Il Parlamento suq

In Libia si decide chi metterà la firma sui contratti del greggio

Carlo Panella

“La vittoria degli islamisti in Libia? Magari! Il pericolo vero è che trovino legittimità formale non solo dei ‘signori della guerra’, ma anche dei tagliagole. Quanto ai tanto attesi laici… non sono affatto tali, ma sono soltanto gerarchi e imprenditori che hanno avuto il buon senso di lasciare per tempo Gheddafi”: l’analisi di  un dirigente di una grande società petrolifera non lascia spazio a  molte speranze circa la possibilità che le elezioni di oggi in Libia segnino l’inizio di un processo democratico.

    “La vittoria degli islamisti in Libia? Magari! Il pericolo vero è che trovino legittimità formale non solo dei ‘signori della guerra’, ma anche dei tagliagole. Quanto ai tanto attesi laici… non sono affatto tali, ma sono soltanto gerarchi e imprenditori che hanno avuto il buon senso di lasciare per tempo Gheddafi”: l’analisi di  un dirigente di una grande società petrolifera non lascia spazio a  molte speranze circa la possibilità che le elezioni di oggi in Libia segnino l’inizio di un processo democratico. “Non c’è molto spazio per un nation building quando la dinamica della guerra di parte libica è stata segnata da un processo opposto: la disgregazione della nazione in una serie di micro-stati, tuttora occupati e controllati da milizie autonome, in un paese in cui non esiste parvenza di Forze armate, in cui questo vuoto non è coperto da eserciti stranieri (come fu in Iraq e Afghanistan), in cui non esiste la polizia, non funzionano i tribunali e nelle cui carceri si pratica la tortura, moltiplicando per cento il modello di Abu Ghraib”.

    In realtà, queste elezioni non decideranno chi governerà la Libia, ma solo chi avrà “potere di firma” sui contratti petroliferi, e sulla richiesta all’Onu di un corpo di spedizione  di 30-40 mila militari, che controlli campi petroliferi, pipeline, raffinerie e porti. Per il resto, le spinte centrifughe di un paese che non è mai stato tale (la Libia fu inventata da Giolitti nel 1913, unendo tre wilayat ottomani indipendenti:  Tripolitania, Cirenaica e Fezzan), continueranno a svilupparsi. Una tendenza scissionistica che ha prodotto già 4-500 vittime non in attentati terroristici ma in combattimenti sul terreno tra “signori della guerra” rivali, con epicentro a Bengasi.
    L’assalto armato all’ufficio elettorale centrale della Cirenaica di pochi giorni fa è stato il simbolo non solo di elezioni-farsa, ma anche di una violenza centripeta inarrestabile che cresce anche nel Fezzan. A sud, infatti si infittiscono le infiltrazioni dei tuareg – ossatura delle forze speciali di Gheddafi – che si sono impadroniti dell’Azawad in Mali e che ora puntano al controllo dei grandi campi petroliferi libici del Fezzan.

    Le liste petrolifere
    I 142 partiti in lizza con 1.500 candidati e 2.500 candidati autonomi per 200 seggi, fanno capo a tre componenti che lavorano a determinare con queste elezioni una nuova mappa di relazioni del tessuto tribale libico e sono tutte di marca “petrolifera”, quando non secessionistica. La prima fa capo all’emiro del Qatar Hamid al Thani, che attraverso lo sheikh Ali Sallabi e il comandante (ora passato alla politica) Hakim Belhadj, ex qaidista e poi comandante militare di Tripoli, forte del peso militare e politico determinante svolto durante la guerra, egemonizza gli islamisti libici, non senza attriti con i Fratelli musulmani cirenaici che sentono l’influsso della Fratellanza egiziana. Dunque, Fratelli musulmani e islamisti divisi dalla fedeltà petrolifera diversificata tra Qatar ed Egitto e dalla forte caratura secessionistica che anima gli islamisti cirenaici.
    La seconda componente che trama per organizzare nuovi equilibri tra le tribù libiche è carsica, solo apparentemente è laica e  fa capo a due network retti dall’estero da due potenti gerarchi di Gheddafi: il suo ex braccio destro Abdulsalem Jallud e il suo ex capo dei servizi Moussa Koussa. Il primo è il leader politico della più importante confederazione tribale libica, la Magharia, era in rotta da un ventennio col rais ed è fuggito a Londra poche settimane prima della fine della guerra, salutato da Franco Frattini come “possibile elemento chiave per la costruzione di una nuova Libia”.

    Ottenuta la piena immunità dagli inglesi per i suoi molti e certi crimini, Jallud tesse da mesi una fitta rete di contatti politici in Libia e in Europa ed è probabilmente una figura chiave per la definizione di nuovi equilibri nelle concessioni petrolifere libiche, determinati dalla disponibilità delle concessioni alla Lukoil e alle altre società russe, ormai emarginate (da qui l’irritazione di Vladimir Putin sul dossier libico, con conseguenze anche su quello siriano). Il secondo, riparato in Arabia Saudita, ha eccellenti rapporti con gli italiani dell’Eni, i sauditi e con… chi lo paga di più. La terza componente, infine, è composta dai “signori della guerra” e dai capi tribù locali e avrà forse un eccellente risultato, soprattutto tra gli indipendenti, e farà sentire il suo peso sul governo in una dinamica parlamentare che avrà molto del suq e ben poco, se non nulla, della democrazia rappresentativa.