Draghi o Merkel? Le due vie d'uscita

Stefano Cingolani

Venerdì il contagio spagnolo, ieri il bubbone greco. Le Borse cadono. Lo spread sale. E ogni giornata finanziaria precipita nelle tenebre, con scambi volatili e sempre più rarefatti sui titoli pubblici. La partita vede attorno al tavolo tre giocatori: i mercati, i governi e la Banca centrale. La posta è l'euro. I mercati non smettono di rilanciare finché non trovano il punto di rottura. I governi non sono in grado di tener testa perché a Bruxelles prendono degli impegni e poi a casa loro li contraddicono: non fa eccezione la Germania.

    Venerdì il contagio spagnolo, ieri il bubbone greco. Le Borse cadono. Lo spread sale. E ogni giornata finanziaria precipita nelle tenebre, con scambi volatili e sempre più rarefatti sui titoli pubblici. La partita vede attorno al tavolo tre giocatori: i mercati, i governi e la Banca centrale. La posta è l’euro. I mercati non smettono di rilanciare finché non trovano il punto di rottura. I governi non sono in grado di tener testa perché a Bruxelles prendono degli impegni e poi a casa loro li contraddicono: non fa eccezione la Germania. La Banca centrale europea (Bce) torna al centro delle attese: ieri Mario Monti ha infatti auspicato che i Fondi salva stati abbiano una licenza bancaria, mentre il presidente della Commissione Ue, José Manuel Barroso, è convolato a colloquio con Mario Draghi. Il presidente dell’Eurotower si trova sulle spalle una responsabilità enorme.

    “L’euro è irreversibile e noi non abbiamo tabù”, aveva proclamato nel fine settimana dalle colonne di Le Monde. Le Borse lo hanno sfidato di nuovo: vediamo cosa puoi fare. La differenza tra i Bonos spagnoli e il Bund tedesco è salita al 6,43 per cento, portando i rendimenti a 7,52, quindi ben oltre il limite di guardia. La Banca di Spagna calcola che l’economia si contrarrà di un punto pieno su base annua. La recessione rischia quindi di peggiorare e durerà fino al 2014. La Spagna non ha bisogno di un salvataggio “completo”, assicura il governo. E’ implicito che un intervento “parziale” dell’Ue potrebbe essere necessario. La Grecia nel frattempo è appesa a un filo sempre più sottile. Oggi nella capitale ellenica arriva la Troika (Ue, Bce e Fmi), ma tutti credono che abbia ragione lo Spiegel: il paese non ce la farà a portare il debito al 120 per cento del pil entro il 2020. “Spagna e Grecia sono due situazioni completamente diverse”, assicura Wolfgang Schäuble, ministro delle Finanze tedesco che chiede ad Atene di recuperare il terreno perduto in questi mesi di frenesie elettorali, ma non la mette ancora alla porta come vorrebbe il liberale Philip Rösler, vicecancelliere e ministro dell’Economia. In Italia, il debito pubblico è arrivato a 123,3, il picco più alto dal 1995. Poiché il bilancio primario è attivo, non c’è manovra che tenga se non scendono gli interessi. In media oggi si paga poco più del 4 per cento sull’insieme dei titoli di stato in circolazione e il 6,4 per i Btp di nuova emissione. Fino a settembre però non ci sono operazioni massicce di rifinanziamento. Ma lo spread continua a salire. Secondo Mario Monti è colpa dei dubbi sul Meccanismo europeo di stabilità. Se la Bce interviene, taglia le unghie agli speculatori. Nella sua intervista, Draghi non si spinge fin là, tuttavia sottolinea che tra i suoi compiti c’è, senza dubbio, la difesa della moneta unica per la quale la Banca centrale è stata creata nel 1998.

    Per salvare l’euro si confrontano due ricette: quella del presidente Bce e quella della Merkel. Hanno molti punti in comune, a cominciare dal rigorismo fiscale. Fatti i compiti a casa, la cancelliera propone una maggiore unione politica in tempi medio-lunghi. Il presidente della Bce, invece, vuole una unione bancaria in tempi ben più brevi come antipasto della unione politica e di bilancio. Intanto, prepara interventi nell’immediato. L’ortodossia pragmatica di Draghi offre maggiori chance rispetto all’ortodossia opportunistica dei politici tedeschi ormai in procinto di entrare nell’anno elettorale.
    Sono in molti a tirare per la giacca Draghi. Negli ultimi giorni si è schierata nettamente la Repubblica. Lo ha scritto Eugenio Scalfari nella sua omelia domenicale: “Caro Mario, è necessario e nessuno lo sa meglio di te, basterebbe l’annuncio e un inizio di intervento per spuntare le unghie alla speculazione”. Il Fondatore ha dato il la e a lui s’è aggiunta una schiera di economisti, da Stefano Micossi (“La soluzione è nella Bce”) a Tito Boeri (“Solo Draghi ci salverà”), da Jean-Paul Fitoussi a Lucrezia Reichlin che, pure, non si spinge oltre il seminato avendo lavorato all’Eurotower. Fedeli alla ricetta Merkel restano Alberto Alesina e Francesco Giavazzi i quali nel tirare le fila su “cinque anni di follie finanziarie”, non inseriscono tra le sei “verità” rivelate il ruolo della Bce, cambiato in modo inimmaginabile dal 2008 a oggi (basti dire che il suo bilancio è triplicato). Alesina e Giavazzi sottolineano che i compiti a casa sono solo all’inizio e chiedono “una rivoluzione nel nostro stato sociale, non solo ritocchi”. “L’euro si salva – scrivono – con un piano coerente di medio termine di integrazione bancaria, fiscale e politica dell’Eurozona” che passa attraverso il “trasferimento di sovranità sui conti pubblici”.

    Cose simili Draghi le diceva alla Banca d’Italia e le rilancia da Francoforte. Il Fiscal compact è farina del suo sacco, così come il Growth compact, la vigilanza bancaria alla Bce, l’assicurazione sui depositi, passi avanti concreti verso una maggiore integrazione. La differenza è che la ricetta Merkel (e per molti versi quella di Alesina e Giavazzi) resta appesa al “medio termine” e non delinea soluzioni per il breve. Alla Bce invece giurano che gli strumenti non mancano. Si tratta, certo, di camminare sulle uova, guai a sollevare il sospetto di voler forzare il Trattato. Scatterebbe subito una reazione negativa della Bundesbank. E mettere in minoranza l’azionista principale è azzardato: si andrebbe allo scontro e alla paralisi. Draghi può rifinanziare le banche a tasso zero e spingere il credito verso l’economia reale. Può riprendere l’acquisto diretto di titoli pubblici come misura temporanea anti spread. Può ridurre ancora i tassi; in molti se lo aspettano. Può concordare con le altre Banche centrali un intervento sui mercati a sostegno dell’euro. La panoplia, insomma, è ben fornita e non siamo ancora alle Termopili.