Sedizione e vestizione
Un cronista deve fare un ritratto di Oscar Giannino (si sospetta una sua “sedizione liberale”, anche se in realtà il nome della cosa è di Marco Taradash; si vocifera di una sua discesa in politica, anche se per ora Giannino ha lanciato soltanto un appello, sempre liberale, da Radio 24, con raccolta di firme dietro le quinte). Segue dunque consultazione redazionale (Giannino è stato responsabile Economia e finanza di questo giornale, e diversi redattori, all’epoca, erano stagisti o compagni di stanza). Alla domanda “Oscar Giannino, che cosa ti viene in mente?”, i redattori evocano circostanze lontanissime dall’economia e dalla finanza.
Un cronista deve fare un ritratto di Oscar Giannino (si sospetta una sua “sedizione liberale”, anche se in realtà il nome della cosa è di Marco Taradash; si vocifera di una sua discesa in politica, anche se per ora Giannino ha lanciato soltanto un appello, sempre liberale, da Radio 24, con raccolta di firme dietro le quinte). Segue dunque consultazione redazionale (Giannino è stato responsabile Economia e finanza di questo giornale, e diversi redattori, all’epoca, erano stagisti o compagni di stanza). Alla domanda “Oscar Giannino, che cosa ti viene in mente?”, i redattori evocano circostanze lontanissime dall’economia e dalla finanza. Elenco parziale: “Finisci le frasi quando parli, per favore, non esistono timidi, ma solo pigri” (primo consiglio di Oscar Giannino a un collega non esperto); “il gatto sul tetto che scotta” (il gatto di Oscar Giannino, quando scappò per un giro di notte dalla sua casa a Borgo Pio); gli sms incomprensibili con “k” al posto di “ch” (mandati da Oscar Giannino a ministri, parlamentari e amici); l’alzabandiera (americana) con inno, alle sei del pomeriggio, nei giorni della guerra in Iraq; i grissini e il formaggio (gli uni e l’altro cercati e offerti da Oscar Giannino ai suoi commensali nei migliori luoghi di degustazione della capitale); i vini pregiati (“Giannino è abbastanza antifrancese, eccezion fatta per il Bourgogne”, dice un compagno di serate in enoteca); il mistero del profumo (era nota la profumeria d’élite da cui si serviva Oscar Giannino dietro al Pantheon, ma non il nome dell’essenza personalizzata che faceva impazzire d’invidia la collega Maria Giovanna Maglie, motivo per cui Maglie dovette procedere a investigazione con successiva prova-profumo nelle anguste stanze della prima redazione romana del Foglio – mandarino, fico, sandalo, alloro? Nessuno mai indovinò).
Qui dunque non si tratta di stabilire se Oscar Giannino, giornalista economico e noto esteta con un passato da portavoce del Pri in anni di Prima Repubblica, stia o non stia per fare davvero il “sedizioso liberale” dopo essere stato al convegno di Taradash il 7 luglio a Firenze (dove pure figurava tra gli oratori, con Alberto Mingardi, Cinzia Caporale, Davide Giacalone, Mario Sechi, Arturo Diaconale, Fabrizio Rondolino e Giorgio Stracquadanio). Né si vuole qui scandagliare i perché e i percome del fatto che Giannino si sia personalmente esposto, il 12 luglio, con un’altra misteriosa annunciata iniziativa di liberalissimo stampo (con Luigi Zingales e Michele Boldrin, pare) durante la trasmissione “Nove in punto - La versione di Oscar” su Radio 24: è ora di “reagire”, “cari liberali offesi e presi in giro per tutti questi anni per meno stato, meno spesa e meno tasse”; si parta dal basso e “senza leaderismi” per dare vita a qualcosa che nell’offerta politica non c’è. Questo ha detto Giannino alla notizia del ritorno in campo di Silvio Berlusconi. “Non voglio cambiare un mestiere che ‘non’ so fare”, ha dichiarato poi, con civetteria da gatto sornione (suo modello etico e comportamentale: “Trasmissione felina”, si legge sul sito de “La versione di Oscar”) e questo suo negare, tutto sommato, non conta più dell’intervista a Marco Travaglio fatta due giorni fa da Giannino in radio (argomento: il Quirinale e la trattativa stato-mafia, cosa che ha fatto spaventare Taradash: “Io e Oscar siamo più o meno d’accordo su tutto, ma l’intervista a Travaglio è stata uno shock”). Sia come sia, è evidente che Oscar Giannino, sedizioso o no, non ha perso nulla della sua eccentrica insondabilità (in ogni caso il manifesto desta curiosità nel mondo politico, soprattutto perché in teoria i politici non potrebbero firmarlo – in pratica qualcuno vorrebbe firmare in qualità di professore).
