Fratelli in cravatta

Rassicurare, rassicurare, rassicurare. Fin dove si spingerà l'islamico Morsi

Paola Peduzzi

Il presidente egiziano Mohammed Morsi dovrebbe giurare sabato, ma non ha ancora ricevuto la conferma da parte dei militari, che hanno fatto di tutto per ridimensionare il ruolo del presidente e ora cavillano sulle formalità. Si giura davanti al Parlamento (dissolto) o davanti alla Corte suprema? Chissà, “non vogliamo violare la legge”, dicono tutti senza sapere a che legge fare riferimento.

    Il presidente egiziano Mohammed Morsi dovrebbe giurare sabato, ma non ha ancora ricevuto la conferma da parte dei militari, che hanno fatto di tutto per ridimensionare il ruolo del presidente e ora cavillano sulle formalità. Si giura davanti al Parlamento (dissolto) o davanti alla Corte suprema? Chissà, “non vogliamo violare la legge”, dicono tutti senza sapere a che legge fare riferimento. E’ comunque la prima volta da decenni che i militari devono cedere il potere a qualcuno che non abbia la divisa, e l’agitazione è evidente: non è un caso che un signore del calibro di Omar Suleiman, burattinaio dell’ex regime di Mubarak e degli eventi post piazza Tahrir, sia scappato a Dubai, assieme all’ex candidato presidenziale Ahmed Shafik. Forse è questo il segnale più forte del fatto che la transizione sta davvero iniziando, per quanto accidentata e governata da un costrutto istituzionale deciso dai generali in opposizione alla Fratellanza musulmana.

    L’islamico Morsi ha indossato i panni da statista e con piglio da “team of rivals” lincolniano annuncia che nominerà un vicepresidente copto e una vicepresidente donna – un’ouverture storica e senza precedenti nella storia mediorientale. Sempre seguendo questo raffinato piano di rassicurazione, Morsi ha avviato le consultazioni di governo: tra i candidati premier c’è Mohammed ElBaradei, a noi noto per la sua controversa direzione dell’Agenzia atomica dell’Onu, per il suo Nobel per la Pace e per aver vissuto più tempo nella sua splendida casa di Vienna che al Cairo. Per l’Egitto, ElBaradei è quasi un estraneo, ma nell’ottica pragmatica dei Fratelli musulmani un premier come lui sarebbe una garanzia. ElBaradei, che a differenza della Fratellanza sa maneggiare il potere, detta le condizioni: la prima è quella di un governo tecnico (tecnico is the new black), ai Fratelli musulmani sono riservati soltanto due ministeri e ai salafiti uno. E per meritarsi la standing ovation internazionale, tra le priorità ci sarebbe lo slogan rivoluzionario: “Pane, libertà e giustizia sociale”.

    Troppo bello per essere vero? Può essere. Si sa che la dissimulazione è uno dei tratti caratteristici della religione islamica e si sa che in questo momento l’obiettivo principale dei Fratelli musulmani è dimostrare che sono a loro agio con la cravatta e che conoscono le regole della politica e della diplomazia. Se dicono ai giornali che hanno studiato il modello economico di Singapore, non fingono, e i mercati per ora hanno deciso di fidarsi. Così come molti governi della comunità internazionale: per altri motivi, ci basta che questo medio oriente rivoluzionario non dreni altre risorse alle nostre casse vuote. Le polemiche ricadono soprattutto su Washington, che tiene su, con i suoi corposi sussidi, il sistema-paese d’Egitto. Come è noto, non esiste una dottrina Obama: il presidente americano non stava con i militari né con la Fratellanza, per quanto tutti sono convinti che alla fine tifasse per quest’ultima (convinzione smentita ufficialmente). Laddove non arriva il tatticismo obamiano, c’è Hillary Clinton, che alla mancanza di una visione sopperisce con le connection. Così come c’era un rapporto privilegiato con Mubarak che ha impedito all’America di comprendere la crisi egiziana ai suoi esordi, oggi c’è un filo rosso che lega la Clinton al presidente Morsi. E’ Huma Abedin, la splendida consigliera di Hillary con marito fedifrago, molto introdotta – con legami non cristallini – nel mondo della Fratellanza. Nel suo giro di donne moderne dell’islam c’è la signora Morsi, Najla Ali Mahmoud che, avendo vissuto buona parte della sua vita in America e avendo dato la cittadinanza americana ai suoi due figli, ha dimestichezza con l’occidente. Non che ci sia da fidarsi delle first lady occidentalizzate – basta vedere la primadonna siriana che compra Louboutine e si scoccia perché non può più girare il mondo e il marito è assente, sta massacrando il suo popolo – ma che soltanto si parli di una first lady nell’Egitto islamico è già di per sé una prima assoluta.

    • Paola Peduzzi
    • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi