Socialismo realista
Nel Partito socialista europeo (Pse) si lavora da settimane alla redazione di una dichiarazione comune dei progressisti sulle politiche anticrisi. L’ultima bozza del testo, che il Foglio ha potuto leggere, contiene sì un piano per rilanciare domanda aggregata e investimenti nell’Ue, ma dai toni ben poco anti Merkel (come invece qualcuno si poteva aspettare). La dichiarazione, intitolata “Un patto per la crescita e i posti di lavoro in Europa”, dovrebbe essere presentata in concomitanza con il Consiglio Ue del 28 e 29 giugno prossimi.
Nel Partito socialista europeo (Pse) si lavora da settimane alla redazione di una dichiarazione comune dei progressisti sulle politiche anticrisi. L’ultima bozza del testo, che il Foglio ha potuto leggere, contiene sì un piano per rilanciare domanda aggregata e investimenti nell’Ue, ma dai toni ben poco anti Merkel (come invece qualcuno si poteva aspettare). La dichiarazione, intitolata “Un patto per la crescita e i posti di lavoro in Europa”, dovrebbe essere presentata in concomitanza con il Consiglio Ue del 28 e 29 giugno prossimi. A oggi, tuttavia, il Pse risulta spaccato in due lungo l’asse nord-sud del Continente; e se a parole i partiti socialisti dell’Europa meridionale sono desiderosi di procedere al più presto verso la mutualizzazione del debito, un ruolo più incisivo per il Fondo di stabilizzazione (Esm) e la Banca centrale europea (Bce), questi stessi partiti stanno scendendo a patto con i movimenti socialdemocratici dell’Europa settentrionale, attenti alle ragioni del rigore fiscale e della sovranità nazionale.
In particolare Spd tedesca, Spö austriaca, Sdp finlandese e Labour britannico hanno presentato una serie di emendamenti alla bozza del 13 giugno scorso, nel tentativo di annacquarne i contenuti. A oggi il manifesto non presenta quindi alcuna esplicita raccomandazione ad adottare gli Eurobond, ma fa propria la versione più mite del cosiddetto “Fondo di riscatto”, in base al quale si metterebbe in comune soltanto la quota eccedente il 60 per cento del pil nazionale e solo per un periodo di tempo limitato.
La cancelliera tedesca, Angela Merkel, che ieri è tornata a dichiarare la sua opposizione agli Eurobond, apprezzerà. In secondo luogo, il riferimento alla correzione degli squilibri macroeconomici tra le diverse aree dell’Ue, presente nella precedente bozza del 5 giugno, è stato completamente stralciato. Per quanto riguarda gli interventi di salvataggio, infine, l’ultima versione del testo conserva l’obiettivo di concedere una licenza bancaria all’Esm e di consentire alla Bce di continuare ad acquistare bond sul mercato secondario. Per ora, almeno. Sul punto, infatti, l’Spd tedesca vorrebbe smorzare ulteriormente i toni, trasformando la necessità di dotare il fondo di una licenza in una mera possibilità. I laburisti si oppongono a ogni tentativo di introdurre un’unica tassa europea per imprese e capitali e spingono per eliminare tale riferimento dal testo finale. I finlandesi contrastano, invece, l’idea che i programmi europei per facilitare le assunzioni divengano automaticamente vincolanti e propendono invece per lasciare margini di manovra agli stati membri. Gli austriaci dell’Spö, infine, vorrebbero eliminare ogni riferimento allo stanziamento di 10 miliardi di euro per la lotta alla disoccupazione giovanile. Ad oggi, quindi, tra i socialisti europei si registra un accordo sostanziale soltanto sull’introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie, alla quale strizzano l’occhio anche molti conservatori; sull’aumento di capitale della Banca europea degli investimenti (Bei) e sul disimpegno immediato dei fondi strutturali inutilizzati, proposte in ordine alle quali la Merkel si è già da tempo detta d’accordo.
Il Pse pare insomma pronto ad ammainare bandiera contro la tanto odiata austerity di impronta teutonica per limitarsi a “dare battaglia” su temi intorno ai quali si è già registrato un consenso tra i popolari. Il documento costituisce una battuta d’arresto anche per il Pd italiano, il cui programma economico varato da Stefano Fassina contiene una condanna esplicita delle politiche di austerità. Il Partito democratico, pur non facendo parte del Pse, nel 2010 ha ottenuto che Massimo D’Alema andasse alla testa della Fondazione europea per gli studi progressisti, istituzione affiliata al Pse, e che nel marzo scorso sottopose alla firma di François Hollande, Pier Luigi Bersani e Sigmar Gabriel un documento comune sull’Europa che sanciva un netto rifiuto delle politiche di consolidamento fiscale volute dalla cancelliera.
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