Felici e perdenti

Così i partiti affogano nel pozzo della Rai pensando di stare a galla

Salvatore Merlo

La Rai, dopo la vicenda esplosa con il rimbrotto puntuto di Gianfranco Fini a Renato Schifani, è diventata un pozzo dal quale i partiti ormai tirano su un’acqua intorbidita dalle loro simmetriche debolezze: del Terzo polo sfarinato; di Berlusconi e del suo Pdl in guerra per bande; del Pd che si rifugia nella società civile per agirare il vento dell’antipolitica; di Fini, precipitato nel sottoscala del Palazzo. “Vederlo ridotto così, a tentare una misera manovra di micropotere per un consigliere di amministrazione nella televisione di stato mi fa male”, dice Ignazio La Russa del suo vecchio generale, il capo di An.

    La Rai, dopo la vicenda esplosa con il rimbrotto puntuto di Gianfranco Fini a Renato Schifani, è diventata un pozzo dal quale i partiti ormai tirano su un’acqua intorbidita dalle loro simmetriche debolezze: del Terzo polo sfarinato; di Berlusconi e del suo Pdl in guerra per bande; del Pd che si rifugia nella società civile per agirare il vento dell’antipolitica; di Fini, precipitato nel sottoscala del Palazzo. “Vederlo ridotto così, a tentare una misera manovra di micropotere per un consigliere di amministrazione nella televisione di stato mi fa male”, dice Ignazio La Russa del suo vecchio generale, il capo di An. E in effetti quella della Rai è una storia di micropotere, di confusione e lottizzazione, che però ha coinvolto i leader dei partiti (tutti), le più alte cariche istituzionali (Quirinale escluso), e per un giorno intero, mentre la Borsa calava e lo spread aumentava, ha assorbito le energie di un Parlamento ammanettato su tutto il resto, bloccato nella sua azione politica: niente riforme costituzionali, niente legge anticorruzione e niente (così pare) riforma della legge elettorale.

    Alla fine, ieri, le nomine Rai si sono fatte, ma in un quadro allarmante per lo stato di salute dei partiti. “Quando si parla di informazione, dal Pdl viene fuori il peggio”, dice Roberto Rao, il plenipotenziario di Pier Ferdinando Casini che allude alle pressioni che, a suo avviso, Berlusconi avrebbe esercitato su Schifani perché intervenisse con urgenza a sostituire il fino a ieri sconosciuto senatore Paolo Amato in commissione di Vigilanza. Ma Rao si riferisce forse anche alla guerra di veleni che si è scatenata nel Pdl: la girandola di telefonate sguaiate, le propalazioni, le anonime accuse di tradimento scagliate e riportate dai quotidiani contro la deputata Deborah Bergamini (“voleva favorire la candidatura del suo fidanzato”), il coinvolgimento di quel Beppe Pisanu che già un anno fa Denis Verdini definì “rancorosa anima nera” in un suo report al Cavaliere. “Contro di noi si è tentata una combine, un golpettino, un gioco delle tre carte”, dice Maurizio Gasparri, e le tre carte sono Fini, Pisanu e il senatore Amato, quello che votava la candidata di Fini contro il suo stesso partito, contro il Pdl; l’uomo che Schifani ha sostituito destando l’ira pubblica e allusiva di Fini (“perché tanta urgenza?”).

    Il tradimento di Bocchino
    Ma nessuno ne esce gran che bene. “Fini poteva essere il leader del centrodestra, il candidato alla presidenza del Consiglio”, dice La Russa, “invece si è ridotto a fare manovrucce di corridoio. Mercoledì a Montecitorio tutti noi abbiamo visto Flavia Perina, la sua deputata fidatissima, che si avvicinava ai banchi dell’Idv, poi parlottava con Giovanna Melandri e infine anche con i Radicali che però non ci sono stati a questo tentativo grottesco di rovesciare gli equilibri. Si erano messi d’accordo. Schifani è intervenuto correttamente, non solo ha sventato questa specie di putsch risibile, ma ha pure sanato un vulnus interno alla commissione. La cosa che trovo pazzesca e che poi Fini prenda carta e penna per fare una ramanzina a Schifani, ma da che pulpito?”. E ieri la polemica non si è esaurita, in Aula Schifani ha rivendicato la correttezza della sua decisione, ma è stato investito da Pancho Pardi dell’Idv, e da urla pecorecce. Anche Fini è tornato sul tema, e con più forza persino: “Schifani è come quell’arbitro che fa tutto per consegnare la vittoria alla sua squadra del cuore”. Giorgio Napolitano, dicono, non è affatto contento della lite tra la seconda e la terza carica dello stato e qualcuno avanza l’ipotesi che Fini si prepari a dimettersi dalla presidenza della Camera e per questo attacca, come mai era successo prima, il suo omologo del Senato. “E’ ipocrita”, dice La Russa. “Fini ha fatto parte di questo tentativo di combine. Forse ne è stato il regista. Provo una tristezza infinita a vederlo ridotto così. Briga per ottenere un posto nel cda Rai e per giunta in comproprietà con Di Pietro. Roba piccola. E’ alla mercè di Casini. Per essere eletto se lo deve accollare qualcuno, deve sperare nella generosità altrui. Ha sbagliato tutto. Persino gli amici. Italo Bocchino ora dice in giro che Fini ‘non ha le palle’”.

    Per la cronaca, nel nuovo cda Rai, il Pdl ha confermato Antonio Verro, berlusconiano incoercibile, e recuperato Antonio Pilati (molto collaborò a scrivere la riforma Gasparri del sistema radiotelevisivo), l’unica vera novità è Luisa Todini. Il Pd, forse con maggiore fantasia, ha eletto i candidati della società civile Gherardo Colombo e Benedetta Tobagi. “Ma adesso siamo più forti o più deboli di prima?”, pare si sia chiesto il tesoriere diessino Ugo Sposetti, da tempo in lutto per la morte della politica.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.