Vola, aquilone, vola

Ora sono i suoi a insistere per il gran ritorno del Cav.

Salvatore Merlo

Pdl, Udc e Lega hanno chiuso un accordo di massima sulla riforma della legge elettorale, una riforma proporzionale con sbarramento al 6 per cento e piccolo premio di maggioranza che, di fatto, con l’autorevole benedizione del Quirinale (“tutto purché si faccia”) potrà anche essere votata a maggioranza. E come tutti sanno, i tre partiti un tempo alleati, da soli, hanno numeri sufficienti per fare passare qualsiasi provvedimento sia alla Camera sia al Senato.

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    Pdl, Udc e Lega hanno chiuso un accordo di massima sulla riforma della legge elettorale, una riforma proporzionale con sbarramento al 6 per cento e piccolo premio di maggioranza che, di fatto, con l’autorevole benedizione del Quirinale (“tutto purché si faccia”) potrà anche essere votata a maggioranza. E come tutti sanno, i tre partiti un tempo alleati, da soli, hanno numeri sufficienti per fare passare qualsiasi provvedimento sia alla Camera sia al Senato. Così al Pd rimangono pochi margini di trattativa. Si discute delle preferenze, Pier Ferdinando Casini le vuole, i peones del Pdl eletti col porcellum le temono, il Cavaliere è disposto a sacrificarle per mantenere il meccanismo dei collegi ma non sembra intenzionato ad alcun tipo di forzatura: vuole fortissimamente un accordo e ieri ha trovato inedita disponibilità nel campo di Casini e di Roberto Maroni. E’ forse più di un dettaglio, questo delle preferenze, ma la notizia è nell’accordo sull’impianto generale di una legge che abolisce gli apparentamenti, punta tutto sui singoli partiti e di fatto pone le condizioni perché la prossima sia una legislatura di grande coalizione. Che le cose stiano maturando lo dimostrano anche i modi felpati, la cautela diplomatica con la quale Casini è tornato a commentare la possibile ricandidatura di Berlusconi. A caldo, mercoledì aveva fatto dell’ironia (“qualcosa di nuovo, anzi di antico”), mentre ieri ha detto che “non sono problemi miei”.

    Il Cavaliere ha iniziato un giro di consultazioni interne al Pdl, ieri a un certo punto ha tentennato di fronte ai suoi: “Avete visto quanto mi attaccano? Forse dovrei smentire e non candidarmi”. Qualcuno si è molto innervosito: “No, scusa presidente, ora ‘devi’ candidarti”. I giochi sembrano fatti. Il primo a essere ricevuto, alle 11 del mattino, è stato Renato Schifani che dai tempi della lettera indirizzata al Cav. tramite il Foglio (“Non giocare con il caos”) è un attore protagonista nel partito della stabilizzazione, ingranaggio del meccanismo che collega Palazzo Grazioli con Mario Monti e il Quirinale. Anche a Schifani è stato mostrato il simbolo provvisorio del nuovo partito: un aquilone con fasce tricolori.

    Dopo Schifani, alle 16, hanno fatto il loro ingresso a Palazzo Grazioli quelle che il Cavaliere chiama spesso “le teste d’uovo”, cioè la nomenclatura del Pdl, i capigruppo, i coordinatori e anche il segretario ammaccato Alfano. La linea è tracciata: Berlusconi si candida, la legge elettorale dovrà essere proporzionale con all’orizzonte, cautamente celate, le larghe intese (“si fa ma non si dice”). Tuttavia i negoziati sulla riforma elettorale hanno qualche punto oscuro: le preferenze. Spaventano i non pochi parlamentari che in questa legislatura sono entrati perché cooptati dall’alto. L’iter parlamentare prevede un passaggio a scrutinio segreto che potrebbe favorire i franchi tiratori. Dunque si immaginano contromisure (ritorna prepotente l’ipotesi delle liste civiche) e controproposte a Udc e Lega (perché non mantenere una parte dei collegi?). Ma è la sostanza del nuovo meccanismo elettorale che trova concordi il Pdl, la Lega e l’Udc: proporzionale con sbarramento alto, al 6 per cento. Di Pietro, per esempio, resterebbe fuori: da ciò la sua opposizione preventiva. Berlusconi sa che così potrebbe eleggere un numero congruo di parlamentari e costringere a un ritorno alla sua corte i piccoli scissionisti: Francesco Storace e Gianfranco Micciché, soprattutto. Entrambi sono capaci di mobilitare consenso, ma entrambi, da soli, non sono in grado di superare lo sbarramento e si vedrebbero costretti a scendere a patti con il Cavaliere.

    Sommandosi alle attuali percentuali del Pdl, concorrerebbero a una affermazione elettorale meno catastrofica di quella prevista qualora il Pdl dovesse correre da solo e con l’attuale sistema elettorale. Per invogliare e rendere più fluido questo ricongiungimento familiare con Storace e Micciché (che al momento dicono di essere contrari) non è escluso che ritornino a fare capolino le primarie. Berlusconi non le vuole, ma non è escluso che possa accettarle anche e soprattutto per legittimare e rafforzare la sua ridiscesa in campo. Il Cavaliere le potrebbe concludere con una convention di quelle che piacciono a lui, all’americana, ottenendo due risultati: mettere in difficoltà Bersani (che non le fa) e dare una chiave d’ingresso pure a quella parte del mondo ex finiano che già bussa alle porte.

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    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.