Il progetto dei russi è prendersi il mondo del calcio. Capello è solo l'inizio

Beppe Di Corrado

Fabio Capello a Mosca è una controintuizione. Perché se lascia la panchina della Nazionale inglese e poi pensa di accettare quella della Russia c’è qualcosa che non abbiamo ancora capito. Ha detto no a mezza serie A, a molti club tra i più importanti d’Europa. E va a Mosca per rimettere in piedi la Nazionale di Putin. Perché? La sfida, sì. E poi? L’ex allenatore di Milan, Roma, Juve e Real Madrid andrà lì. Se si muove uno come lui, vuol dire che noi non abbiamo capito. Significa che abbiamo sottovalutato.

    Fabio Capello a Mosca è una controintuizione. Perché se lascia la panchina della Nazionale inglese e poi pensa di accettare quella della Russia c’è qualcosa che non abbiamo ancora capito. Ha detto no a mezza serie A, a molti club tra i più importanti d’Europa. E va a Mosca per rimettere in piedi la Nazionale di Putin. Perché? La sfida, sì. E poi? L’ex allenatore di Milan, Roma, Juve e Real Madrid andrà lì. Dicono che Vladimir Putin si sia speso in persona con la federazione calcio: prendete lui. Il posto è quello lasciato da Dick Advocaat, responsabile dell’eliminazione della Russia al primo turno dell’Europeo. Fuori l’olandese, dentro l’italiano. Logica la loro richiesta, un po’ meno – in teoria – il sì di Capello. Se si muove uno come lui, vuol dire che noi non abbiamo capito. Significa che abbiamo sottovalutato. La Russia, lo sport, il futuro, il potere. Noi abbiamo in testa il deludente risultato degli Europei, loro studiano già il modo per prendersi il mondo. Perché la Russia si prepara: sei anni prima pensa solo e soltanto ai Mondiali che organizzerà nel 2018. E’ tutto una pianificazione, è tutto una tappa di avvicinamento. Il 2018 è per il pallone ciò che fu il 1980 per il resto degli sport. Mosca vuole dimostrare al mondo di essere cresciuta: socialmente, urbanisticamente, umanamente. Mosca vuol dire al pianeta che ce l’ha fatta. Capello serve a questo: parte dalla base di una Nazionale buona che non ha sfondato. Parte dai giocatori che inondano i campionati stranieri, hanno lasciato quello russo e adesso cominciano il percorso inverso. Il rientro dei cervelli e dei piedi. Arshavin che lascia l’Arsenal per andare allo Zenit di San Pietroburgo è l’esempio.

    Capello è la speranza di poter pianificare veramente il destino che nella testa del governo politico e sportivo di Mosca ha come obiettivo quello di vincere la Coppa del mondo in casa. Banale e dannatamente reale. Solo che fino a oggi avevamo pensato che fosse propaganda, mentre se dovesse davvero diventare lui il ct russo allora dovremmo cominciare a pensare che questi fanno davvero sul serio.

    Il problema, in fondo, è più nostro che loro. Nostro degli occidentali. Quando parliamo di Russia e pallone è come se fossimo rimasti al 1989, o al massimo al 1991. Noi, con la nostra presunzione di essere i padroni di tutto, a pensare che il calcio in Russia sia rimasto inchiodato a quando lo immaginavamo incredibilmente lontano dal nostro modo di ragionare. Ci faceva un po’ paura e forse ci metteva contemporaneamente anche in soggezione. E’ qui che cade il velo d’ipocrisia che ha ammantato i giorni immediatamente successivi alla scelta del paese ospitante del Mondiale del 2018. La commissione Fifa s’è alzata, ha annunciato la Russia e a noi, a tutti noi, è venuta in mente quella cosa là: il denaro che ha oleato i meccanismi e gli ingranaggi del sistema di assegnazione dei Mondiali. I soldi come prosecuzione più che simbolica della forza che negli anni Settanta e Ottanta l’Unione sovietica riusciva a imporre alle organizzazioni dello sport mondiale. La Russia oggi è un Occidente estremo, anche nel calcio. Per banalizzarlo e anche un po’ denigrarlo lo chiamiamo pallone dei ricchi. Pregiudizio, più che conoscenza. In Russia di ricchezza dentro il mondo del pallone c’è, sì. Lo Zenit di San Pietroburgo, il Cska Mosca e il Rubin Kazan. Perché il primo è di proprietà della Gazprom, il secondo della Lukoil, il terzo della Taife (chimica, edilizia e telecomunicazioni) e della Tatenergo, holding dell’elettricità. Poi l’Anzhi, il club che ha comprato Samuel Eto’o e che vorrebbe comprare tutto il meglio del meglio del pallone mondiale. Piano e meno piano i russi conquistano territorio calcistico. Costruiscono squadre che possono competere in Champions o Europa League. Hanno già scontato la loro crisi economica, prima della nostra. I giocatori ci sono. Manca oggi un’idea di Nazionale. Capello è il potenziale collettore. Lui, i soldi, la politica che ha interesse. Prendersi il mondo del calcio, per la Russia, è un progetto. E’ cominciato per davvero.