ma del Parlamento che, in tre legislature, non è stato in grado di fare una legge sulle intercettazioni”.

    L’inchiesta senza futuro della procura di Palermo pone anche un altro problema, tra l’altro sollevato due giorni fa dal senatore Giovanni Pellegrino sull’Unità. Per evitare sprechi di denaro pubblico, il pm, prima di mettere in moto un’inchiesta, “ha il dovere istituzionale” di valutare attentamente il grado di sostenibilità dell’accusa di fronte ai tre gradi di giudizio. Non sempre però questo dovere viene rispettato, o no? “E’ vero, la norma c’è e va rispettata. Non dimentichiamo che, nel nostro ordinamento, il pm non è l’avvocato dell’accusa ma, in qualche modo, il garante della legalità, tanto è vero che tra i suoi compiti rientra anche quello di cercare le prove favorevoli all’imputato. Se così non fosse, avrebbero ragione quelli, non io, che invocano la separazione delle carriere”.

    A dispetto delle promesse e dei buoni propositi, resta il fatto che i rapporti tra le procure sono sempre più tesi. Lo dimostra l’intervento, piuttosto pesante, del procuratore aggiunto di Caltanissetta, Domenico Gozzo, sulla gestione di Massimo Ciancimino, il figlio di Don Vito. Caltanissetta sostiene che è un teste farlocco e lo ha incriminato per calunnia, mentre Palermo continua a sostenere che faceva veramente da portalettere, anzi portapizzini, tra il padre e Bernardo Provenzano e continua a indagarlo per concorso esterno. Può il Csm continuare a non vedere? “Il compito di comporre i contrasti – puntualizza Vietti – spetta esclusivamente al procuratore generale della Cassazione. Certo, se i contrasti assumono toni conflittuali, tali da lasciare intravedere una incompatibilità ambientale o funzionale del singolo magistrato, allora il Consiglio può muoversi. Il Csm invece non ha poteri disciplinari immediati e diretti. Ha poteri di giudizio su un’azione promossa dal procuratore della Cassazione o dal Guardasigilli”.

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    • Giuseppe Sottile
    • Giuseppe Sottile ha lavorato per 23 anni a Palermo. Prima a “L’Ora” di Vittorio Nisticò, per il quale ha condotto numerose inchieste sulle guerre di mafia, e poi al “Giornale di Sicilia”, del quale è stato capocronista e vicedirettore. Dopo undici anni vissuti intensamente a Milano, – è stato caporedattore del “Giorno” e di “Studio Aperto” – è approdato al “Foglio” di Giuliano Ferrara. E lì è rimasto per curare l’inserto culturale del sabato. Per Einaudi ha scritto anche un romanzo, “Nostra signora della Necessità”, pubblicato nel 2006, dove il racconto di Palermo e del suo respiro marcio diventa la rappresentazione teatrale di vite scellerate e morti ammazzati, di intrighi e tradimenti, di tragedie e sceneggiate. Un palcoscenico di evanescenze, sul quale si muovono indifferentemente boss di Cosa nostra e picciotti di malavita, nobili decaduti e borghesi lucidati a festa, cronisti di grandi fervori e teatranti di grandi illusioni. Tutti alle prese con i misteri e i piaceri di una città lussuriosa, senza certezze e senza misericordia.