La strana coppia
Non si può prescindere dal passato di Benedetta Tobagi e Gherardo Colombo, eppure prescindere per un po’ si deve, visto che i due sono oggi la strana coppia di “non competenti” uscita dal conclave delle associazioni di “società civile” riunite per decidere i papabili per il cda Rai, sotto impulso di un orgoglioso Pier Luigi Bersani. Due nomi di società civilissima, Benedetta Tobagi e Gherardo Colombo (ma Aldo Grasso dice: che ne è di noi della società incivile?).
Non si può prescindere dal passato di Benedetta Tobagi e Gherardo Colombo, eppure prescindere per un po’ si deve, visto che i due sono oggi la strana coppia di “non competenti” uscita dal conclave delle associazioni di “società civile” riunite per decidere i papabili per il cda Rai, sotto impulso di un orgoglioso Pier Luigi Bersani. Due nomi di società civilissima, Benedetta Tobagi e Gherardo Colombo (ma Aldo Grasso dice: che ne è di noi della società incivile?). A molti piacciono, con il loro profilo alto in campi alti e il loro essere grandi inesperti in campo televisivo (Roberto Saviano su Twitter loda Benedetta Tobagi, “mente giovane e libera”). Ad altri piacciono meno. Antonio Di Pietro, pur avendo voglia di “abbracciare idealmente” l’antico collega dei tempi di Mani pulite, ci vede una “lottizzazione mascherata”. Giorgio Gori è perplesso sulla “competenza”, parola al momento taumaturgica assieme a “curriculum”. Gad Lerner, sul suo blog “Il bastardo”, scrive che Benedetta e Gherardo, con tutta l’immensa stima e con tutto il rispetto per “l’autorità morale”, andrebbero meglio per un “comitato di saggi” che per il consiglio di amministrazione di un’azienda che attraversa “un momento difficilissimo”. Qualcuno si è in parte dissociato dalla scelta (le associazioni cattoliche e le donne di “Se non ora quando?”) e Marina Terragni ha fatto notare che “‘Se non ora quando?’ ha specificato di non avere indicato alcun nome per il cda Rai, e nella fattispecie di non avere indicato Benedetta Tobagi come propria candidata, ma di essersi limitata a richiedere un’equa rappresentanza, offrendo alla commissione parlamentare una rosa di nomi (fra cui quello di Tobagi). Non facilissimo da capire, ma il senso è: non abbiamo dato il nome di Tobagi. La quale tuttavia ha dato vita – o amici hanno dato vita per lei – a una pagina facebook intitolata: Benedetta Tobagi nel cda Rai, se non ora quando?… Insomma, grande confusione sotto il cielo”. Grande confusione, in effetti, e grande dibattito tutt’attorno al Pd sull’idea di una delega in bianco alla società civile. C’è anche chi pensa che forse, per eterogenesi dei fini, l’acqua ricadrà nel cortile di Bersani – il direttore di Europa, Stefano Menichini, ha scritto: “Se l’avesse escogitato uno degli antipatizzanti della cosiddetta società civile (vicino a Bersani ce ne sono alcuni), non sarebbe venuto così bene. Lo scherzetto che il segretario del Pd ha combinato alle associazioni s’è rivelato insidioso: chiamato a esprimere due nomi per il cda della Rai (solo due: non tre, cinque, una rosa di nomi…), il mondo associativo, rispettabile e carico di onori, ha risposto ma è andato in tilt. S’è capito che organizzare convegni e manifestazioni, sottoscrivere appelli e proposte di legge, lavorare con dedizione sul territorio nelle situazioni più estreme e disagiate, tutto questo è un conto. Un altro conto è entrare nel tritacarne delle nomine…
La verità è che, stante l’attuale sistema di governo del servizio pubblico, non solo televisivo, solo i partiti possiedono i codici e le procedure per fare (talvolta bene) quello sporco lavoro…”. Tobagi e Colombo, ancora prima di essere votati, vengono in parte inchiodati alla “questione competenza” (“non è detto che un ministro dell’Interno debba essere per forza poliziotto e un componente del cda Rai un cervellone dell’audience. Certo, un manager o almeno un uomo di mondo farebbe comodo”, osserva con il sorriso un cronista esperto).