Chi lo conosce dice: “Farà il collettore di idee”, anche se poi nessuno può dire di conoscerlo davvero, Oscar Giannino, “personalità condominiale più che semplicemente sfaccettata”, per dirla con un suo fan e amico. La scuola di Chicago potrà anche essere un punto fermo (è animatore di Chicago-blog.it, in area Istituto Bruno Leoni) ma dietro non c’è un turboliberista granitico. Giannino è prima di tutto un torinese, anche se non alla Galante Garrone, e di Torino ha assorbito tutta la complessità. Ha frequentato nell’infanzia luoghi Fiat ma non viene da una famiglia Fiat; conosce la storia dell’ultima guerra e del Dopoguerra ma in casa ha conosciuto anche la dialettica del nemico; è laico ma con sensibilità verso le cose religiose (da qualche parte tra i suoi parenti c’è un alto prelato, dicono tutti i suoi amici), è militaresco senza modi da caserma (c’è chi dice: “Vuole assomigliare al generale Lee”, e a giudicare da alcune vecchie divise sfoggiate in occasione di manifestazioni pro Usa il paragone è calzante). Di lui, che nel tempo libero assiste da volontario i malati terminali, si raccontano storie da barone rampante (da ragazzo, d’estate, andava in un’isola con qualche zia, e si annoiava talmente tanto da rifugiarsi su un albero a divorare libri su libri) e aneddoti da “strano ma vero”: Oscar Giannino che colleziona orsi di pezza; Oscar Giannino che calza solo scarpe artigianali; Oscar Giannino melomane ma anche interprete a sorpresa di canzoni napoletane anni Venti; Oscar Giannino che a Natale, e soltanto per esprit liberale puro, dà ragione al burbero Scrooge di Charles Dickens (no ai regali “distruggi-valore”); Oscar Giannino che al suo matrimonio fa una gara di karaoke con la moglie, dopo aver lasciato quasi a digiuno gli ospiti – per scherzo, ché gli antipasti erano abbondantissimi. Tuttavia gli invitati si erano sforzati di non mangiare troppo (onde conservare spazio per le “vette luculliane” annunciate dal menu, come ha scritto sulla Stampa Gianluca Nicoletti). E insomma alla fine, al posto delle “perle dell’Himalaya in castone di Alaea delle Hawaii”, gli ospiti si erano trovati nel piatto riso scondito e verdure (poco male, perché per il resto “tutto era eccezionale, a partire dalla mise degli sposi”, dice un’invitata mai più dimentica del Giannino in redingote blu con cappello oro e con la sposa Margherita in abito a sbuffo bianco e nero). E quando Geppy Cucciari, su La7, ha invitato Oscar Giannino a “G’day”, Oscar Giannino sembrava divertirsi un mondo a dire che sì, aveva “messo mano pure al vestito della sposa”. “Genio e frivolezza”, dice un conoscente per spiegare il pallino di Oscar per un guardaroba che non ha nulla di comprato tanto per comprare (c’è il suo sarto, il suo calzolaio, il suo barbiere, il suo fornitore di raso, il suo fornitore di stoffe pregiate). Qualcuno, esperto di storia della televisione, trova che Oscar Giannino sia, e non solo per l’aspetto, straordinariamente somigliante a Gianluigi Marianini, coltissimo concorrente di “Lascia o raddoppia” negli anni Cinquanta, uno con tre lauree e una dichiarata propensione all’ozio (“futurista, dannunziano, pariniano, dandy e asceta”, ha scritto di lui il giornalista Bruno Ventavoli, autore della sua biografia). Il poeta, filosofo e prete mancato Marianini, “cattolico praticante e integralista” per autodefinizione, era anche un bon vivant che aveva conosciuto da giovanissimo Filippo Tommaso Marinetti (diventandone seguace). Marianini, nelle foto, ha la barbetta che avrà Giannino. In tv parla dei demoni della Torino più nascosta (non risulta che Giannino l’abbia fatto). Usa termini vagamente desueti (Giannino in compenso pronuncia in diretta aggettivi del calibro di “soberrimo”). Si presenta persino alle elezioni, Marianini, nel 1960 (lista “il Marianinismo”, movimento “di opinione pubblica apartitico e interclassista”) e chissà se i fan dell’eventuale Giannino da politica si possono divertire con le analogie.
Eppure il “prima” di Oscar Giannino – prima degli arditi abbinamenti di colore tramandati dal Web nel famoso video in cui dà di “ladro” allo stato per le sue “pretese” fiscali (“paga e stai zitto”) – è la storia di un ex ragazzo pensieroso, anche malinconico, cui crolla addosso il mondo della Prima Repubblica in frantumi. Prima della carriera giornalistica tra carta stampata, radio e tv, prima dei libri scritti sulla politica estera della Dc, sul Pri, sull’Europa delle culture, su Marchionne e contro le tasse, c’è un Oscar Giannino al termine di una prima giovinezza fatta di impegno politico fin dal liceo (l’Alfieri di Torino, non il D’Azeglio, quello della borghesia sabauda). Primo passo, la candidatura al consiglio di istituto in una lista repubblicana alleata (centro-sinistra con trattino d’antan) alla lista dei giovani comunisti capeggiati da Fabrizio Rondolino – con cui oggi Giannino progetta un quotidiano solo per tablet ma non solo economico, con cultura, politica, costume e un taglio liberal liberista libertario. Chi c’era, al liceo Alfieri, come il giornalista Antonio Carioti, amico di Giannino anche ai tempi della Voce repubblicana e nei primi anni a Roma, quando dividevano un appartamento a Monte Mario, ricorda un Oscar “in jeans, maglione e chioma riccioluta” (Rondolino dice: “Afro, alla Angela Davis”). Il giovane Giannino aveva competenza infallibile sulle circolari ministeriali (“ha preso più volte in castagna la preside”, dice Rondolino), ed era perfetto per la Federazione giovanile repubblicana, di cui sarà, nel 1985, vicesegretario (e poi segretario).
Prima ancora di diventare il giovane portavoce del partito, Giannino vede in azione gli algidi politici del Pri, allora contrapposti anche esteticamente ai più casual socialisti, e viaggia molto con i giovani attivisti grazie a Bruno Visentini. Le grandi propaggini del Pri nell’Italia di allora, da Cesare Romiti a Enrico Cuccia, diventano per Giannino territorio conosciuto (“con zio Enrico si dava del tu”, dice un ex repubblicano). Sono anni di entusiasmo, ma anche anni che portano a un epilogo traumatico – ci vorranno un lungo viaggio di studio in America, un matrimonio (poi finito) e la collaborazione al Foglio per “resettare” e ripartire. A un certo punto degli anni Novanta, insomma, Oscar Giannino, il giovane portavoce del Pri, nei convulsi rivolgimenti post Tangentopoli e nell’imminenza della discesa in campo di Silvio Berlusconi, rompe con il segretario Giorgio La Malfa (che oggi, interpellato, dice: “Giannino era più austero di oggi nell’aspetto, leggeva molto, scriveva benissimo, da persona molto intelligente quale è. Negli anni ha sviluppato idee diverse da quelle dell’allora Pri. Alcune delle sue idee di oggi possono magari essere utili come correttivo in un paese che soffre un eccesso di corporativismo, ma così come si presentano non stanno in piedi, a mio avviso, neppure in America”).
