Lo shopping del Qatar continua, ora tocca a Valentino (forse)
Ieri mattina, in un palazzo alle spalle di piazza San Babila, si è radunata un’illustre schiera di investitori liquidi, in grado di assorbire in un colpo solo il peso della spending review di Mario Monti. C’era lo sceicco saudita Abdulgafar Muhammad, assieme al rappresentante per il sud Europa del colosso russo Vtb, poi l’avvocato cinese Jubin, protagonista della trattativa d’affari che ha permesso la creazione di una joint venture tra il colosso Internet Baidu e una società quotata alla Borsa di Milano, la ticinese Vrway, forte di una tecnologia adottata da Apple che ne ha fatto una delle App più scaricate al mondo.
Ieri mattina, in un palazzo alle spalle di piazza San Babila, si è radunata un’illustre schiera di investitori liquidi, in grado di assorbire in un colpo solo il peso della spending review di Mario Monti. C’era lo sceicco saudita Abdulgafar Muhammad, assieme al rappresentante per il sud Europa del colosso russo Vtb, poi l’avvocato cinese Jubin, protagonista della trattativa d’affari che ha permesso la creazione di una joint venture tra il colosso Internet Baidu e una società quotata alla Borsa di Milano, la ticinese Vrway, forte di una tecnologia adottata da Apple che ne ha fatto una delle App più scaricate al mondo. Già, la ricca compagnia di giro festeggiava il prossimo sbarco in Cina e, presto, nel medio oriente della matricola dell’Aim, il mercato delle piccole imprese di Piazza Affari, di una società nata per raccontare le griffe del lusso nostrano che fanno rotta verso le boutique di Shanghai o Jeddah. Un piccolo ma non trascurabile segno dei tempi in mezzo a partite assai più rilevanti ma con un solo denominatore comune: ai fondi sovrani e alle non poche finanziarie “vicine” ai signori di Riad, del Cremlino o della Città proibita interessano gli asset, cioè la “roba”, assai più che la “carta”, cioè le obbligazioni delle imprese nostrane o il debito pubblico.
La conferma è arrivata ieri mattina: la famiglia reale del Qatar, quella che tra l’altro controlla al Jazeera. Secondo il Financial Times, è in “avanzati colloqui” con un fondo di private equity per rilevare il controllo di Valentino, uno dei brand storici del made in Italy che, per la la verità, ormai da cinque anni fa parte della scuderia di Permira, il fondo che a suo tempo con alterna fortuna radunò non pochi investimenti in Italia, tra cui le Pagine Gialle di Seat, gli yacht di Ferretti e, per l’appunto, la bandiera rosso Valentino. Lo scoop, per la verità, ha suscitato una reazione, tanto scontata quanto irrilevante: non c’è nulla di definitivo, dicono i manager (italiani) di Permira, salvo una trattativa in esclusiva per alcune settimane, ancora. Ma la sostanza non cambia: quando lo sceicco Hamad bin Jassim bin Jaber Al Thani, responsabile del Qia (Qatar Investment Authority) decide di comprare, l’affare va in porto. Ma ai prezzi correnti, figli della crisi, non a quelli gonfiati dai private quando il credito facile rendeva possibile arricchire al tempo stesso compratori e venditori, magaro a scapito della Borsa: nel 2007, ultimo anno dell’età dell’oro, Valentino passò di mano a 2,6 miliardi di euro. Oggi lo sceicco non vuol pagare più di 550-600 milioni. Naturalmente cash. A partire da Piazza Affari. Già, mentre la retorica tricolore si sgolava nella difesa di Parmalat o dell’italianità di Edison, partite del resto perdute, i fondi sovrani facevano shopping senza respiro tra i tabelloni elettronici del listino italiano: secondo i dati comunicati ieri dalla Consob, oltre un terzo delle società quotate è partecipato da fondi sovrani, più di quel che capita in altri paesi europei. Non c’è settore, in pratica, che venga risparmiato: si va dalle banche (ultimo caso l’affondo di Pamplona, società russa anglovestita in Unicredit) ai gruppi dell’energia (vedi Erg piuttosto che al mitico fondo sovrano di Singapore che minaccia di far le valigie da Gemina se il governo non garantirà tariffe che rendano profittevole la gestione di Fiumicino). Il boccone più “grosso” verrà digerito nelle prossime settimane, a margine della separazione tra Snam rete gas ed Eni: i fondi sovrani, a partire da quello del Qatar, sono i compratori più accreditati delle azioni in uscita da Cdp e dal Cane a sei zampe. Certo, finora il fenomeno ha riguardato solo quote di minoranza, senza investire più di tanto la gestione. Ma non per questo è meno rilevante. Anzi, in un mercato azionario dove l’attività è ridotta al lumicino, e il più delle volte gli scambi riguardano manovre di speculatori, gli unici a metter sul tappeto quattrini veri sono proprio i fondi sovrani.
Il nuovo vigore del “capitalismo di stato” ha sollevato l’attenzione dei governi, sulla scia di quanto avvenuto negli Stati Uniti, dove è viva la preoccupazione per le ricadute militari dell’avanzata dei fondi sovrani. Anche in Europa, per la verità, c’è chi guarda con una certa preoccupazione all’avanzata di Huawei, gruppo privato e punta di diamante della tecnologia per le infrastrutture di rete di Pechino, che può contare su prezzi imbattibili (grazie agli aiuti di stato, accusano i produttori del Vecchio continente) e che rischia di mettere un’ipoteca pesante sul controllo della trasmissione dati in Europa. La reazione non si è fatta attendere: la delegazione della Ue, in visita il mese scorso nella Città proibita, è stata in pratica cacciata via in malo modo. Se l’Europa vuole metter vincoli su Huawei, è stato il monito, noi cinesi apriremmo il contenzioso su decine di prodotti europei, a partire dalle auto.
Tornando ai fondi sovrani: la loro espansione non ha nulla da spartire con l’invasione degli eurodollari negli anni dello choc petrolifero. Allora si trattava di smaltire un surplus commerciale, oggi di espandere le basi di imperi industriali aggressivi, a caccia di prodotti per alimentare i mercati domestici. Oggi, poi, i big europei sono assai più vulnerabili. Mai, ad esempio, l’Avvocato Agnelli avrebbe permesso a Gheddafi, ammesso senza alcun potere nell’azionariato della Juventus, di sfilare un campioncino all’amato squadrone bianconero. Oggi lo sceicco può concedersi l’acquisto di Marco Verratti del Pescara, oggetto del desiderio del nipotino Andrea Agnelli, per girarlo al suo Paris Saint-Germain. Dopo aver comprato squadre di calcio, griffe, hotel e vigneti, recita la fantacronaca del quotidiano, non resta che l’ultimo colpo: l’acquisto dei diritti televisivi per l’elezione presidenziale francese da parte di al Jazeera che, per ammortizzare l’acquisto, penserebbe a un voto da svolgersi in sei turni per una durata di un mese e mezzo.
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