Ma se anche per un attimo si prescinde, poi di nuovo non si può ignorare il punto di partenza comune, nonostante la differenza di età, di Benedetta Tobagi e Gherardo Colombo: gli Anni di piombo che a lei hanno strappato il padre Walter, giornalista del Corriere della Sera morto per agguato di terrorismo rosso il 28 maggio del 1980, e che per lui hanno scandito l’avvio della carriera (con choc nei giorni del delitto Alessandrini). L’ansia della memoria, una certa Milano anni Settanta con porte di vetro smerigliato (quelle delle case dei giornalisti e quelle dell’alta borghesia con anticamera), il pubblico e il privato che si intersecano nei libri, l’orrore che si spalanca nella vita della bambina di tre anni e la paura provata dal giovane magistrato davanti alla morte dei colleghi, la ricerca di una via di uscita da una casa-cenotafio e la vita da simbolo di Mani pulite nonostante il ritiro anzitempo dalla magistratura, ritiro operoso a presiedere case editrici (Garzanti) e a girare l’Italia per parlare a studenti e detenuti di regole, perdono e responsabilità: Benedetta Tobagi e Gherardo Colombo, probabili prossimi marziani in Rai, magari per un anno soltanto, giusto per arrivare alle elezioni, sono tutto questo e hanno la stessa passione per “I Fratelli Karamazov”, ma sono anche altro, nei fatti diversissimi. Benedetta, tre anni fa, si è candidata nella lista Penati per la provincia di Milano perché colpita “dall’idealità del progetto” (eletta, si è dimessa tempo dopo per “motivi di studio”); Gherardo, qualche giorno fa, è diventato presidente dell’organismo di sorveglianza della vecchia risorgimentale Banca Popolare di Milano, ora nel post Ponzellini (“bella scelta, Colombo per i milanesi è uno che, come si dice, ‘l’ha minga rubà’, si vedrà poi se la scelta è anche efficiente”, dice il giornalista finanziario Giancarlo Galli, vedendo in un non-competente Colombo un possibile “argine” ai mali dell’antica banca, affogata nella giungla dell’assemblea di soci, specie se soci-dipendenti).
Tobagi e Colombo, Colombo e Tobagi. C’è sempre un doppio fondo, quando si parla di loro, la radice indimenticabile: l’immagine anche interiore di quel corpo riverso sul selciato e il furore di Mani pulite vissuto da “motore”, in prima persona, con dietro l’eco delle inchieste su P2, fondi neri Iri e delitto Ambrosoli. Sul fondo ci sono il dolore di Benedetta e le teorie di Gherardo: qui ci vuole una sorta di “condono”, diceva Colombo nel 1992, parlate e non andate in carcere (e però poi in carcere – preventivo – la gente c’è finita eccome). E nel 1998, intervistato da Giuseppe D’Avanzo sul Corriere della Sera, attaccò di petto la commissione Bicamerale, bollandola come espressione di una “società del ricatto”, discesa direttamente dalla peggiore stagione di misteri italiana – si arrabbiò Massimo D’Alema (“tesi pericolose e profondamente sbagliate, tipiche dell’estremismo di sinistra”), si arrabbiò l’allora Guardasigilli Giovanni Maria Flick (che promosse un’azione disciplinare contro Colombo, poi archiviata) e si disse “sconcertato” l’attuale sindaco di Milano Giuliano Pisapia, allora presidente molto garantista della commissione Giustizia della Camera.
Sul piano emerso, invece, ci sono Tobagi e Colombo oggi: Colombo tra collane di libri e scuole disagiate (chissà se dovrà ricevere il dono dell’ubiquità, per fare anche il consigliere Rai); Tobagi collaboratrice di Repubblica e conduttrice su Radio2 oltre che autrice, nel 2009, di un libro “tenero e terribile”, come si legge in quarta di copertina, sulla storia sua e di suo padre (“Come mi batte forte il tuo cuore”, ed. Einaudi). Il piano emerso mostra la Benedetta Tobagi degli editoriali e della radio, presa da un’ansia messianica di correttezza politica che rischia di portarla verso la zona di onore statico tributato alle persone colpite duramente negli affetti (è successo a Olga D’Antona; Rosa Calipari, Carol Beebe Tarantelli). Il piano sottostante parla di una Benedetta Tobagi che sperimenta una leggerezza difficile (articolo su Audrey Hepburn che spezza la serie di articoli sui depistaggi; le battute di ritmo non radiofonico in radio) mentre gli altri continuano a vedere in lei il percorso: come ha affrontato ed elaborato il lutto, sola in mezzo agli adulti che per non farle male hanno lasciato cadere, senza davvero rispondere, la sua curiosità troppo dolorosa sul padre morto ammazzato (“bum bum bum”, diceva Benedetta ai compagni d’asilo, e siccome quelli non ci credevano mimava il gesto del ragazzo piegato sulle gambe che spara con la P38, simbolo macabro degli Anni di piombo). Gli altri, in famiglia, curavano le ferite come meglio potevano, ma lasciandosi dietro il freddo dell’emozione da non smuovere per non andare in pezzi. Il libro è intenso, ma ciò non toglie che Benedetta Tobagi poi