Confusione e dissimulazione

Il Cav. fa il moderato ma si prepara al voto, Alfano fa il duro con Monti

Salvatore Merlo

“Berlusconi ha fatto esattamente il contrario di quello che doveva fare, ed eccoci qua a parlare di alleanza tra riformisti e moderati con il Pd”. Pier Ferdinando Casini sorride e senza fatalismo perché sente che le cose gli vanno bene e non era affatto detto; nelle effusioni con Pier Luigi Bersani il capo dell’Udc è tornato a fare manovra (“che è essenza della navigazione”) e ha ritrovato, sembra, anche un suo orizzonte, “che è la prosecuzione del montismo con i mezzi della politica” dice Ferdinando Adornato mentre assieme a Roberto Rao (“faccio fatica a decifrare la linea del Pdl”) scorta Casini in direzione dello studio del presidente della Camera.

    “Berlusconi ha fatto esattamente il contrario di quello che doveva fare, ed eccoci qua a parlare di alleanza tra riformisti e moderati con il Pd”. Pier Ferdinando Casini sorride e senza fatalismo perché sente che le cose gli vanno bene e non era affatto detto; nelle effusioni con Pier Luigi Bersani il capo dell’Udc è tornato a fare manovra (“che è essenza della navigazione”) e ha ritrovato, sembra, anche un suo orizzonte, “che è la prosecuzione del montismo con i mezzi della politica” dice Ferdinando Adornato mentre assieme a Roberto Rao (“faccio fatica a decifrare la linea del Pdl”) scorta Casini in direzione dello studio del presidente della Camera. Sta per esserci una riunione del Terzo polo, oggetto: le alleanze politiche alle prossime elezioni. Gianfranco Fini, che ormai si accompagna solo con Benedetto Della Vedova (il capogruppo di Fli con un piede già nel Partito della nazione alleato del centrosinistra), è lì che aspetta Casini; mentre al telefono temporeggia con Italo Bocchino, il suo colonnello distante e inquieto che di un’alleanza con il Pd non è affatto persuaso e che al contrario tiene ancora aperta una porticina sul centrodestra (“è spalancata per Fini”, dice lui, malgrado le malelingue sostengano invece che “Bocchino la tiene aperta soprattutto per Bocchino”).

    “Berlusconi gioca ad abbattere Monti e a sfasciare l’euro. Oggi è moderato, ieri era movimentista, domani chissà. Non è il nostro sport”, dice sempre Casini nel giorno in cui il Cavaliere incontra il professor Monti, dà disposizione perché si voti la fiducia al governo (l’ultima incondizionata), riunisce i gruppi del suo Pdl spiegando che in Europa “c’è assoluta indeterminatezza” e poi dice pure – ironico? – “sono pronto a fare il ministro dell’Economia in un governo guidato da Alfano”, cioè un governo presieduto dal segretario del partito di cui lui è presidente e fondatore. Nel marasma della Seconda Repubblica che volge al declino tutto sembra evanescente come un motto di spirito, un’emissione gassosa. Eppure agli uomini del Cavaliere, e soprattutto ad Angelino Alfano, non sfugge il paradosso di un Pdl che ha mollato il governo del paese per favorire l’ascesa di Monti a Palazzo Chigi e che poi non è riuscito a investire nell’operazione, ma che al contrario ha cominciato a impegnarsi per rompere l’equilibrio creato nel novembre scorso. La ricostruzione del centrodestra, e l’ipotesi di un’alleanza con Casini, “Tutti per l’Italia”, significavano questo: era il tentativo di riempire di senso politico la scelta di aver abbandonato il governo. “E’ ancora una prospettiva possibile”, ripete l’ex ministro degli Esteri Franco Frattini, mentre il Cav. irride: “Se va con la sinistra, Casini si porterà dietro solo il dieci per cento dei suoi voti”. Ma la sensazione che Casini, ora che negozia con Bersani, sia tornato a essere un possibile polo di attrazione anche per il personale politico più moderato del centrodestra è forte: nell’Udc lo teorizzano apertamente, Casini per primo. “La prosecuzione di Monti con i mezzi della politica”. Ma chissà.

    L’inversione dei ruoli
    Il partito berlusconiano appare incerto e sfilacciato, fino all’inversione dei ruoli, alla massima dissimulazione che ieri ha portato il Cavaliere – vero teorico della rottura – ad assumere una posizione vagamente responsabile di fronte a Monti; mentre Alfano, tessitore cauto e diplomatico, elemento dell’ABC (con Bersani e Casini), ieri ha indossato la maschera dura di quello che ammonisce Monti e i suoi ministri: “Da oggi in poi c’è una piattaforma politica vincolante per il governo. Al di fuori di questi punti noi non ci staremo”. Le voci del Pdl sono un coro stonato, una strana polifonia. “Questa storia dei riformisti e dei moderati, di Casini e di Bersani, durerà tre giorni, ci scommetto”, dice Fabrizio Cicchitto, il capogruppo del Pdl alla Camera. “Ormai la politica è così, è tutta una boutade continua. Il progetto politico più organico dura una settimana, per i prossimi sei giorni voi giornalisti avrete il compromesso storico, poi boh… ci sarà un’altra cosa inafferrabile”. Nulla è detto, nessun patto è chiuso, niente di serio, dice Cicchitto. Forse è così, ma forse tra le pieghe delle parole di Casini (“Berlusconi ha fatto tutto il contrario di quello che doveva fare”), sforzandosi molto, e con la malizia, si può anche riconoscere un invito al centrodestra, una preghiera a “ripensarci”, una spinta al coraggio non tanto rivolta al Cavaliere (che deve farsi da parte), ma a quella corte berlusconiana che nelle ultime settimane ha dato qualche inedito segnale di ribellismo: l’ipotesi che Berlusconi fosse ricandidato premier nel Pdl ha sollevato più obiezioni della riforma Fornero sul mercato del lavoro.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.