Il giorno più duro arrivò, per Giannino, nell’inverno del 1994. Repubblica lo intervistò (a sigla “bp”, Barbara Palombelli) all’indomani della grande rottura, riservandogli grande spazio, com’era naturale in un periodo in cui il Pri di Piazza dei Caprettari aveva sponde illustri nei principali giornali, a partire dalla Repubblica di Eugenio Scalfari. I cronisti che di solito parlavano con Giannino rimasero sconcertati. Giannino raccontò l’accaduto a Palombelli: “Alla fine, quando ci siamo parlati a quattr’occhi, Giorgio mi ha detto: ‘Se resti nel partito, è ovvio che un posto di redattore ordinario alla Voce repubblicana non te lo leva nessuno…’ . E allora sono andato nella mia stanza, ho fatto i quattro pacchi con la mia roba e me ne sono andato.…”. Il “licenziato” Giannino ha trentadue anni. Palombelli scrive: “Il segretario repubblicano sposta la barra verso il centro, scomunica i dirigenti che militano in Alleanza democratica, rompe a sinistra e sconfessa i suoi con una brutalità e una franchezza che porta sino alle lacrime anche chi gli è stato vicino nei momenti difficili, negli ultimi mesi in cui La Malfa si è ‘autocongelato’…. Giannino non ci sta, sceglie di continuare sulla strada intrapresa. Spiega: ‘Alla fine di dicembre, il consiglio nazionale, su indicazione di La Malfa e Visentini, ha incaricato Visentini, Bianco, Ravaglia e il sottoscritto di preparare il percorso verso la costruzione dell’alleanza progressista… E così, noi tre, consultandoci con Visentini e con Giorgio, consegniamo al partito in tutta Italia una parola d’ordine: cominciamo le trattative con la sinistra e vediamo… Finché, una settimana fa, Giorgio riprende in mano il partito e comincia i suoi incontri… Non ce l’ho fatta. Io a fare la campagna elettorale a Roma per i nipoti di Andreotti non ci vado. Né ho la faccia per andare a spiegare in tutta Italia che fino a ieri il nostro premier ideale era Ciampi e poi, all’improvviso, è diventato Segni… Scherziamo?”. Da quel momento l’ex portavoce si eclissa dalla prima linea. Tempo dopo diventerà vicedirettore di Liberal, scriverà, cambierà giornale più volte (il Foglio, il Riformista, Libero), collaborerà con settimanali e quotidiani (Panorama, il Messaggero, il Mattino), lavorerà in tv (conduzione di “Batti e ribatti” su Rai1) e in radio (l’attuale trasmissione). Di fondo gli resterà un’inquietudine – non necessariamente nostalgia di vita politica diretta.
E’ capitato che Giannino scrivesse cinque pezzi in un pomeriggio e poi partecipasse a serate danzanti. Un giorno confessò al giornalista Maurizio Stefanini di avere ancora un’anima da piccolo cantante dello “Zecchino d’oro”: da bambino, vicino al nido della Fiat, aveva frequentato l’oratorio dei salesiani. Lì aveva pensato allo “Zecchino d’oro” come salvataggio da un destino già scritto e targato Fiat (partecipò sotto falso nome, con una canzone di Gianni Morandi, soffrendo come un matto alla selezione). Con il senno del poi, quella gli parve “un’esperienza deamicisiana” impregnata di “ideologia risorgimentale”.