sia stata tranchant, quasi sentendosi offesa, quando qualcuno le chiedeva opinioni sul libro di Anna Negri, figlia di Toni. “Come mi batte forte il tuo cuore”, titolo preso da una poesia di Wislava Szymborska, è un percorso di avvicinamento a un padre “cancellato” dalla fissità del mito, un padre da scoprire piano, rovistando nella biblioteca dello studio avvolta nella sciarpa di Walter come in un abbraccio mancato, attraverso frammenti di articoli, lettere, rari nastri registrati da cui spunta – sorpresa allegra e devastante – il lessico di famiglia, il papà e la sua “Bebi” che a due anni gli dice “auguri”, e quando la voce arriva l’emozione è troppo forte per poter essere domata). Ma il libro è anche giudizio personalissimo messo lì come fosse verità assoluta. Stefania Craxi ha scritto una lettera al Corriere della Sera: “Caro direttore, il libro di Benedetta Tobagi mi ha profondamente offeso. Il Craxi cinico e codardo, speculatore dei sentimenti di amicizia e fraternità che lei dipinge non esiste… la Tobagi trae le sue convinzioni da fallaci sensazioni giovanili; a sei anni sbircia la madre impegnata in un severo colloquio con Bettino Craxi. Poi Bettino esce (Benedetta dice: messo alla porta) e lei vede la madre piangere. Più tardi, saprà che Craxi ha raccontato alla vedova Tobagi del ritrovamento, tra le carte del servizio segreto militare, di una ‘soffiata’, un appunto anonimo che indicava Tobagi nel mirino delle Br e quindi avrebbe potuto salvargli la vita. Logico che una simile rivelazione abbia sconvolto la signora Tobagi, ma Benedetta inventa un contrasto tra la mamma, che vorrebbe rivelare subito la cosa ai giudici che stanno processando gli assassini confessi di suo marito, e Bettino che vuole ritardare la rivelazione per servirsi dello scandalo a fini elettorali…”.
Il piano emerso vede i due “nomi della società civile”, Colombo e Tobagi, presenti sulla scena pubblica in modi diversi, entrambi chiamati alle trasmissioni di Fabio Fazio (Colombo anche a quelle di Fabio Volo), con l’ex pm che sembra corrispondere sempre più al Colombo dei capitoli più riflessivi de “Il vizio della memoria”, autobiografia breve scritta nel 1996, testo in cui l’allora magistrato di Mani pulite raccontava le sue estati da ragazzino tra campagna e mare, nella cascina del nonno, estati in cui, per la prima volta, si rese conto del suo “essere mortale”. Da un lato del cortile si era ricchi, dall’altro poveri (alloggi dei contadini), ma si stava tutti insieme, la sera, e la vita era scandita dal ciclo del frumento e del granturco: l’arrivo della trebbiatrice era la festa, il mostro di legno e metallo che segnava l’inizio delle vacanze; la raccolta del granturco richiamava l’autunno: “Quelle sere si respirava la fine. La fine dell’estate, ma non soltanto quella… di lì a poco saremmo tornati a Milano, sarebbero riprese le scuole, avremmo perso gli spazi della natura, la libertà del tempo… e inoltre c’era il buio che avanzava, le prime foschie, l’umidità, il freddo, e quindi il crescere di bisogni inimmaginabili d’estate… il dover accendere la luce già prima di cena e quindi le paure del buio quando si attraversava, intorno alle otto, il cortile, per andare a cercare gli amici, e poi, ancora di più, per tornarcene a casa, per fare quei cinquanta metri nell’oscurità che, nonostante la protezione delle case tutt’attorno… temevamo potessero dare occasione a umani e fantasmi di portarci via, di spaventarci. E poi accenni di melanconia, di una sorta di nostalgia senza sapere di cosa… dev’essere stato in quelle sere che inconsapevoli radici hanno incominciato a infilarsi nel terreno dei perché sulla vita e la morte… In questi ultimi anni ho collegato la morte e il potere, trovandomi di fronte a una forma di rivelazione che successivamente ho saputo aver toccato anche altri prima di me: a perenne riprova che spesso le personali scoperte ci paiono originali soltanto grazie alla nostra ignoranza”. Rifletteva su “come la gente abbia vissuto la vigilia delle tragedie del mondo”, Colombo, e descriveva scene che parevano prese dalla “Cripta dei Cappuccini” di Joseph Roth – impero asburgico alla fine, la morte che distende le sue dita ossute su ignari calici di champagne. Colombo immaginava gente “infilata nei vestiti eleganti, neri o tendenti allo scuro, in raffinati caffè di Vienna appena prima dello scoppio della guerra… a parlare di frivolezze… inconsapevole del proprio destino, incapace di captare i segnali che il futuro le stava inviando. Immagino la superficialità della decadenza, il perdersi a inseguire cose da niente mentre dietro l’angolo stava avanzando l’orrore… E quell’ebbrezza, quella stolida ebbrezza per l’apparente porto franco rappresentato dalla guerra, oblio delle regole…”. Ecco le regole, il futuro pallino del futuro Gherardo Colombo.
