Tempeste d'estate

Il contagio spagnolo spaventa Monti e frena un Cav. indeciso a tutto

Salvatore Merlo

Roma. Tardo pomeriggio, Via del Plebiscito. Gianni Alemanno è seduto su uno dei divani di Palazzo Grazioli, ha gli occhi sgranati e osserva il padrone di casa che lo ha appena tramortito con una rivelazione. “Ma se lo hai detto a tutti!”, esclama il sindaco di Roma incredulo. Il Cavaliere, che gli sta seduto accanto, non si scompone, al contrario insiste, assume un tono di voce fermo, lo sguardo più carico di verità del repertorio: “Gianni, te lo assicuro, non ho nessuna intenzione di ricandidarmi. E’ tutta una macchinazione”.

    Roma. Tardo pomeriggio, Via del Plebiscito. Gianni Alemanno è seduto su uno dei divani di Palazzo Grazioli, ha gli occhi sgranati e osserva il padrone di casa che lo ha appena tramortito con una rivelazione. “Ma se lo hai detto a tutti!”, esclama il sindaco di Roma incredulo. Il Cavaliere, che gli sta seduto accanto, non si scompone, al contrario insiste, assume un tono di voce fermo, lo sguardo più carico di verità del repertorio: “Gianni, te lo assicuro, non ho nessuna intenzione di ricandidarmi. E’ tutta una macchinazione”. Alemanno è comprensibilmente confuso, balbetta qualcosa, poi articola con decisione: “Posso portarti almeno dieci testimoni oculari”. E il Cavaliere, battendogli con la mano sul ginocchio, quasi si dispera: “Ma cos’avrò mai fatto? Perché nessuno mi crede più?”. Nel giorno in cui la sua foto appare sull’Economist sotto il titolo “The last thing Italy needs”, cioè “l’ultima cosa di cui l’Italia ha bisogno”, Silvio Berlusconi fa in modo che si sappia in giro: ha cambiato idea. Ora non si candida più. Forse.

    La Borsa ha chiuso in negativo, -4 per cento, solo Madrid, sull’orlo della bancarotta, ieri ha fatto peggio di Milano. Tutto precipita in un vortice di incertezza che il Cavaliere amletico condivide con un Mario Monti gelato dall’irresistibile progressione dello spread insensibile a qualsiasi cura, arrivato ieri oltre la soglia critica dei 500 punti, e con un Giorgio Napolitano – motore immobile del governo – indebolito dalla storiaccia delle intercettazioni palermitane. Le ultimissime inclinazioni di Berlusconi, il suo inarrestabile pencolare, sono l’effetto dei sondaggi più recenti e meno ottimisti commissionati ad Alessandra Ghisleri intorno alla sua possibile ridiscesa in campo. Ma l’incertezza del Cavaliere, che continua ad avere naso per quel mercato del consenso che per tutti gli altri si chiama politica, è il sintomo più esplicito di una condizione generale di allarme, di instabilità per l’intero sistema italiano. Francesco Giavazzi, sul Foglio, è arrivato a imputare il downgrade di Moody’s alla “minacciata ricandidatura” di Berlusconi a Palazzo Chigi. Il Cavaliere non sa che fare perché tutto, a questo punto, nel marasma, è davvero possibile.

    Nei suoi incontri privati, Monti si è lamentato di una stampa allarmista. Il professore chiede responsabilità a tutti, a comiciare dai partiti, dal Parlamento ammanettato e inattivo che non riesce a tirarsi fuori dalla palude nemmeno con quella riforma della legge elettorale che anche Napolitano invoca con urgenza e crescente stanchezza. “Nell’interesse del paese le forze politiche non devono allentare l’impegno e il ritmo delle decisioni”, ha detto Monti con una certa, per lui irrituale, inclinazione politica. Il professore teme che il tessuto, la trama del governo tecnico, possa non reggere all’urto dei mercati, al collasso della Spagna e all’indebolirsi del Quirinale; cioè del muro maestro che regge l’impalcatura. Il capo dello stato ieri è tornato a difendere con forza le sue scelte e le sue prerogative; ma la sua polemica più o meno diretta con chi tenta il linciaggio istituzionale ha dato l’impressione che il presidente abbia accusato il colpo sparato da Palermo con il megafono di alcuni giornali e il complemento militare di Antonio Di Pietro (“Napolitano ha tradito la Costituzione”). “In questo momento stanno suonando tutti i campanelli d’allarme”, dice Enrico Letta. L’ombra di Berlusconi sbiadisce, ma all’orizzonte appare lo spettro degli aiuti, e della Troika. Dice Maurizio Gasparri: “Esisteranno ancora gli stati nazionali?”.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.