Bolle e balle

Stefano Cingolani

Sarà perché incombe la crisi dell’euro, sarà per Angela Merkel e il vertice dell’ultima spiaggia a Bruxelles, ma questa volta il florilegio sull’eterna sfida Italia-Germania sfiora il sublime. Del resto, non manca nemmeno Goethe l’Olimpico. Insieme con Verdi vs Wagner, le banalità di Moravia sui tedeschi organizzati e gli italiani pasticcioni, l’infanzia di Gramellini, l’immancabile ricordo di Strehler, Inge Schöntal vedova Feltrinelli e Antje Dippel, mamma di Montolivo.

    Sarà perché incombe la crisi dell’euro, sarà per Angela Merkel e il vertice dell’ultima spiaggia a Bruxelles, ma questa volta il florilegio sull’eterna sfida Italia-Germania sfiora il sublime. Del resto, non manca nemmeno Goethe l’Olimpico. Insieme con Verdi vs Wagner, le banalità di Moravia sui tedeschi organizzati e gli italiani pasticcioni, l’infanzia di Gramellini, l’immancabile ricordo di Strehler, Inge Schöntal vedova Feltrinelli e Antje Dippel, mamma di Montolivo.

    Più si scrive e più l’immagine s’allontana dalla realtà, perché Italia e Germania non sono quelle di prima. Prima della crisi, anzi in fondo prima dell’euro. Nemmeno nel calcio. Basta guardare le partite, la composizione delle squadre e l’evoluzione del loro modo di giocare negli ultimi dieci anni. Chiamatelo mondo nuovo, chiamatela globalizzazione. La palla circola e con essa le idee, i calciatori, gli allenatori. Fabio Capello ha dato all’Inghilterra una difesa rocciosa e un rapido contropiede, non sulle fasce, con le mitiche ali e gli spettacolari cross di una volta, ma nei tre quarti.
    Insomma, si direbbe all’italiana. Sono gli Azzurri, adesso, a correre avanti e indietro lungo i bordi entrando lateralmente in area. In altre parole, all’inglese.

    Quanto ai panzer tedeschi, come amavano definirli i mitici telecronisti alla Bruno Pizzul, oggi accarezzano la palla e si chiamano Mario Gomez, Boateng, Ozil, Podolski, Khedira. La squadra rispecchia una realtà multietnica, è stato ripetuto più volte. Ma ormai ciò vale pure per l’Italia: in che modo Mario Balotelli con le sue movenze, il suo modo di vivere la gara, assomiglia al tipico calciatore italiano?

    La vera novità è che nessuno dei due paesi si rispecchia nel paradigma dominante del quale noi, invece, restiamo vittime. Colpa della narrazione stravolta nella quale indulge il circo mediatico. Di una politica che appare irrimediabilmente provinciale. Di una finanza che guarda tutti dall’alto in basso e ne approfitta, tanto se vince la Germania si specula sull’Italia e viceversa.

    Herr Müller al quale Mario Monti ha chiesto di stare tranquillo in un’intervista ad alcuni quotidiani europei esiste ancora.La Stampa lo ha addirittura intervistato. Ma ha risposto come né Monti né l’inviato del giornale avrebbero immaginato: dobbiamo aiutare gli altri, tornare al marco sarebbe un disastro, ecc.  L’economista Marco Fortis in un recente incontro alla Camera di commercio italo-tedesca ha lasciato tutti a bocca aperta mostrando quanto sono simili le economie dei due paesi.

    “Noi mangiamo cibi italiani, voi guidate macchine tedesche”, dice il regista Wim Wenders che fa il tifo per la sua squadra e stravede per Andrea Pirlo. Guai se differenze e identità non esistessero, è ovvio. Ma tutti abbiamo perso la vecchia sovranità e tutti siamo cambiati. Anche per questo è difficile trovare l’accordo nella Ue.
     I capi pretendono di difendere quel che non c’è più. Vedono l’euro come se fosse il marco, il franco o (diononvoglia) la lira. Non hanno capito che la moneta unica può sopravvivere solo se diventa simile al dollaro. La politica economica che turba i sonni della Kanzlerin solo in apparenza viene decisa a Berlino, Parigi o Bruxelles. In realtà, Wall Street o Shanghai sono capaci di rimescolare in ogni momento le carte in tavola.
    Se non si raggiunge l’accordo al Consiglio europeo, Italia e Germania si troveranno nella stessa barca, magari una ai remi e l’altra al timone, ma entrambe nella tempesta.
    E non sarà la Bundesbank a salvare i nostri risparmi, bensì la Federal Reserve.