Anche Tank ha una mamma
E’ tutta colpa di Anne-Marie Slaughter. Perché noi la Slaughter la conosciamo, la seguiamo, l’abbiamo intervistata, ci aveva spiegato cos’è che non andava giù all’America del nostro caos europeo e noi solerti avevamo riferito ai lettori, insomma, abbiamo un’opinione sulla Slaughter. Poi lei scrive un articolo di una lunghezza fuori dal normale che diventa copertina dell’Atlantic e non si fa che parlare della Slaughter, ma non della Slaughter esperta di temi internazionali, ma della Slaughter mamma.
E’ tutta colpa di Anne-Marie Slaughter. Perché noi la Slaughter la conosciamo, la seguiamo, l’abbiamo intervistata, ci aveva spiegato cos’è che non andava giù all’America del nostro caos europeo e noi solerti avevamo riferito ai lettori, insomma, abbiamo un’opinione sulla Slaughter. Poi lei scrive un articolo di una lunghezza fuori dal normale che diventa copertina dell’Atlantic e non si fa che parlare della Slaughter, ma non della Slaughter esperta di temi internazionali, ma della Slaughter mamma. Lei sostiene che lo dice a tutti di essere mamma di due figli, ma a noi non l’aveva detto e noi non lo sapevamo. Quindi quando lei inizia il suo saggio “Why women still can’t have it all” raccontando di una riunione all’Onu con tutti i capi di stato del mondo e lei che stringe mani e sorride ma non fa che pensare a suo figlio adolescente che non studia più, non ubbidisce più, non le parla più – ecco in quel momento ci siamo ricordati che anche Tank ha una mamma, che capire e interpretare il mondo è una roba meravigliosa, ma pure se qualcuno riuscisse a spiegarci la differenza tra la quinta e la sesta malattia non sarebbe male, giusto per calibrare l’ossessione per gli antibiotici.
Slaughter sostiene che non si può avere tutto, ma che si deve comunque tentare di avere tutto, cioè mette in scena il grande dramma delle mamme che lavorano, che sono fiere se decidono di stare con i figli ma poi non perdono occasione di rinfacciare anche al portinaio che loro hanno sacrificato tutto per la famiglia. E mentre intervallavamo le nostre discussioni sulla straordinaria abilità politica dei Fratelli musulmani (una donna vicepresidente!) con le ben più animate diatribe sulle ragioni della Slaughter, Nora Ephron è morta. Ora, gli è che oltre a essere stata la moglie cornuta di Carl Bernstein, Nora sia stata anche una mamma. Una mamma che sosteneva che si può avere tutto. In questo discorso alle studentesse di Wellesley, Nora dice tutto quello che una mamma, una figlia, una donna vuole sentirsi dire, compreso il fatto che il Wonderbra non può aver fatto bene alla causa femminile, “nothing that hurts that much is a step forward for women”. Dice che le donne possono avere tutto e che avranno tutto, e che devono stare tranquille perché nulla è come sembra e nulla è immobile: “Maybe young women don't wonder whether they can have it all any longer, but in case any of you are wondering, of course you can have it all. What are you going to do? Everything, is my guess. It will be a little messy, but embrace the mess. It will be complicated, but rejoice in the complications. It will not be anything like what you think it will be like, but surprises are good for you. And don't be frightened: you can always change your mind. I know: I've had four careers and three husbands. And this is something else I want to tell you, one of the hundreds of things I didn't know when I was sitting here so many years ago: you are not going to be you, fixed and immutable you, forever”.
Non sappiamo se Nora Ephron fosse amica della Slaughter, non sappiamo se avessero chiacchierato della vita e della carriera. Sappiamo che la teoria della Ephron dovrebbe essere incisa nelle borsette di tutte le mamme, in modo da saltare all’occhio ogni volta che le aprono, cioè sempre. La teoria dice: andate via serene mamme assediate dai sensi di colpa, “kids only remember two things, when you weren't there and when they threw up.” (frase twittata ieri da Campbell Brown, che si definisce “mom; journalist”, ma è molto, molto di più).
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