Vogliono i colonnelli

Il manifesto degli ex An per salvare il Pdl dal gran ritorno del Cav.

Salvatore Merlo

Come dice Altero Matteoli: “Non abbiamo nessuna intenzione di rifondare Alleanza nazionale, o un partito della destra”. Certo, la componente di An dentro il Pdl ha ritrovato antichi vincoli di solidarietà da tempo perduti, erano anni che non si vedevano insieme – “uniti nella lotta” – uomini come Gianni Alemanno e Ignazio La Russa, ma l’inclinazione prevalente non è quella di una scissione destrorsa dal partito di Silvio Berlusconi. Nel Pdl, o come si chiamerà, tutti gli ex missini in realtà vogliono restare ben piantati.

    Come dice Altero Matteoli: “Non abbiamo nessuna intenzione di rifondare Alleanza nazionale, o un partito della destra”. Certo, la componente di An dentro il Pdl ha ritrovato antichi vincoli di solidarietà da tempo perduti, erano anni che non si vedevano insieme – “uniti nella lotta” – uomini come Gianni Alemanno e Ignazio La Russa, ma l’inclinazione prevalente non è quella di una scissione destrorsa dal partito di Silvio Berlusconi. Nel Pdl, o come si chiamerà, tutti gli ex missini in realtà vogliono restare ben piantati. E infatti da ieri circola un documento promosso dall’ex sottosegretario Andrea Augello intorno al quale si stanno raccogliendo molte firme anche di parlamentari provenienti dalla vecchia Forza Italia, un manifesto intitolato “Per una nuova Europa popolare”, un testo che si rivolge al Cavaliere e che esclude l’ipotesi di una scissione nostalgica – e pure di un ritorno a Forza Italia – ma invita Berlusconi a riempire di “senso politico” la sua ri-discesa in campo attraverso le primarie e un programma di governo per gli ultimi cento giorni della legislatura.

    Un programma, dunque, che blindi, vincolandolo ad alcuni interventi legislativi precisi, il rapporto tra il Pdl e Mario Monti.
    “Bisogna assolutamente fare le primarie”, dice il sindaco di Roma Alemanno, e Augello aggiunge: “Il ritorno di Berlusconi non dev’essere un ritorno al passato. Berlusconi ha bisogno di riungersi nel consenso attraverso un voto che lo legittimi intorno a un programma e che consenta anche ad altre forze di aggregarsi al nostro partito, qualunque sia il suo nuovo nome”. Il manifesto, che gira tra i banchi della Camera e del Senato, sarà reso pubblico tra pochissimi giorni ed è la base di una una manifestazione nazionale pro Pdl che si terrà a Roma il 26 luglio. “Non intendiamo rinunciare alla convocazione di elezioni primarie che dovranno concludersi, sul modello americano, con una grande convention di investitura del nostro candidato per Palazzo Chigi”, si legge. “Potremmo trasformarle in una straordinaria opportunità di mobilitazione popolare intorno a un nuovo programma, un nuovo simbolo e quindi una nuova identità del centrodestra italiano”.

    Il tentativo è ambizioso, e alla manovra non sono del tutto estranei nemmeno alcuni degli uomini storicamente più vicini al Cavaliere; fedelissimi e fondatori di Forza Italia. Con il manifesto “Per una nuova Europa popolare” il ceto politico del Pdl prova a circoscrivere il campo d’azione di un Silvio Berlusconi che oscilla nel rapporto con Monti e che molto è tentato dall’idea di stracciare, assieme alle nomenclature che mal sopporta, anche quegli schemi Partitocentrici che dal suo punto di vista hanno contribuito a rendere nel tempo poco appetibile il marchio Pdl.
    La sola espressione “nuova Europa popolare” evoca l’immagine del Ppe, del partito popolare europeo, e dunque vincola il Cavaliere a una scelta europeista, e persino criticamente pro montiana: insomma si vuole fare piazza pulita e per sempre della tentazione di rottura che a casa Berlusconi è stata incarnata negli ultimi mesi dal “no euro” di Daniela Santanchè. Ma contemporaneamente il manifesto e la convention del 26 luglio servono pure a individuare una complicata linea politica che, pur mantenendo il centrodestra piantato come un chiodo al centro del popolarismo europeo, non inclina apertamente a soluzioni grancoalizioniste per il 2013, perché, come hanno detto una volta anche Gaetano Quagliariello e Fabrizio Cicchitto, non precisamente due ex missini: “La grande coalizione non la si può escludere, ma nemmeno si può andare al voto imbracciando la bandiera delle larghe intese”.

    Insomma, sono molti quelli che nel Pdl intravvedono due opposti tipi di rischio che derivano dall’idea stessa che Berlusconi ha della politica, che per lui è un mercato sul quale va piazzato al meglio delle condizioni un prodotto (che si chiami Pdl o aquilone tricolore o Forza Italia). Temono cioè la deriva euroscettica del Cavaliere (qualora la crisi si dovesse fare ancora più grave), o in alternativa temono un suo cedimento intempestivo alla logica delle larghe intese. Dunque intendono vincolarne le scelte, subito, vogliono cioè perimetrare il campo d’azione di un Cavaliere come sempre fantasioso e pronto ad aggiornare la sua offerta politica a seconda delle condizioni del mercato elettorale.
    Ma non c’è solo questo, il conflitto è anche prosaicamente uno scontro di potere interno sulla composizione delle liste elettorali per la prossima legislatura. Il gruppo degli ex An, associato a pezzi della ex Forza Italia, non vuole perdere il controllo dell’azione politica nel centrodestra e sa benissimo che proprio a questo invece mira il Cavaliere quando immagina un nuovo nome e un nuovo simbolo per il Pdl, e quando negozia con il Pd una nuova legge elettorale che conserva i collegi ed esclude le preferenze. Berlusconi, che tiene aperta ogni ipotesi politica per il 2013, ha bisogno di un gruppo compatto che risponda a lui. Così punta a recuperare le redini, e il controllo, della sua creatura anche attraverso la riforma della legge elettorale e in particolare attraverso il meccanismo che permette al leader di scegliere i candidati che poi saranno eletti in Parlamento. Che sia “no euro” o che sia “Monti bis”, il Cavaliere ha bisogno di essere certo di poter orientare il partito. Guarda caso, il manifesto dei dissidenti invoca le preferenze e l’abbandono delle “velleità presidenzialiste”.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.