Il Vaticano prosegue la guerriglia contro Rep. a colpi di smentite sui corvi

Paolo Rodari

Non ci sono corvi oltre l’ex maggiordomo, almeno per il momento. Prima padre Federico Lombardi, portavoce della Santa Sede, poi la segreteria di stato vaticana con una nota ufficiale, hanno rispedito al mittente, e cioè al quotidiano Repubblica, l’indiscrezione secondo la quale l’ex aiutante di camera Paolo Gabriele, già indagato per il furto di documenti dall’appartamento papale e ora agli arresti domiciliari, avesse dei complici.

    Non ci sono corvi oltre l’ex maggiordomo, almeno per il momento. Prima padre Federico Lombardi, portavoce della Santa Sede, poi la segreteria di stato vaticana con una nota ufficiale, hanno rispedito al mittente, e cioè al quotidiano Repubblica, l’indiscrezione secondo la quale l’ex aiutante di camera Paolo Gabriele, già indagato per il furto di documenti dall’appartamento papale e ora agli arresti domiciliari, avesse dei complici. Repubblica fa nomi pesanti: l’ex governante del Pontefice, la tedesca e fedele Ingrid Stampa, l’ex segretario di Benedetto XVI Josef Clemens e il cardinale Paolo Sardi che per diversi anni ha collaborato alla stesura dei testi papali (e con il quale in segreteria di stato era andata a lavorare la Stampa): tre personalità un tempo molto vicine a Ratzinger, e c’è chi ritiene che abbiano coltivato del dispiacere per non aver più potuto godere di una certa familiarità col Pontefice.

    Lombardi risponde non soltanto spiegando che l’indiscrezione ricopia “un articolo firmato da Paul Badde, apparso su Die Welt online una settimana fa (15 luglio) senza aggiungere praticamente nulla se non alcuni argomenti non pertinenti e interpretati in modo infondato”, ma anche elencando alcune smentite che il Vaticano ha dovuto recentemente riservare a Repubblica: “A questo punto è giusto far notare – ha detto Lombardi – come l’informazione data in articoli di Repubblica su tutta questa vicenda sia stata particolarmente, e direi inspiegabilmente, caratterizzata da interventi che ho dovuto ripetutamente e pubblicamente smentire”. E ancora: “Ricordo semplicemente alcune occasioni più evidenti. La presunta intervista (mai esistita) con la moglie di Paolo Gabriele poco dopo l’arresto (27 maggio); l’intervista con un monsignore non identificato in cui si affermava l’esistenza di una (assolutamente inesistente) équipe di ‘relatori’ coordinata da una donna, che doveva riferire direttamente al Papa (28 maggio); l’articolo su un presunto ‘hacker’ (assolutamente inesistente) consulente informatico del Vaticano improvvisamente scomparso (14 giugno); l’indicazione di tre nomi di cardinali che sarebbero stati interrogati dalla commissione cardinalizia (falso in tutti e tre i casi) (19 giugno). Ora questo articolo copiato in modo praticamente letterale dal tedesco una settimana dopo, che addita intenzionalmente come ‘complici’ tre persone degne di stima e rispetto sembra colmare la misura”. La puntigliosità di Lombardi conferma che al momento per il Vaticano non vi sono altri sospettati oltre a Paolo Gabriele, o che comunque non ve ne siano tra le personalità interne alla curia romana. La Stampa, Sardi e Clemens, tra l’altro, “sono da molti anni al fedele servizio del Santo Padre” scrive la segreteria di stato.

    La notizia non è di poco conto, perché dice ancora una volta che internamente la tesi che Vatileaks sia figlia di una sorta di regolamento di conti tra fazioni opposte non trova riscontri. O che, comunque, la tesi non viene in nessun modo presa in considerazione. Certo, questa visione delle cose cozza con il contenuto delle lettere che l’ex segretario del governatorato Carlo Maria Viganò ha scritto al Papa e al segretario di stato Tarcisio Bertone dichiarandosi vittima di coloro che hanno lavorato per “metterlo in cattiva luce”, ma è anche vero che un conto è Vatileaks e la fuga dei documenti riservati dall’appartamento papale alle redazioni dei giornali, un altro è il “promoveatur ut amoveatur” di un presule divenuto scomodo.

    Dicono i frequentatori di Castel Gandolfo che Benedetto XVI, almeno fino all’Assunta (15 agosto), non vuole essere disturbato. Inutile sottoporgli dossier che esulino dalla stesura del libro su “Gesù di Nazaret” dedicato ai Vangeli dell’infanzia. Ciò non significa che egli non governi la chiesa. Vatileaks, in fondo, è figlia di una sua dirompente decisione: l’istituzione nel 2011, tramite motu proprio, dell’Autorità d’informazione finanziaria che dovendo vigilare su tutti i conti vaticani ha creato non pochi malumori. Ma prima di Vatileaks, altre crisi: le critiche del mondo ebraico per il ritorno della messa antica in cui vi è l’espressione “perfidi giudei”, la revoca della scomunica ai vescovi lefebvriani, “i traditori del Concilio” per molta parte di chiesa. E ancora la possibilità – criticatissima questa volta “da destra” – concessa agli anglicani di tornare in comunione con Roma. Crisi pesanti ma anche volute, da un Papa più di governo di quanto sembri.