La guerra civile si allarga

Una fonte da Aleppo ci dice come i ribelli stanno per prendere la città

Daniele Raineri

Da Parigi arriva notizia che il belloccio Manas Tlass, generale amico del presidente siriano Bashar el Assad che ha disertato ed è scappato da Damasco, ha già preso contatto con l’opposizione – non con l’esercito della Libertà che combatte sul terreno, ma con l’ala politica degli esuli che s’agitano fumosi da lontano, da fuori. Tlass tenta probabilmente di costruire quel ponte fra ribelli ed establishment su cui si regge l’idea di un governo di transizione siriano proposta dalle Nazioni Unite come soluzione per fermare la guerra civile.

    Da Parigi arriva notizia che il belloccio Manas Tlass, generale amico del presidente siriano Bashar el Assad che ha disertato ed è scappato da Damasco, ha già preso contatto con l’opposizione – non con l’esercito della Libertà che combatte sul terreno, ma con l’ala politica degli esuli che s’agitano fumosi da lontano, da fuori. Tlass tenta probabilmente di costruire quel ponte fra ribelli ed establishment su cui si regge l’idea di un governo di transizione siriano proposta dalle Nazioni Unite come soluzione per fermare la guerra civile. Per ora sembra più verosimile che la rivoluzione si fermerà se e quando arriverà una soluzione militare, quando i guerriglieri riusciranno ad arrivare fino al palazzo di Assad che domina Damasco da una collina. La guerra ora deve passare da Aleppo, seconda città del paese, lassù a nord, vicino al confine con la Turchia. Se cade, il centro di tutto si sposta verso sud, verso l’appuntamento finale, a Damasco.

    In questi sedici mesi Aleppo è stata descritta dalla propaganda come “leale”, soprattutto perché abitata anche da cristiani e da una ricca classe di businessmen, categorie entrambe interessate alla sopravvivenza del regime. Non è così: “La parte rurale, ovvero tutta la zona tra la città e il confine nord con la Turchia, è già fuori controllo da sei mesi”, dice al Foglio una fonte siriana di buon livello e affidabile, che parla da Aleppo e desidera restare anonima per ragioni di sicurezza. “L’esercito controlla soltanto l’autostrada principale che porta in città, la Ghazi Entab. Dentro non vedo soldati, o carri armati, o pattuglie. Soltanto cecchini vicino al quartier generale della sicurezza. Ma da trenta giorni i soldati stanno sferrando un’offensiva contro i villaggi tutt’attorno, anche con cannoni ed elicotteri. In città invece abbiamo la ‘polizia’, anche se è troppo buono chiamarla così. Sono squadre di picchiatori pagati dal governo. La vera polizia è stata messa da parte perché il governo non si fida”.
    La fonte dice che la morsa della sicurezza su Aleppo è ancora troppo forte, “non possiamo fare di più, non aspettatevi una situazione come piazza Tahrir al Cairo, qui o a Damasco”.

    La fonte da Aleppo spiega al Foglio che la ribellione sta per arrivare al livello in cui potrà battersi contro l’apparato di sicurezza. “Fino al decimo mese di manifestazioni, le forze del  regime non hanno avuto alcun bisogno di confrontarsi con la piazza. Il lavoro sporco era fatto dalle squadracce in borghese, con coltelli e catene, si mescolavano alla folla e poi colpivano. Sono gli Shabiha, gli spettri. All’inizio dell’anno, abbiamo cominciato a sentire di assalti a sorpresa contro i personaggi più potenti che appoggiavano questi gruppi. La gente è cresciuta in abilità e organizzazione. Gli attacchi hanno costretto questi gangster a dichiararsi pentiti e a ritirare il loro sostegno. Ora le forze di sicurezza sono costrette a scendere nelle strade e a sparare. Questo, se da un lato è peggio perché vai a manifestare senza sapere se tornerai a casa, da un altro lato è paradossalmente meglio, perché ora sai dove si trova il tuo nemico, si stabilisce una ‘linea del fronte’ che divide i manifestanti dagli agenti. E la gente non concede respiro alle forze di sicurezza, manifesta ogni ora, cercando di logorare la loro resistenza e di farli disperdere su un territorio troppo vasto da controllare interamente”.
    “La ribellione armata sta prendendo piede. Ha cominciato con gli assalti persuasivi contro i gangster di regime, ora sta attaccando i checkpoint di sicurezza in città, ce ne sono 35. Ma per ora sono ancora gruppi poco addestrati e male armati.   Sento sparare, talvolta sono veri combattimenti, altre volte sono le guardie dei check point, sparano per dire ‘siamo qui, siamo pronti’. Appena fuori dalla città, sento anche l’artiglieria sparare, soprattutto di notte. Tutta la notte. Da Aleppo contro Darat Ezza, a 30 km, o contro Hreitan, a soli 7 km”.

    E la vita quotidiana? Difficoltà con il burro, o con la benzina? “Paragonati ad altri posti in Siria siamo ancora messi bene. Eppure i nostri standard partivano da molto al di sopra della media, prima che tutto cominciasse. Il fatto è che il governo ha ceduto il monopolio su alcuni prodotti ad alcune gang tribali, per premiarle per la fedeltà e i lavori sporchi, e queste lucrano sul prezzo. Si occupavano di tabacco e armi, ora hanno in mano il mercato nero”.

    • Daniele Raineri
    • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)