A Hong Kong un podestà troppo comunista
A Hong Kong c’è nostalgia della corona britannica. Nove anni dopo gli scontri del 1 luglio 2003 contro le leggi anti-sovversione (prontamente ritirate dalle autorità dopo che in piazza scesero 500 mila persone), decine di migliaia di manifestanti hanno accolto il presidente cinese Hu Jintao arrivato nell’ex colonia di Londra per partecipare alla cerimonia di investitura del nuovo chief executive del territorio semi-autonomo, Leung Chun-Ying.
A Hong Kong c’è nostalgia della corona britannica. Nove anni dopo gli scontri del 1 luglio 2003 contro le leggi anti-sovversione (prontamente ritirate dalle autorità dopo che in piazza scesero 500 mila persone), decine di migliaia di manifestanti hanno accolto il presidente cinese Hu Jintao arrivato nell’ex colonia di Londra per partecipare alla cerimonia di investitura del nuovo chief executive del territorio semi-autonomo, Leung Chun-Ying. “Temiamo per la nostra libertà e per i diritti civili”, hanno scandito in coro i dimostranti, preoccupati da un leader che non ha mai nascosto le simpatie per il Partito comunista cinese e per la repressione dei moti di protesta. Non a caso, mentre Leung giurava in mandarino (e non in cantonese, lingua di Hong Kong) quasi 10 mila poliziotti pattugliavano le strade per prevenire ogni possibile incidente.
Ogni anno l’anniversario del ritorno alla Cina diventa l’occasione per chiedere maggiori libertà: è forte la preoccupazione che l’influenza di Pechino si faccia sentire sempre di più nell’ex protettorato britannico. “Non c’è dubbio che il nuovo chief executive sia estremamente conservatore”, dice alla Reuters l’analista politico Dixon Sing. A Hong Kong i cittadini non possono eleggere i loro rappresentanti governativi: il potere è infatti nelle mani di una speciale commissione elettorale formata da 1200 rappresentanti della burocrazia e delle lobby, in maggioranza leali a Pechino. La gente scesa in strada con il ritratto della regina Elisabetta II in mano sospetta che Luang sia l’ennesimo “lupo vestito da agnello” e che sia pronto a usare le maniere forti per sedare ogni protesta.
Hong Kong non è più l’isola felice di un tempo, nonostante un’inchiesta della Cnn l’abbia messa in cima all’elenco dei paesi dove si vive meglio: era dal 1971 che la differenza tra ricchi e poveri non era così alta. I prezzi esorbitanti delle case e dei generi alimentari, poi, hanno fatto crescere il malcontento verso le autorità cinesi: solo il 32 per cento della popolazione, oggi, non rimpiange l’addio a Londra.
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