Ci sono vari personaggi in un solo Oscar Giannino, considerato, a seconda delle circostanze, eminenza grigia di Confindustria (in epoca Marcegaglia) e ambasciatore ai livelli di Mario Draghi e Giulio Tremonti (il rapporto con l’ex ministro era ottimo, la divergenza di vedute totale, specie nell’ultima fase tremontiana). In ogni caso Giannino ha visto in azione il Tremonti degli esordi, quando era il trentacinquenne consigliere di Franco Reviglio e Rino Formica (“l’uno aristocratico, l’altro ruspante”, dice un insider dell’epoca). Giannino aveva frequentato quel mondo in qualità di ragazzo di bottega del Pri, e forse, dice l’insider, “per aver osservato il Tremonti ‘emergente’ tra veterani della politica, ha poi saputo indovinare il gioco del Tremonti ministro”.
Ma a che gioco sta giocando lui, Oscar Giannino?, si chiedono i colleghi e i politici. Franco Debenedetti prova a dare lumi: “Nel vuoto attuale, nel panorama politico confuso e deprimente che abbiamo davanti agli occhi, di fronte all’implosione del più grande partito in Parlamento, si creano opportunità per soggetti nuovi con idee nuove. La ri-discesa in campo di Berlusconi le ha perfino aumentate. Tutti i vuoti sono occasioni per chi li vuole riempire. La cosa a mio avviso più interessante è che oggi, in misura maggiore che in passato questo vuoto si apre alle idee liberali, che non sono rappresentate a sinistra – dove i miei amici liberisti sono una pattuglia – non a destra – dove l’illusione Berlusconi è durata una stagione – ovviamente non dai Beppe Grillo. E poi c’è Italia Futura di Luca di Montezemolo, che da tempo lavora su queste idee. La situazione mi fa venire in mente ‘Jeu de cartes’, il balletto di Stravinsky: Italia Futura ha una buona carta in mano, diciamo una donna (e non si incominci a malignare chiedendomi se è di cuori o di danari: diciamo che non è di picche, per restare in musica). Ma assi e re dal mazzo non ne sono usciti, qualcuno pensa che ce ne sia uno al fondo del mazzo, ma non si sa se di questo mazzo. In tanti quindi guardano in quella direzione, e buttano sul piatto quello che hanno, qualche fante, dei 10, naturalmente anche dei 4 o dei 5. ‘Faites vos jeu’, dice chi ha in mano la donna, guarda a ‘Sedizione Liberale’ di Marco Taradash, al manifesto con 100 firme di cui ho sentito parlare: tanto sa che, se non viene un re, con la donna le raccoglie tutte. Oscar Giannino è una carta di peso, ha grandi capacità, ha notorietà, ha l’occasione di farsi portatore di quello che ha sempre pensato e detto. Insomma è un momento molto interessante per i liberali: e io lo guardo, con attenzione, con speranza, se del caso con critica. Sappiamo com’è la politica, non sarà sempre così. Ma per il momento, e per quanto il momento lo consenta, godiamoci questo fermento”.
Ci sono vari personaggi in un solo Giannino e il primo di questi “ha la maschera del folletto birichino”, dice un conoscente. Il “folletto” che si veste di rosso e arancio, azzurro e giallo, panciotto a righe e scarpe bicolore, cappello da cappellaio matto e bastone coordinato e che dice, in diretta tv e a monte dell’operazione Monti, cose come: “Sembro lo scienziato pazzo in un film di Stanley Kubrick, ma ve lo dico chiaro e tondo: rischiamo il commissariamento”. Era l’autunno del 2011, i tecnici stavano per arrivare e Giannino, invitato a “Linea notte” su Rai3, parlava per circa dieci minuti, senza mai cambiare tono, di spread e debito. Pareva ancora un film di Kubrick, in effetti (cinque giorni dopo, più o meno, divenne tutto vero).
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