Sarebbe questo il multilateralismo Onu?

Daniele Raineri

Ieri durante un rastrellamento vicino al villaggio di Hreitan, a nord di Aleppo, nella Siria sconvolta dalla guerra civile, i carri armati del governo hanno imboccato una pista che era stata sistemata di recente per agevolare il passaggio dei Caschi blu delle Nazioni Unite. Rappresentazione sintetica e quanto mai efficace di quello che succede sul campo: l’Onu non ha fermato la violenza, ma l’ha piuttosto agevolata, concedendo al regime tempo prezioso per implementare piani di pace che non sono mai stati attuati.

    Ieri durante un rastrellamento vicino al villaggio di Hreitan, a nord di Aleppo, nella Siria sconvolta dalla guerra civile, i carri armati del governo hanno imboccato una pista che era stata sistemata di recente per agevolare il passaggio dei Caschi blu delle Nazioni Unite. Rappresentazione sintetica e quanto mai efficace di quello che succede sul campo: l’Onu non ha fermato la violenza, ma l’ha piuttosto agevolata, concedendo al regime tempo prezioso per implementare piani di pace che non sono mai stati attuati. Dal cessate il fuoco  previsto ad aprile dal cosiddetto piano A in sei punti dell’inviato speciale, Kofi Annan,  a oggi sono morti altri quattromila siriani.  Le truppe di Damasco avrebbero dovuto ritirarsi dai centri abitati: non è accaduto. Sono invece cominciati i bombardamenti con l’artiglieria su interi quartieri popolati da civili e sono intervenuti pure gli elicotteri. E, dall’altra parte, la ribellione nata come lotta di liberazione nazionale sta assumendo la tinta di un jihad.

    L’illusione che gli stati nazionali possano demandare a un organismo sovranazionale e generale la soluzione delle crisi – al posto loro – è destinata a essere infranta regolarmente. Srebrenica, nel luglio 1995, era zona ufficialmente protetta dai Caschi blu delle Nazioni Unite: ma questo non impedì ai serbi – che vi penetrarono senza incontrare resistenza – di uccidere circa ottomila musulmani disarmati. Se c’è un’aggravante della situazione è che in questo momento non ci sono governi decisi a sostenere una politica estera con fatti attivi e decisioni unilaterali. La Casa Bianca dell’Amministrazione Obama si affida al multilateralismo (quando non può, vedi articolo sopra, lanciare missili con i droni), cerca l’intesa globale, e in caso d’intervento sceglie il “leading from behind”, ovvero il comando concreto delle operazioni di guerra senza però rivendicarlo. Russia e Cina non intervengono ma seguono una linea di resistenza passiva, una non collaborazione così pesante da paralizzare ogni situazione di crisi – come succede oggi in Siria. L’Onu, che dovrebbe supplire a questo stallo, finisce per dichiarare fallimento.

    Domenica in visita a Damasco Annan ha riconosciuto di “avere fallito con il suo primo piano di pace, ormai è evidente a tutti” ed è passato al secondo – che prevede la formazione di un governo di transizione grazie a un compromesso improbabile tra regime e opposizione e grazie alla mediazione di paesi esterni.
    In teoria Annan è l’inviato speciale di un organismo ecumenico e inclusivo che abbraccia e rappresenta tutto il mondo, e dovrebbe sentirsi forte di questa delega globale: in realtà, gli arabi sono furiosi con lui perché agisce sempre pensando ai media occidentali. Scriveva lunedì Asharq al Awsat, quotidiano panarabo controllato dai sauditi: “Negli ultimi tre mesi Annan non si è degnato di rivolgersi ai siriani o agli arabi in generale, parla soltanto ai media occidentali, come da ultimo con il Monde. Alla recente Conferenza degli amici della Siria, il ministro degli Esteri degli Emirati arabi uniti ha fatto bene a dire che l’assenza di Annan, che intanto era a Ginevra, è stata una vergogna”. Far infuriare gli arabi durante una crisi in Siria non è il viatico migliore per una soluzione rapida.

    Il quotidiano libanese Daily Star scrive che ora “Annan torna sul luogo del delitto, per continuare a frustare un cavallo morto”, metafora desolata del piano per una pace che non arriverà. “Che sia per colpa di calcoli fatti male o di ambizioni personali o di un misto di queste due cose, la missione Onu è ora diventata complice nella distruzione sponsorizzata dal regime della Siria e dei suoi abitanti. Prima si ritira meglio è, perché finalmente la comunità internazionale potrebbe creare soluzioni alternative per mettere fine ai massacri, ed è questo a cui alludeva il segretario di stato americano, Hillary Clinton, quando domenica ha detto che l’ammissione di fallimento di Annan dovrebbe essere una sveglia per tutti”.

    Il ghanese non se ne dà per inteso e ieri ha cominciato un giro di frenetica “shuttle diplomacy”, volando a Baghdad e a Teheran per convincere i governi di Iraq e Iran a diventare parte della soluzione. “Teheran – ha detto – può giocare un ruolo positivo”. La delega internazionale sulla Siria data alle Nazioni Unite si sta trasformando in una richiesta di aiuto all’Iran. E’ questo che intendeva Washington con multilateralismo?

    • Daniele Raineri
    • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)