C'è un modo per capire dove andranno gli ex di An. Follow the Money

Alessandro Giuli

Per capire dove (non) andranno gli ex colonnelli di Gianfranco Fini in Alleanza nazionale, poi pretoriani di Silvio Berlusconi nel Popolo della libertà, non bisogna incorrere nell’errore di sopravvalutare le pur legittime questioni ideali, o le differenze ideali fra gli attori sulla scena. Maurizio Gasparri e Ignazio La Russa, un tempo soprannominati i “berluscones” dagli avversari interni, sono da sempre i due grandi amministratori del potere postmissino: la loro vecchia corrente liberal-conservatrice, Destra protagonista, ha goduto di una maggioranza solida dentro al partito.

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    Per capire dove (non) andranno gli ex colonnelli di Gianfranco Fini in Alleanza nazionale, poi pretoriani di Silvio Berlusconi nel Popolo della libertà, non bisogna incorrere nell’errore di sopravvalutare le pur legittime questioni ideali, o le differenze ideali fra gli attori sulla scena. Maurizio Gasparri e Ignazio La Russa, un tempo soprannominati i “berluscones” dagli avversari interni, sono da sempre i due grandi amministratori del potere postmissino: la loro vecchia corrente liberal-conservatrice, Destra protagonista, ha goduto di una maggioranza solida dentro al partito. Un’egemonia che si è riverberata anche nel mondo giovanile, esprimendo la leadership di Giorgia Meloni. Sull’altra parte della barricata postfascista stava Gianni Alemanno (in origine in sodalizio con Francesco Storace), capo di una Destra sociale che si presentò (e in parte fu) come la componente culturalmente più solida (antichi retaggi rautiani): social-nazionale o bismarckiana, spolverata di movimentismo da Campo Hobbit, minoritaria ma sempre molto ben collegata con i poteri neutri e quelli bianchi (compresa Comunione e Liberazione).

    Fra le due correnti che si disputavano il consenso aennino, l’allora capo Gianfranco Fini ebbe la felice intuizione d’interporre un terzo raggruppamento (Nuova alleanza) concepito nel laboratorio della mediazione verticistica, quasi un doppio forno in versione tardo almirantiana. Capocorrente: Altero Matteoli. E arriviamo al punto: Matteoli è un pragmatico navigatore di antica scuola nello stagno della destra italiana. Ha sempre compreso prima e meglio di altri la geometria variabile tatarelliana (da Pinuccio Tatarella, anima dorotea del Msi-An) e su questa lezione ha saputo costruire rendite politiche durevoli. Di qui il consiglio di guardare a lui come al barometro del clima che verrà. E lui ieri ha rilasciato un’intervista a Libero che non deve passare inosservata. Titolo: “An non si potrà mai rifare”. Perfino possibilista sull’ingresso in una neo Forza Italia, il suo programma per vincere nel 2013 prevede di puntare “prima di tutto sulle imprese e sul ruolo delle banche”. Follow the Money.

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