L'età dell'oro è una boiata. Contro la retorica trentennale del Mundial '82

Beppe Di Corrado

No, purtroppo non finirà. Tra cinque anni, poi tra dieci ci ritroveremo ancora qui: oggi il trentennale, poi gli altri anniversari dell’11 luglio ’82. La notte del Mundial. Sì, sempre la stessa. Quella dell’urlo di Tardelli e di Pertini che dice: “Non ci prendono più”. Quella del Bernabeu e di Zoff che alza la coppa. Sentiremo sempre ripeterci che come quella notte non ce ne sono state altre. Un’ossessione passatista che non ci abbandona. Aggrappati a un ricordo.

    No, purtroppo non finirà. Tra cinque anni, poi tra dieci ci ritroveremo ancora qui: oggi il trentennale, poi gli altri anniversari dell’11 luglio ’82. La notte del Mundial. Sì, sempre la stessa. Quella dell’urlo di Tardelli e di Pertini che dice: “Non ci prendono più”. Quella del Bernabeu e di Zoff che alza la coppa. Sentiremo sempre ripeterci che come quella notte non ce ne sono state altre. Un’ossessione passatista che non ci abbandona. Aggrappati a un ricordo. L’Italia ha vinto il Mondiale del 2006, è arrivata quest’anno in finale all’Europeo. Ma è come se ci fossimo fermati lì, a Madrid. Schiavi di immagini sbiadite, di giocatori che andavano a due all’ora, di quella formazione che è stata un mantra generazionale: Zoff, Bergomi, Cabrini, Gentile, Collovati, Scirea, Oriali, Conti, Tardelli, Rossi, Graziani. L’82 è una mania, una fissazione, un assillo. Circola ancora quella frase che a qualcuno fa ridere troppo: “Non eri nato l’11 luglio 1982? Allora non parlare”. Come se per tutta la vita un nonno ricordasse al nipote che se non ha vissuto il Mondiale del ’34 e quello del ’38 e se insomma non ha visto Vittorio Pozzo che s’inchinava di fronte al Duce allora non può essere un italiano. L’82 si trascina dietro tutto quello che è stato e anche quello che non è stato. Vigliacchi quei 24 anni passati fino al 2006 e anche dopo: non c’è stato altro se non un rullo, continuo, di immagini sbiadite, di facce un tempo giovani, di ricordi appannati e però entusiasti. Abbiamo rimpianto persino l’afa. “Quanto faceva caldo in Spagna: Vigo, Barcellona, Madrid”. Si ricorda ogni cosa di quell’estate: gli uomini in zoccoli e costume da bagno, qualche donna in topless, Agnelli vestito di beige, Giovanni Arpino e Gianni Brera.

    Anche dopo Berlino 2006, Madrid torna sempre a nutrire il passato: si sente, si tocca, si capisce che tutti vogliono raccontarti e convincerti che all’epoca fu tutta un’altra cosa. Il colpo più duro è arrivato quando un editoriale della Gazzetta dello Sport è uscito più o meno con questo titolo: “Ma l’82 fu tutto più bello”. Perché? Perché vogliono denigrare tutto quello che è stato il trionfo di Cannavaro, Buffon, Toni, Pirlo, De Rossi, Grosso? Perché dobbiamo sempre guardare indietro per trovare la parte migliore di noi? Perché ieri è meglio di oggi? Perché non abbiamo diritto di rivendicare di essere stati i più forti dei più forti anche negli anni Duemila? E’ cattiveria, egoismo, vigliaccheria, invidia. E’ nonnismo. Madrid e il Bernabeu sono il calcio di chi comanda l’Italia di oggi. Quella generazione di cinquantenni che all’epoca era giovane e pretende di ricordare se stessa alimentando il ricordo di quel Mundial. Che tristezza.  Politici, commentatori, notisti, giornalisti, tutti vati della ipotetica superiorità degli anni Ottanta sul futuro. Perché è radical chic tornare all’epoca, è troppo volgare vivere il presente. Allora funziona anche la storia da perdente di Franco Selvaggi che non giocò un solo minuto in Spagna, ma che la vulgata ha trasformato in un personaggio determinante. “Quello che teneva unito il gruppo”.

    L’idiozia si alimenta a mano a mano che passa il tempo. Crea rabbia, angoscia, voglia di rivincita. Però alla fine il problema tuo finisce qui, il loro no. Perché c’è qualcuno che non torna con la memoria e basta, c’è qualcuno che non s’è più mosso, è rimasto lì convinto che oltre non si possa andare e non si debba andare, come se l’estasi collettiva l’abbia trattenuto in una paresi di sentimenti e di fantasie. I fanatici del passatismo hanno ammazzato il ricordo più bello. Quel maledetto urlo di Tardelli ce l’hanno fatto vedere così tante volte che siamo diventati impermeabili all’emozione. Soprattutto hanno tradito i loro eroi. Perché li mettono ancora tutti in fila con le felpe da giovanotti: una bella scritta “1982” sul petto. Eccoli di nuovo: Altobelli, Antognoni, Baresi, Bergomi, Bordon, Cabrini, Causio, Collovati, Conti, Dossena, Galli, Gentile, Graziani, Marini, Massaro, Oriali, Rossi, Scirea, Selvaggi, Tardelli, Vierchowod, Zoff. Ogni volta sembra un’adunata di veterani. Chi ha meno di vent’anni neanche sa chi siano, però ovviamente è colpa sua e dell’ignoranza delle nuove generazioni. Mai nessuno che si fermi a riflettere sul fatto che il reducismo abbia rovinato la vita e la carriera di quelli che nell’82 ci fecero godere. E’ il vizio perenne della nostalgia che distrugge tutto. E’ una balla ben raccontata, a ogni anniversario. Siamo rimasti lì. Il mondo no, il calcio neppure.