Ma oggi è oggi. Oggi Colombo, da Fabio Volo, si mette d’impegno a rendere intellegibile la sua lectio magistralis. Oggi Benedetta Tobagi racconta al microfono di “Caterpillar Am”, su Radio2, in co-conduzione con Filippo Solibello e Marco Ardemagni, nella rubrica “Ho fatto un sogno”, il sogno “tutto vero” della chiamata alle armi: “Vorremmo indicare il tuo nome per il cda Rai, accetti? Chi, io? Squilla il telefono ed è la più incredibile delle proposte e penso che di fronte a una chiamata come questa… per la società civile … io ci sono comunque vada a finire”. Contattata poi da Corriere tv, Benedetta ha ribadito il concetto: “E’ un tale o-no-re… una chiamata del genere mi fa tre-ma-re i polsi… mi ha chiamato Zagrebelsky, mi è stato chiesto se ero disponibile, volevo solo dire che… se si è arrivati a questa soluzione di rottura, e adesso la questione è nelle mani di altri… beh, che o-no-re”.
Si prende sul serio, Benedetta Tobagi, come quando, raccontandosi come un’ex introversa sorpresa dalla sua improvvisa estroversione, si presentò agli ascoltatori di “Io Chiara e l’Oscuro”, programma condotto dalla scrittrice Chiara Gamberale su Radio2, con l’impaccio da newcomer del microfono ma con il senso di sé di chi dice “oniroide” per descrivere lo stato comatoso di chi arriva in redazione alle cinque del mattino. Chiama volentieri “tomi” i libri, Benedetta Tobagi, e dice che al liceo il divertimento dei divertimenti, per una sempre seria come lei, era recitare con imbarazzo i classici greci come gli attori veri visti a Siracusa (con buona pace dei comuni mortali che al liceo si divertivano con altro: amiche, amici, giri immensi per incontrare il più carino della scuola). E alla festa di Repubblica, a Bologna, due settimane fa, Benedetta aveva l’aria professorale da abitante dell’iperuranio. Forse è ancora timidezza. Ma se uno non avesse letto il suo libro la Benedetta di Bologna sembrerebbe un’altra, non la donna che, con sforzo umanissimo, vuole liberare il padre dall’epitaffio “povero Walter” e davanti al mare, o al cimitero, fa quello che fanno i figli di genitori morti troppo presto: pensare anche con rabbia a quello che non si è potuto dire, fare e vivere insieme, e poi sentirsi senza più rabbia per averlo pensato.
Si prende sul serio anche Gherardo Colombo, protagonista di un secondo tempo di carriera quasi incredibile per uno con la sua storia, e invece sono cinque anni che si è dimesso dalla magistratura per andare a dire ai giovani e ai carcerati che le regole, così come sono vissute oggi, per forza li fanno sbuffare, ma che c’è un altro modo di vedere le cose – smettete di essere infantili, dice, smettete di aver bisogno di qualcuno che pensi al posto vostro. E quando dice che non è facendo il male (punizione dietro le sbarre) che si arriva al bene (vivere in armonia con gli altri nelle regole), non sembra neanche quello di Tangentopoli, il signore con i capelli da scienziato pazzo e l’eloquio puntellato di “erre” nobiliari che a suo tempo, scrive Goffredo Buccini sul Corriere, mandava “in visibilio la metà rosa del giustizialismo italiano” (ma intanto le porte delle carceri si aprivano sempre più spesso prima dei processi).
Comunque vada in commissione di Vigilanza, che i due “non competenti” arrivino in Rai oppure no, la strana coppia è già nel pantheon delle icone prêt-à-porter, come Roberto Saviano e Gustavo Zagrebelsky, “società civile” fino a un certo punto (e fino a prova contraria).
Il Foglio sportivo - in corpore sano